2021-08-07
La forza cinese è nel realismo politico che l’Occidente in crisi ha rinnegato
Il Vecchio continente si fonda su ideologia dei diritti e interessi di un'economia elitaria iperproduttivista. Sistema perdente rispetto a quello di Pechino, basato su difesa dell'autorità e principio di responsabilitàJohn Gray è un acuto filosofo inglese della politica, noto e tradotto anche in Italia. Sull'ultimo numero (28.7.2021) del settimanale conservatore The New Statesman ha pubblicato un articolo che merita di essere commentato: The West isn't dying - its ideas live on in China.L'idea portante della tesi è che l'Occidente non è morto, perché la sua sostanza politica e anche culturale sopravvive nella Cina di Xi Jinping, che con il suo gruppo dirigente porta avanti una politica che si ispira alla tradizione intellettuale e di governo dell'Europa. Si tratta, dice Gray, del lato «oscuro» di questa tradizione, ovvero del fascismo, del comunismo, del nazionalismo integrale e anche, per esempio, del pensiero politico di Carl Schmitt, teso alla conservazione dello Stato come principio supremo dell'agire politico, anche a costo di sacrificare delle vite umane o di soffocare aspirazioni autonomiste di gruppi specifici, come nella fattispecie gli Uiguri, l'etnia di religione islamica perseguitata dal regime comunista.Mentre l'Occidente ha deviato verso quello che Gray definisce iperliberalismo, la Cina ripercorre le orme del pur occidentale totalitarismo stalinista e nazista degli anni Trenta del secolo scorso, un totalitarismo che ha messo in soffitta l'autoritarismo di Deng Xiaoping tra il 1978 e il 1989 e punta sempre più ad una società di tipo «concentrazionario», dove i vantaggi materiali sono evidenti, ma il prezzo da pagare è altrettanto alto, sia in termini di libertà personale sia di diritti, non solo quelli inventati, ma anche quelli reali propri della civiltà europea da Roma in poi.L'Occidente contemporaneo ha prodotto quattro sistemi politici: lo Stato di diritto liberale, l'autoritarismo, il totalitarismo, l'iperliberalismo. Quest'ultimo è il sistema attualmente prevalente, fondato sia sull'ideologia dei diritti, sia sugli interessi di un'economia elitaria iperproduttivista. Si tratta di un sistema assolutamente perdente rispetto al sistema oggi vigente in Cina: nel caso della persecuzione degli Uiguri, per esempio, qualunque campagna di denuncia «deve fare i conti con il potere economico della Cina, che ha la capacità di far deragliare il mercato globale che l'Occidente ha costruito e dal quale esso ora dipende». Anche gli Stati musulmani dipendono per i debiti che hanno contratto dalla Cina e chi può dimenticare che il debito pubblico degli Stati Uniti è in gran parte nelle mani dei cinesi?In definitiva, dice Gray, le sfide che l'Occidente deve affrontare vengono dall'Occidente stesso, ma con una «piccola» modifica: l'Occidente è ancora convinto che il suo liberalismo è il futuro del mondo, mentre la Cina dimostra che l'Occidente è più complesso di quanto esso stesso crede, avendo alternative reali al liberalismo oggi oggettivamente perdente. Tuttavia, Gray sbaglia quando imputa a giuristi come Carl Schmitt l'idea, «oscura», che lo Stato deve rendere «omogeneo» il suo popolo, seguendo il criterio dello Stato-nazione, invenzione occidentale che rivive sulle sponde del Fiume Giallo. In tal modo commette un errore gravissimo, perché l'omogeneità è un pre-requisito, in Schmitt, per l'esercizio della democrazia entro lo Stato. Uno Stato dove la popolazione, il Volk, non abbia un minimo di omogeneità è esposto, per i rischi del pluralismo senza limiti, ad entrare in crisi e a dissolversi. Gray equipara il pensiero di Schmitt alle pratiche del nazionalsocialismo, come fanno in Francia i discutibili