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2019-04-29
Putin raddoppia i rompighiaccio nucleari per piantare la bandiera nell'Artico
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È stata la Russia a rilanciare in grande stile la propria iniziativa politica nell'area. In occasione del forum artico, tenutosi a San Pietroburgo all'inizio di aprile, Vladimir Putin ha esposto un piano per incrementare la presenza russa in loco. Gli obiettivi sono molteplici: il presidente non ha del resto mai nascosto di ambire ad estendere la propria influenza su quell'area sia per l'approvvigionamento di gas e petrolio che per incrementare decisamente la spedizione di merci attraverso la regione. In particolare, l'idea sarebbe quella di passare dai venticinque milioni di tonnellate di merci inviate nel 2018 a ben ottanta milioni nel 2024. Senza trascurare che, con questa mossa artica, il Cremlino punti a ridurre notevolmente il tempo di spedizione verso il mercato asiatico (circa il 40% in meno).
Un piano ambizioso, che Mosca vorrebbe perseguire attraverso svariate strategie. In primis, Putin ha intenzione di rafforzare la propria flotta di rompighiaccio a propulsione nucleare: la Russia detiene al momento quattro rompighiaccio nucleari e altre tre navi di questa tipologia sono attualmente in costruzione. Entro il 2035 - questo il piano del presidente russo - Mosca dovrebbe arrivare a disporre di una flotta di tredici rompighiaccio pesanti, di cui nove a propulsione nucleare. In secondo luogo, il Cremlino vuole espandere i propri porti su entrambi i lati della rotta marittima artica: Murmansk sulla penisola di Kola e Petropavlovsk-Kamchatsky sulla penisola di Kamchatka. Senza trascurare poi che ulteriori porti nell'area dovrebbero essere ampliati e rafforzati.
Per sostenere queste iniziative, Mosca si è detta aperta all'impiego di investimenti privati: pochi giorni fa, il Cremlino ha non a caso annunciato delle agevolazioni fiscali per quelle aziende che sceglieranno di impiegare i propri capitali nella zona artica. Nella fattispecie, le stime parlano di circa 143 miliardi di euro di investimento nell'arco di dieci anni (principalmente nel settore infrastrutturale ed energetico). Infine non bisogna trascurare che, dal 2012, la Russia abbia realizzato 457 siti militari nel territorio artico. Siti come la base di Kotelny: un complesso, dotato di sistemi missilistici di difesa costiera, che risulta geograficamente più vicino all'Alaska che a Mosca. Va da sé che, con ogni probabilità, queste basi si riveleranno funzionali alle nuove ambizioni artiche del Cremlino. È d'altronde in questo quadro generale che la Russia ha di recente effettuato una mossa particolarmente significativa, stabilendo che le navi straniere in transito nell'area saranno tenute ad avvisare Mosca entro quarantacinque giorni. Senza poi dimenticare l'obbligo di prendere a bordo un pilota russo e pagare una tassa.
D'altronde, il controllo delle rotte non è l'unico obiettivo del Cremlino. Anche il petrolio giocherà prevedibilmente un ruolo fondamentale nella sua corsa all'Artide. Basti ricordare che, nel 2017, la Bbc parlò del cosiddetto Project iceberg: un piano che prevedrebbe di realizzare svariate basi sottomarine in grado di ospitare ciascuna un reattore da ventiquattro megawatt, con l'obiettivo di raggiungere i giacimenti petroliferi collocati sotto gli strati di ghiaccio più spessi. Si tratta di un progetto che, tra l'altro, dovrebbe prendere avvio tra pochi mesi.
Questo iperattivismo russo - neanche a dirlo - sta impensierendo non poco la Nato, che teme un'eccessiva influenza del Cremlino nella regione artica. Già, sempre in occasione del forum di San Pietroburgo, il premier norvegese, Erna Solberg, ha mostrato un certo fastidio verso le annunciate mire russe, affermando che l'Artide sia una regione di pace e stabilità. Inoltre, l'anno scorso, la Nato - con quarantamila soldati - ha organizzato Trident Juncture: la più grande esercitazione militare in Norvegia negli ultimi dieci anni. Gli Stati Uniti si stanno insomma rendendo conto dell'importanza strategica rappresentata dall'Artide: non sarà del resto un caso che, a gennaio, il segretario della Marina americano, Richard V. Spencer, abbia dichiarato che Washington sarebbe intenzionata a riaprire la base navale di Adak, in Alaska, e ad inviare navi nelle acque artiche entro la prossima estate. Lo stesso Pentagono, a giugno scorso, aveva lasciato intendere di voler rilanciare l'iniziativa geopolitica statunitense in loco. Il punto è che lo Zio Sam ha perso non poco tempo, negli ultimi anni. E adesso la concorrenza russa nella zona potrebbe rivelarsi difficilmente contrastabile. Basti pensare che, al momento, gli Stati Uniti dispongano di appena due navi rompighiaccio nell'area: navi che riscontrano, tra l'altro, problemi di funzionamento. E attenzione: perché in queste dinamiche sta cercando di inserirsi anche Pechino. Non è un mistero che il presidente cinese, Xi Jinping, voglia infatti estendere all'Artide la Road and belt initiative.
