2020-07-10
La Consulta chiede all’Ue cosa fare
Marta Cartabia (Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)
La Suprema corte, interpellata sul bonus bebè agli extracomunitari, anziché stabilire se la norma è costituzionale si rivolge ai giudici dell'Europa per farsi dare un parere.Pensavamo di aver visto di tutto, ma la Consulta di Marta Cartabia riesce sempre a sorprenderci. Non bastavano più gli ultimatum al Parlamento - dopo quello per la legge sul fine vita, di recente ne è arrivato un altro sul tema del carcere ai giornalisti. Adesso siamo arrivati alla Corte costituzionale la quale, chiamata a pronunciarsi su un quesito di costituzionalità, si rivolge alla Corte europea. Fondamentalmente, per interpretare quella stessa Costituzione di cui essa dovrebbe essere garante.La surreale soluzione è arrivata mercoledì, oscurata dalla decisione sul decreto Genova. In ballo, c'era la questione dell'assegno di natalità, sollevata dalla Cassazione: il problema era stabilire se sia lecito imporre agli stranieri extracomunitari il requisito del permesso di lungo soggiorno, come condizione per accedere al cosiddetto bonus bebè. Insomma: pretendere che chi vuole accedere a un beneficio del welfare State sia effettivamente un residente stabile nel nostro Paese, e possa dimostrarlo in virtù della durata del proprio permesso di soggiorno, è o non è costituzionale? Ed ecco che la Consulta, anziché sentenziare, sospende il giudizio e chiede alla Corte di giustizia dell'Unione europea se tale requisito «sia compatibile con il principio di parità di tratamento tra cittadini dei Paesi terzi e cittadini degli Stati membri nel settore delle prestazioni familiari, nei termini in cui tale principio è sancito» dal diritto Ue. Avete capito bene: la nostra Corte costituzionale, anziché preoccuparsi di stabilire se la norma si concilia con la Costituzione italiana, che essa ha il compito di difendere, domanda ai giudici dell'Unione se quella legge «sia compatibile» con il principio di parità di trattamento, ma «nei termini» in cui esso è declinato dal diritto europeo. In sostanza, la Consulta di fatto riconosce la sovranità giuridica dell'Ue. Peraltro, in un momento storico, come ha notato giustamente il vicpresidente della Camera di Fdi, Fabio Rampelli, in cui la sentenza della Corte di Karlsruhe sul Quantitative easing della Bce mostra che, in Germania, i giudici si stanno muovendo in tutt'altra direzione. «È chiaro», spiega infatti il giurista Agostino Carrino, «che le corti nazionali stanno prendendo strade opposte. Quella tedesca rivendica la sua facoltà di decidere sui diritti fondamentali dei cittadini tedeschi. La nostra, invece, ha scelto l'apertura: alla società civile, alla Corte europea e, perché no, anche ad altre corti extra Ue. Per quale motivo non dovrebbe rivolgersi, un domani, alla Corte suprema americana?». Il professore conferma che, nell'ambito del diritto di famiglia, non è inconsueto che la Corte italiana chieda un parere ad altre corti internazionali. Sospendere addirittura i giudizi, tuttavia, «crea un precedente pericoloso: equivale al riconoscimento evetuale e indiretto della sovraordinazione della Corte e del diritto europei», finanche sulla Costituzione italiana. È l'ultima dimostrazione di un processo che in realtà è in atto già da anni (da quando la Consulta ha cambiato idea rispetto alla sua autoesclusione dal rinvio pregiudiziale alla Corte Ue): lo svuotamento della sovranità nazionale e la sua sostituzione con un potere senza volto. E, soprattutto, privo di bilanciamenti e controlli.