
Il Paese è sull'orlo della recessione, le esportazioni crollano e scende il saldo della bilancia commerciale. Con la scusa della green economy, il rigore di bilancio non è più un mantra. Peccato sia stato imposto agli altri.Ormai il re è nudo. La Germania è sull'orlo della recessione, non quella tecnica ma quella vera. E stavolta non è il solito allarmismo per creare sensazione, bensì un mood largamente condiviso dagli economisti. È notizia di ieri che, complice la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina e l'imminente Brexit, le esportazioni tedesche sono in crollo verticale. Lo confermano i dati diffusi ieri da Destatis, l'ufficio federale di statistica, che attestano come nel mese di giugno i volumi verso l'estero si sono fermati a 106,1 miliardi di euro. La contrazione si fa sentire non solo rispetto al mese precedente (-0,1%) ma anche e soprattutto in confronto al 2018, rispetto al quale le esportazioni sono calate addirittura dell'8%. Gli scambi sono diminuiti sia verso i Paesi europei (-6,2%) che verso quelli extra Ue (-10,7%). Scende anche il saldo della bilancia commerciale: 16,8 miliardi a giugno (-18,4% rispetto a maggio) e 109,9 miliardi complessivi nel primo semestre (-10,2% rispetto ai primi sei mesi del 2018). Il de profundis sull'export viene intonato appena pochi giorni dopo l'annuncio, a inizio settimana, dei disastrosi dati provvisori sulla produzione industriale di giugno (e non è un caso isolato, anche in Francia sta ruzzolando), calata dell'1,5% rispetto al mese precedente e addirittura del 5,2% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Numeri che gettano ombre minacciose sull'andamento della locomotiva tedesca e sul pattern mercantilista sposato da Berlino. Preoccupati di questo trend negativo i vertici della Camera di commercio (Dihk): «Se dovessimo chiudere l'anno a zero - e dunque portare a casa il peggiore risultato dalla crisi finanziaria a oggi - sarebbe già un successo, considerato che la situazione globale è carica di crisi e conflitti». Fino a oggi la Dihk stimava per il 2019 una crescita dell'1,2%, perciò le nuove dichiarazioni rappresentano una pericolosa marcia indietro. «L'aumento del protezionismo e la debole economia globale», ha dichiarato il presidente Volker Treier, «stanno colpendo duramente l'economia tedesca», aggiungendo che ora le aziende hanno bisogno di «nuovo slancio» da attuare tramite «l'espansione delle infrastrutture, la riforma fiscale sulle imprese e progressi nello snellimento della burocrazia».Un messaggio ben preciso all'esecutivo federale ma soprattutto al ministro delle finanze Olaf Scholz. La cui ossessione sembra essere una sola: lo Schwarze Null, vale a dire il pareggio di bilancio, obiettivo inseguito con devozione quasi idolatrica non solo da Scholz ma anche da buona parte della politica tedesca. Quello zero spaccato non rappresenta semplicemente un numero, piuttosto un feticcio da agitare come cifra del valore di un'intera nazione. Peccato che questa politica di autostrangolamento rischi ormai di diventare il motore immobile di una crisi economica le cui conseguenze, com'è facilmente intuibile, finirebbero inevitabilmente per ripercuotersi a cascata sull'intero continente. A giudicare dal tenore del dibattito politico, tuttavia, Scholz stavolta rischia seriamente di rimanere con il cerino in mano. «Più deficit» è il nuovo mantra che ha iniziato a circolare tra le aule del Bundestag con sempre maggiore insistenza. In questi ultimi giorni alcuni autorevoli esponenti dell'Spd, alleato indispensabile dell'esecutivo Merkel, sono stati tra i primi a recitarlo. Non bisogna dimenticare che i socialdemocratici vantano (almeno a loro dire) un credito nei confronti della cancelliera, dal momento che considerano la scelta di candidare il criticatissimo ex ministro della Difesa Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea una mossa tutt'altro che condivisa con l'alleato di governo. Certo, in palio c'è anche la leadership del partito e la conseguente necessità di riscattare il pessimo risultato alle elezioni europee. Ma ormai il concetto è sdoganato: se la Germania vuole tornare a crescere deve infrangere il tabù del pareggio di bilancio e tirare fuori i soldi per gli investimenti. Dichiarazioni in questo senso sono state rilasciate non solo da diversi candidati alla presidenza del Spd, ma anche da economisti del calibro di Michael Huther, direttore del prestigioso think tank Iw. «Il freno all'indebitamento non è abbastanza flessibile per far fronte alle esigenze di investimento in termini di infrastrutture, servizi locali e protezioni del clima», ha dichiarato proprio ieri Huther. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il presidente dell'Istituto di ricerca economica Diw Marcel Fratzscher, il quale ha definito il limite al deficit «una sciocchezza che nuoce alla Germania».Nel tentativo di tamponare l'ascesa dei Verdi e Incalzata dagli alleati di governo, frau Merkel è tentata di sconfessare Scholz e finanziare in deficit l'agenda green. E per la sezione «lacrime di coccodrillo», arriva Jean-Claude Trichet che intervistato da Handelsblatt invita Berlino ad attuare «una politica fiscale più attiva, a vantaggio delle infrastrutture pubbliche e per rafforzare la domanda». Non c'è che dire, una bella faccia tosta per uno che solo qualche anno fa definiva l'austerità una «politica di saggezza».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






