2019-09-27
La Consulta offende l’intera professione. I dottori non sono «angeli della morte»
La Corte è troppo generica: anche i diabetici non guariscono e soffrono. Li eliminiamo?Riservando ad altri autorevoli e competenti commentatori gli aspetti bioetici e antropologici circa la decisione della Consulta in tema di suicidio assistito, peraltro chiaramente espressi l’11 settembre scorso dal cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, vorrei attirare l’attenzione sugli aspetti di mia più stretta competenza, quelli cioè medici, professionali e deontologici. Premesso che faccio il neurochirurgo da 42 anni e ho al mio attivo più di 10.000 interventi chirurgici, non nascondo la mia incredula perplessità di fronte alla confusione - certamente non voluta - che trapela dal comunicato stampa della Corte costituzionale. Forse, all’uopo, qualche consulenza tecnica sarebbe stata doverosa! Nello scritto in oggetto si cerca di porre dei limiti tecnici (paletti, come si dice in gergo) che rendano più accettabile - ma forse sarebbe più opportuno dire, meno odiosa - la legittimazione dell’incivile pratica del suicidio su richiesta. In effetti, si fa riferimento a un soggetto «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da patologia irreversibile (...), fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili». Vale, dunque, la pena di chiarire alcuni punti strettamente tecnici di questa affermazione che, nella sua evidente genericità, appare decisamente pericolosa e dannosa. Quali patologie possono ritenersi sicuramente «irreversibili»? Allo stato attuale il mondo medico considera come «irreversibile» solo la condizione di morte cerebrale, che è normata in Italia per legge (1993/1995). Dando per scontato che i giudici non si riferiscono a quanto sopra, è bene sapere che le patologie irreversibili non sono uno sparuto drappello di condizioni molto rare, magari solo di carattere tumorale. Qualche esempio: Parkinson, coree, atetosi, Sla, Sm, neuropatie degenerative, epilessie, sindromi cicliche. Per non parlare delle «depressioni endogene». Tutte patologie di carattere non oncologico, anzi alcune decisamente benigne sul piano biologico. Si pensi anche al diabete, di cui soffrono milioni di italiani: è «irreversibile», provoca sofferenze, limitazioni, danni personali e relazionali, può comportare danni a numerosi organi e apparati. Suicidio assistito garantito? Si pensi alla «cefalea a grappolo», alla «malattia da stanchezza cronica», alle «sindromi da paralisi ricorrente»: tutte condizioni che richiedono farmaci, cioè «trattamenti di sostegno vitale» per garantire al soggetto una qualche autonomia. Suicidio assistito garantito? Che poi una persona in queste condizioni cliniche ed esistenziali si trovi nella «celestiale» condizione di prendere decisioni veramente libere e consapevoli - magari con l’aggiunta della pressione psicologica familiare e sociale, della serie «prima togli il disturbo e meglio è» - si fa tanta difficoltà a crederlo. Se davvero, come dichiara il comunicato, l’intento è evitare abusi su persone «vulnerabili», la strada più virtuosa è quella della obbligatorietà - stabilita per legge - della presa in carico della persona da parte della medicina palliativa (legge 38/2010), vera cenerentola dell’attuale scenario di welfare medico. Una chiosa finale: la medicalizzazione dell’incivile pratica del suicidio assistito è una gravissima offesa allo statuto ontologico della professione medica. Chi studia medicina lo fa per prevenire e combattere le malattie, per salvaguardare al massimo la vita, per lenire il dolore, non già per far scorrere rapida una flebo carica di cloruro di potassio e fermare il cuore del suo paziente. Se di «angelo della morte» si vuole parlare, si incarichi qualcun altro, senza infangare la millenaria storia della medicina.