La regione artica si avvia a diventare dunque un teatro di scontro tra titani. E la corsa al Nord è appena cominciata.
Da Murmansk a Sabetta: i porti russi nella regione artica
La Russia dispone di svariati porti situati nella regione artica. Tra questi, vi sono Murmansk, Arkhangelsk,Vitino, Dudinka e Sabetta. Murmansk è una città portuale situata nei pressi della baia di Kola: si trova a 108 chilometri dal confine tra Russia e Norvegia. La calda corrente nordatlantica garantisce che il porto rimanga libero dal ghiaccio per la maggior parte dell'anno. Il porto - ben collegato alle principali città russe via terra e via aria - ospita la base di rompighiaccio a propulsione nucleare, Atomflot. La città portuale di Arkhangelsk si estende su entrambe le rive del fiume Dvina, vicino alla foce sul Mar Bianco: molto importante per l'industria del legno e della pesca, il porto è attualmente aperto tutto l'anno per l'implementazione della tecnologia rompighiaccio. Situato sulle rive occidentali del Golfo di Kandalaksha, Vitino è un porto petrolifero che si affaccia sul Mar Bianco: è utilizzato principalmente per il trasporto del petrolio prodotto nelle raffinerie russe. Dudinka è invece un porto situato sul fiume Yenisei: viene utilizzato per spedire carbone, ferro e metalli non ferrosi. Situata sulla penisola di Yamal, Sabetta è infine sede di un porto e di una centrale a gas naturale liquefatto. La struttura è stata istituita nel 2012 grazie a una partnership tra il governo russo e il colosso del gas naturale Novatek: il porto viene principalmente utilizzato per esportare gas naturale liquefatto via mare.
La regione artica vale più o meno 90 miliardi di barili di petrolio
In base a una stima effettuata dalla United states geological survey (Usgs) nel 2008, la regione artica conterrebbe circa 90 miliardi di barili di petrolio e 17 trilioni di piedi cubi di gas non ancora scoperti. La zona russa dell'oceano ha la quota maggiore: le sue riserve potenziali ammontano a circa 48 miliardi di barili di petrolio e 43 miliardi di metri cubi di gas naturale. Numeri equivalenti al 14% del petrolio russo e al 40% delle riserve di gas. Tutto questo, mentre l'area accoglierebbe circa il 10% delle risorse conosciute di petrolio a livello mondiale (si parla di una cifra che si aggirerebbe attorno ai 240 miliardi di barili). In questo quadro, la Russia risulta particolarmente attiva: anche perché - stando a dati del 2013 - petrolio e gas naturale rappresentano quasi il 70% delle sue esportazioni totali. Non dobbiamo poi trascurare che, negli ultimi anni, Mosca abbia incrementato notevolmente la produzione di greggio: nel 2018, ha raggiunto la quota di 11,6 milioni di barili al giorno, arrivando quasi a eguagliare i picchi produttivi sovietici degli anni Ottanta. Ma il Cremlino non è comunque l'unico a mostrare ambizioni nella regione. Nel 2017, il presidente americano, Donald Trump, aveva infatti siglato un ordine esecutivo per riprendere delle trivellazioni nell'oceano Artico, ignorando il divieto che era stato varato ai tempi di Barack Obama. Lo scorso marzo, questa decisione è stata tuttavia bloccata da un giudice federale dell'Alaska, che ha definito il provvedimento di Trump illegale e reintegrato così il divieto imposto dal suo predecessore (a meno di una revoca formale da parte del Congresso).