Jean-Pierre Fay e Jean-Yves Zarka, ma nonostante il suo rapporto con il Terzo Reich dal 1933 al 1936 Schmitt non può essere ascritto all'ideologia nazista. Schmitt è invece sulla linea del realismo politico occidentale ed è questo che i Cinesi oggi studiano e praticano. Giustamente Gray scrive: «Lo studio dei classici occidentali viene attivamente promosso nelle università cinesi . L'intelligentia meritocratica della Cina è importante anche per il fatto che essa ha una comprensione del pensiero politico occidentale che eccede di gran lunga quella di molti nelle università occidentali. Le opere di Alexis de Tocqueville, di Edmund Burke e di Thomas Hobbes, come anche di pensatori del XX secolo come Michel Foucault, sono state attentamente studiate. Il giurista tedesco Carl Schmitt (1888-1985) è stato recepito come chi ha più da insegnare per quanto riguarda lo sviluppo politico della Cina». Lasciando da parte Schmitt, Gray ha perfettamente ragione nel sottolineare il fatto che l'Occidente si è praticamente messo da solo nella condizione di perdere dinanzi a tutti coloro i quali - in primis la Cina - proprio dall'Occidente hanno invece tratto quella lezione di realismo che noi stiamo rifiutando in nome dell'iperliberalismo. Ciò che non mi convince nel discorso di Gray è questa ascrizione alla Cina del «nazionalismo integrale», ovvero dei lati che possono essere interpretati come negativi della storia ideale dell'Occidente. Bisogna invece sottolineare come giustamente Gray mette in evidenza il fatto che il liberalismo occidentale, diventando iperliberale, si è fatto intollerante e grazie proprio alla sua intolleranza consente che la Cina sia oggi il soggetto vincente dal punto di vista geopolitico. Proprio l'iperliberalismo intollerante verso chi non è altrettanto iperliberale consente una sconfitta dopo l'altra: in Iraq, in Afghanistan, in Libia e via dicendo, ma anche nei confronti della Russia di Putin (concessioni di Biden sul Nord Stream 2 e l'Ucraina). Grazie a Merkel e Macron l'Europa si colloca oramai in una zona di «non allineati», pur di fare affari con la Cina.La decadenza geopolitica dell'Occidente è però soprattutto una decadenza culturale. Scrive Gray: «La decomposizione dell'Occidente non è solo un fatto geopolitico; è anche culturale e intellettuale. I paesi-guida occidentali racchiudono potenti corpi di opinione che considerano la loro civiltà solo come una forza perniciosa. In questa concezione iperliberale, fortemente presente nell'educazione superiore, i valori occidentali di libertà e tolleranza significano poco più che dominio razziale. Se ancora esiste come un blocco di civiltà, l'Occidente deve essere smantellato». L'iperliberalismo è un vero e proprio catechismo, come i diritti dell'uomo sono diventati un argomento teologico. Solo le «verità» iperliberali (diritti, immigrazione senza controllo, retorica Lgbt) hanno cittadinanza e legittimità. I valori liberali sono cancellati in nome della verità auto-evidente dell'iperliberalismo, che mette insieme l'accumulo di ricchezza e il candore progressista. Un'ideologia con la quale è impossibile discutere proprio perché ideologia. La Cina di Xi Jingping punta a non cadere nella «trappola di Tucidide», cioè a fare la guerra agli Usa, e questo potrebbe essere una via di salvezza per l'Occidente tutto a condizione che esso riscopra proprio quella sua tradizione culturale ripresa e viva a Pechino. Non il nazionalismo integrale che Gray confonde con lo Stato-nazione come invenzione occidentale, ma quella concezione del realismo politico interno e internazionale che vede nella difesa dell'autorità e nel principio di responsabilità la garanzia fondamentale per l'esercizio delle libertà individuali (e per la libertà della patria).