2025-07-23
La Consulta: il rigore di bilancio non si applica ai giudici europei
Carlo Azeglio Ciamoi e Giorgio Napolitano (Ansa)
L’articolo 81, che prescrive di trovare coperture agli investimenti pubblici, non vale se la spesa è disposta da una sentenza dell’Ue. Parola della stessa Corte che legittimò, per far quadrare i conti, i tagli alle pensioni.Addio rigore. Si può spendere e spandere, con i soldi pubblici, ma solo se lo dice la Corte di giustizia europea. Governo e Regioni restano invece vincolati all’obbligo di copertura finanziaria. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza che sembra scritta dalle buonanime di Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, quelli che pensavano che senza vincolo esterno di Bruxelles saremmo finiti come la Grecia. Contano di più le leggi italiane o quelle dell’Ue? Come la pensano al Quirinale e nel centrosinistra è noto ed è anche lo stesso fronte che vorrebbe incaprettare l’Italia con l’adesione al Me) e la rinuncia al principio di unanimità nelle decisioni più importanti dell’Unione. Ma ieri è arrivato un altro bel mattoncino alla forzatura del sistema ed è arrivato nientemeno che dalla Consulta. Con la sentenza numero 121 del 2025, depositata ieri, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con sei ordinanze dal Tribunale di Torino. La Corte presieduta da Giovanni Amoroso ha sottolineato che il principio dell’obbligo della copertura finanziaria delle spese contenuto nell’articolo 81 della Costituzione impone un vincolo preciso non al giudice, ma al legislatore e quindi opera per ogni legge, inclusa la Finanziaria, traducendosi nell’obbligo di predisporre, all’atto dell’approvazione delle norme, i mezzi per fronteggiare gli oneri che ne discendono.Quello delle «coperture» è un tormentone di ogni legge di bilancio e non si contano gli interventi del Quirinale per far sì che ogni singolo provvedimento di spesa, da parte dei vari governi, sia perfettamente finanziato. La Corte ieri ha però spiegato che per fronteggiare le spese conseguenti a decisioni delle autorità giurisdizionali, come la Corte di giustizia europea, il nostro ordinamento prevede procedure idonee a garantire al contempo l’effettività delle pronunce e gli equilibri di bilancio. In questa maniera viene quindi sancita la primazia del diritto Ue su quello italiano e l’effettiva tutela dei diritti riconosciuti dall’Ue e dall’ordinamento nazionale. Il lato paradossale di questa sentenza è che sembra dimenticare che il dato politico del primato Ue, dal 2001 a oggi, è stato l’imposizione dell’austerità economica in base ai famigerati parametri «stupidi» di Maastricht, contestati solo dal centrodestra e dall’estrema sinistra. La prima volta che l’Italia dovesse spendere una grossa cifra per ottemperare a una sentenza della Corte di giustizia Ue, si può già immaginare la faccia di un falco del rigore come il lettone Valdis Dombrovskis, commissario agli Affari economici. Perché l’effetto della sentenza di ieri sarà proprio questo: l’Italia non potrà spendere fondi per rafforzare i confini e lottare contro l’immigrazione clandestina, ma poi, se lo dirà la Corte «giusta», rischierà di dover spendere milioni di euro in strutture di «accoglienza». Oppure, in caso di nuovi crac bancari, il governo di turno potrebbe essere costretto a non risarcire completamente i risparmiatori italiani rimasti con il cerino in mano, per mancanza di flessibilità di bilancio, ma poi una sentenza Ue potrebbe autorizzare i risarcimenti. Magari perfino anche agli investitori e agli speculatori, meglio se stranieri. Fantapolitica? Mica tanto, ma c’è un campo dove la Consulta è già intervenuta con una filosofia ben diversa da quella mostrata ieri ed è quello previdenziale. La Corte, negli ultimi anni, ha accettato senza nulla eccepire una serie di decurtazioni delle pensioni degli italiani nel nome di quello stesso rigore di bilancio che, si apprende oggi, può andare a farsi benedire se ce lo dice una qualche, più illuminata, magistratura europea. Come ricordava a marzo Alberto Brambilla, uno dei massimi esperti pensionistici, la Corte costituzionale negli ultimi anni si è espressa più volte «a favore del “raffreddamento” verso gli assegni di importo più elevato e proprio questo, insieme a storture di natura tecnica, fa riflettere: in precedenza, la Corte stessa raccomandava infatti che il taglio fosse di breve durata, proporzionato e non ripetitivo». Ora invece, da almeno cinque anni, i giudici costituzionali avallano qualsiasi taglio. Il rigore può essere allentato solo da Bruxelles, par di capire. Il tema è più caldo di quanto si possa pensare perché due settimane fa il Tribunale di Trento ha sollevato questione di costituzionalità delle nuove modalità di perequazione introdotte con le leggi di bilancio del 2023 e del 2024. Quindi la Corte costituzionale dovrà stabilire, una volta di più, se le modifiche legislative siano conformi ai principi sanciti dalla Carta. Il nuovo sistema a «blocchi» ha colpito anche assegni pensionistici pari a circa quattro volte il trattamento minimo (1.650 euro netti al mese), penalizzando ex lavoratori del ceto medio.In ogni caso, sancire che il rigore di bilancio e la copertura di ogni spesa siano principi che solo le sentenze Ue possono aggirare equivale, di fatto, a indebolire il naturale rapporto tra spesa pubblica e classe politica nazionale, democraticamente eletta. Nella convinzione che questo rapporto sia sempre marcio, o malato.
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