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Il riscaldamento climatico, con il conseguente scioglimento dei ghiacci, sta aprendo nuove rotte di navigazione: un fattore che innesca una competizione tra le principali potenze per acquisire la maggiore influenza possibile sull'area. Mosca avrà 13 navi a reazione per poter commerciare verso l'Asia, superare Washington e avere il predominio sulla regione.La Russia dispone di svariati porti situati nella regione. Tra questi, vi sono Murmansk, Arkhangelsk, Vitino, Dudinka e Sabetta: servono per legno, pesca e gas.Negli ultimi anni Mosca ha incrementato la produzione di greggio: nel 2018, ha raggiunto la quota di 11,6 milioni di barili al giorno, arrivando quasi a eguagliare i picchi produttivi sovietici degli anni Ottanta.Lo speciale contiene tre articoli.È stata la Russia a rilanciare in grande stile la propria iniziativa politica nell'area. In occasione del forum artico, tenutosi a San Pietroburgo all'inizio di aprile, Vladimir Putin ha esposto un piano per incrementare la presenza russa in loco. Gli obiettivi sono molteplici: il presidente non ha del resto mai nascosto di ambire ad estendere la propria influenza su quell'area sia per l'approvvigionamento di gas e petrolio che per incrementare decisamente la spedizione di merci attraverso la regione. In particolare, l'idea sarebbe quella di passare dai venticinque milioni di tonnellate di merci inviate nel 2018 a ben ottanta milioni nel 2024. Senza trascurare che, con questa mossa artica, il Cremlino punti a ridurre notevolmente il tempo di spedizione verso il mercato asiatico (circa il 40% in meno). Un piano ambizioso, che Mosca vorrebbe perseguire attraverso svariate strategie. In primis, Putin ha intenzione di rafforzare la propria flotta di rompighiaccio a propulsione nucleare: la Russia detiene al momento quattro rompighiaccio nucleari e altre tre navi di questa tipologia sono attualmente in costruzione. Entro il 2035 - questo il piano del presidente russo - Mosca dovrebbe arrivare a disporre di una flotta di tredici rompighiaccio pesanti, di cui nove a propulsione nucleare. In secondo luogo, il Cremlino vuole espandere i propri porti su entrambi i lati della rotta marittima artica: Murmansk sulla penisola di Kola e Petropavlovsk-Kamchatsky sulla penisola di Kamchatka. Senza trascurare poi che ulteriori porti nell'area dovrebbero essere ampliati e rafforzati.Per sostenere queste iniziative, Mosca si è detta aperta all'impiego di investimenti privati: pochi giorni fa, il Cremlino ha non a caso annunciato delle agevolazioni fiscali per quelle aziende che sceglieranno di impiegare i propri capitali nella zona artica. Nella fattispecie, le stime parlano di circa 143 miliardi di euro di investimento nell'arco di dieci anni (principalmente nel settore infrastrutturale ed energetico). Infine non bisogna trascurare che, dal 2012, la Russia abbia realizzato 457 siti militari nel territorio artico. Siti come la base di Kotelny: un complesso, dotato di sistemi missilistici di difesa costiera, che risulta geograficamente più vicino all'Alaska che a Mosca. Va da sé che, con ogni probabilità, queste basi si riveleranno funzionali alle nuove ambizioni artiche del Cremlino. È d'altronde in questo quadro generale che la Russia ha di recente effettuato una mossa particolarmente significativa, stabilendo che le navi straniere in transito nell'area saranno tenute ad avvisare Mosca entro quarantacinque giorni. Senza poi dimenticare l'obbligo di prendere a bordo un pilota russo e pagare una tassa.D'altronde, il controllo delle rotte non è l'unico obiettivo del Cremlino. Anche il petrolio giocherà prevedibilmente un ruolo fondamentale nella sua corsa all'Artide. Basti ricordare che, nel 2017, la Bbc parlò del cosiddetto Project iceberg: un piano che prevedrebbe di realizzare svariate basi sottomarine in grado di ospitare ciascuna un reattore da ventiquattro megawatt, con l'obiettivo di raggiungere i giacimenti petroliferi collocati sotto gli strati di ghiaccio più spessi. Si tratta di un progetto che, tra l'altro, dovrebbe prendere avvio tra pochi mesi.Questo iperattivismo russo - neanche a dirlo - sta impensierendo non poco la Nato, che teme un'eccessiva influenza del Cremlino nella regione artica. Già, sempre in occasione del forum di San Pietroburgo, il premier norvegese, Erna Solberg, ha mostrato un certo fastidio verso le annunciate mire russe, affermando che l'Artide sia una regione di pace e stabilità. Inoltre, l'anno scorso, la Nato - con quarantamila soldati - ha organizzato Trident Juncture: la più grande esercitazione militare in Norvegia negli ultimi dieci anni. Gli Stati Uniti si stanno insomma rendendo conto dell'importanza strategica rappresentata dall'Artide: non sarà del resto un caso che, a gennaio, il segretario della Marina americano, Richard