Niente obbligo sotto i 60 euro. La guerra tra clienti con carta e quelli con contante oscura l’obiettivo: limitare le commissioni.
Niente obbligo sotto i 60 euro. La guerra tra clienti con carta e quelli con contante oscura l’obiettivo: limitare le commissioni.Cominciamo a sgombrare il campo da un equivoco: e si tratta di quelle mezze bufale che poi crescono, si espandono, ingombrano e ostruiscono il terreno della discussione pubblica, e in ultima analisi fanno perdere tempo a tutti. E di che balla si tratta? Di quella secondo cui la soglia dei pagamenti in contante sarebbe un elemento abilitante o addirittura condizionante ai fini del Pnrr. Della serie: è l’Ue, nella sua onniscienza, a doverci dire come pagare il pasticcere e il salumiere, pena la messa a rischio del Recovery plan. Insomma, la soglia come un target. Non è così: il fatto che un tema sia stato evocato o sfiorato in qualche occasione nelle cosiddette «raccomandazioni per Paese» non può trasformarsi in un diktat, meno che mai in un ricatto.Semmai, tutto questo dovrebbe una volta di più farci insospettire rispetto al metodo del suk, troppo spesso praticato (o almeno tentato) dalle parti di Bruxelles: trattative confuse e sovrapposte, mescolanza anomala di dossier diversi, incrocio consapevole di questioni differenti, più un ricorso selvaggio al do ut des (ti concedo una cosina su un fronte, ma tu devi cederne un’altra su un fronte diverso). Tutto ciò alimenta negli elettori un sentimento di impotenza, di frustrazione, di delusione. È quello - per capirci - che ha indotto la maggioranza dei britannici a votare Brexit: alle elezioni devi poter scegliere politici che siano in grado di decidere a casa propria, non politici (non è colpa loro, sia chiaro) dotati solo di un mandato a negoziare con i mandarini di Bruxelles (questi ultimi, slegati da qualunque accountability democratica). Chiarito questo, e rientrando dentro i confini nazionali, ieri il governo ha fissato la soglia di 60 euro sotto la quale non c’è l’obbligo di accettare i pagamenti digitali con carta e bancomat. E a questo punto vedremo se l’Unione europea avrà da ridire. Poi ci sono altre due osservazioni da fare, una di principio e una di costume politico. Quella di principio è talmente semplice da risultare perfino spiazzante: ma per quale ragione lo Stato deve intromettersi nelle modalità di pagamento liberamente scelte da un compratore e da un venditore? Si lasci al mercato ciò che al mercato appartiene. Scelga il compratore l’esercizio o gli esercizi che lo soddisfano di più, in base a tutti i criteri corrispondenti alla sua soddisfazione e alla sua curva di utilità individuale: merci e servizi di qualità, prezzi giusti, modalità di pagamento gradite, gentilezza del negoziante, e così via. E, simultaneamente, scelga il venditore il complesso dei servizi che intende offrire ai suoi clienti: essendo chiaro a qualunque negoziante che più opportunità offre al pubblico (anche sul piano dei mezzi di pagamento) e tanto maggiore sarà la platea dei clienti che realisticamente potrà convincere. Anche qui, il mercato ha una sua geometria: se restringi il ventaglio delle possibilità che offri, inevitabilmente perderai dei clienti, quella è la «sanzione» perfetta. Esattamente come un tassista che, a un cliente in fila, neghi la possibilità di pagare con carta di credito: è intuitivo che il cliente che preferisca quella modalità di pagamento si rivolgerà a un’altra vettura. La seconda osservazione è di costume politico, e ha a che fare con l’ormai devastante attitudine moralistica della sinistra, dei suoi politici, dei suoi commentatori, una certa propensione a dividere l’umanità in «buoni» (quelli che si adeguano alle «direttive etiche» progressiste) e «cattivi» (il resto del mondo). Ecco, a somiglianza di quanto è accaduto con il green pass, ora l’imposizione parossistica del pagamento con carta di credito è diventata un’altra manifestazione della medesima mania di controllo, in questo caso aggravata dall’infinita crociata anti evasione. Basata - nella circostanza - su una presunzione diabolica: che il compratore portatore di denaro contante sia di per sé un reperto archeologico, e che il negoziante che lo preferisce sia automaticamente un evasore seriale. Morale? È scattata (nella bolla Ztl ma purtroppo non solo entro quei confini angusti) una criminalizzazione sistematica di chiunque non si adegui, magari semplicemente perché vuole salvaguardare uno spazio di libertà in più. Peggio ancora: è evidente che ormai c’è chi quasi provocatoriamente «pretende» di pagare con moneta elettronica tutto, anche un caffè al bar, una matita dal cartolaio, un pacchetto di fiammiferi dal tabaccaio. Per carità: sarà interesse del barista, del cartolaio e del tabaccaio (per le ragioni spiegate) non precludere quell’opportunità. Ma nemmeno si può trasformare ogni micropagamento in un’ordalia, in un giudizio di Dio, in una sfida tragica tra i «buoni anti evasione» e i «cattivi pro sommerso», secondo una partizione apoditticamente imposta dai primi.E allora che cosa può fare di utile lo Stato, senza interferire troppo? Un esecutivo può cercare di attivarsi, nei limiti del possibile, per ridurre il peso delle commissioni bancarie, per evitare che al commerciante sia imposto un onere eccessivo. Quanto più si schiaccerà verso il basso questo elemento, tanto più si fluidificherà il mercato, rendendo pressoché «neutra» la modalità di pagamento. Con il doppio effetto positivo di sgombrare il campo da un problema e di evitare un’ennesima crociata etica scatenata dalla sinistra contro il commercio e gli autonomi.
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