V. Spencer, abbia dichiarato che Washington sarebbe intenzionata a riaprire la base navale di Adak, in Alaska, e ad inviare navi nelle acque artiche entro la prossima estate. Lo stesso Pentagono, a giugno scorso, aveva lasciato intendere di voler rilanciare l'iniziativa geopolitica statunitense in loco. Il punto è che lo Zio Sam ha perso non poco tempo, negli ultimi anni. E adesso la concorrenza russa nella zona potrebbe rivelarsi difficilmente contrastabile. Basti pensare che, al momento, gli Stati Uniti dispongano di appena due navi rompighiaccio nell'area: navi che riscontrano, tra l'altro, problemi di funzionamento. E attenzione: perché in queste dinamiche sta cercando di inserirsi anche Pechino. Non è un mistero che il presidente cinese, Xi Jinping, voglia infatti estendere all'Artide la Road and belt initiative.La regione artica si avvia a diventare dunque un teatro di scontro tra titani. E la corsa al Nord è appena cominciata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-corsa-allartico-di-putin-2635819437.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-murmansk-a-sabetta-i-porti-russi-nella-regione-artica" data-post-id="2635819437" data-published-at="1765820243" data-use-pagination="False"> Da Murmansk a Sabetta: i porti russi nella regione artica La Russia dispone di svariati porti situati nella regione artica. Tra questi, vi sono Murmansk, Arkhangelsk,Vitino, Dudinka e Sabetta. Murmansk è una città portuale situata nei pressi della baia di Kola: si trova a 108 chilometri dal confine tra Russia e Norvegia. La calda corrente nordatlantica garantisce che il porto rimanga libero dal ghiaccio per la maggior parte dell'anno. Il porto - ben collegato alle principali città russe via terra e via aria - ospita la base di rompighiaccio a propulsione nucleare, Atomflot. La città portuale di Arkhangelsk si estende su entrambe le rive del fiume Dvina, vicino alla foce sul Mar Bianco: molto importante per l'industria del legno e della pesca, il porto è attualmente aperto tutto l'anno per l'implementazione della tecnologia rompighiaccio. Situato sulle rive occidentali del Golfo di Kandalaksha, Vitino è un porto petrolifero che si affaccia sul Mar Bianco: è utilizzato principalmente per il trasporto del petrolio prodotto nelle raffinerie russe. Dudinka è invece un porto situato sul fiume Yenisei: viene utilizzato per spedire carbone, ferro e metalli non ferrosi. Situata sulla penisola di Yamal, Sabetta è infine sede di un porto e di una centrale a gas naturale liquefatto. La struttura è stata istituita nel 2012 grazie a una partnership tra il governo russo e il colosso del gas naturale Novatek: il porto viene principalmente utilizzato per esportare gas naturale liquefatto via mare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-corsa-allartico-di-putin-2635819437.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-regione-artica-vale-piu-o-meno-90-miliardi-di-barili-di-petrolio" data-post-id="2635819437" data-published-at="1765820243" data-use-pagination="False"> La regione artica vale più o meno 90 miliardi di barili di petrolio In base a una stima effettuata dalla United states geological survey (Usgs) nel 2008, la regione artica conterrebbe circa 90 miliardi di barili di petrolio e 17 trilioni di piedi cubi di gas non ancora scoperti. La zona russa dell'oceano ha la quota maggiore: le sue riserve potenziali ammontano a circa 48 miliardi di barili di petrolio e 43 miliardi di metri cubi di gas naturale. Numeri equivalenti al 14% del petrolio russo e al 40% delle riserve di gas. Tutto questo, mentre l'area accoglierebbe circa il 10% delle risorse conosciute di petrolio a livello mondiale (si parla di una cifra che si aggirerebbe attorno ai 240 miliardi di barili). In questo quadro, la Russia risulta particolarmente attiva: anche perché - stando a dati del 2013 - petrolio e gas naturale rappresentano quasi il 70% delle sue esportazioni totali. Non dobbiamo poi trascurare che, negli ultimi anni, Mosca abbia incrementato notevolmente la produzione di greggio: nel 2018, ha raggiunto la quota di 11,6 milioni di barili al giorno, arrivando quasi a eguagliare i picchi produttivi sovietici degli anni Ottanta. Ma il Cremlino non è comunque l'unico a mostrare ambizioni nella regione. Nel 2017, il presidente americano, Donald Trump, aveva infatti siglato un ordine esecutivo per riprendere delle trivellazioni nell'oceano Artico, ignorando il divieto che era stato varato ai tempi di Barack Obama. Lo scorso marzo, questa decisione è stata tuttavia bloccata da un giudice federale dell'Alaska, che ha definito il provvedimento di Trump illegale e reintegrato così il divieto imposto dal suo predecessore (a meno di una revoca formale da parte del Congresso).
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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