Il gruppo controllato dall’armatore italiano Gianluigi Aponte entro fine marzo rileverà la Bolloré Africa logistics, che gestisce gli scali sull’Atlantico. La mossa rafforza l’argine degli Usa per contenere Pechino.
Il gruppo controllato dall’armatore italiano Gianluigi Aponte entro fine marzo rileverà la Bolloré Africa logistics, che gestisce gli scali sull’Atlantico. La mossa rafforza l’argine degli Usa per contenere Pechino.«Dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo». Lo affermava lo scrittore e politico dell’Antica Roma, Plinio il Vecchio, ma forse si sbagliava: a ben vedere fra il vento che soffiava, in tempi più recenti ma comunque quattro secoli addietro, nelle vele delle Compagnie delle Indie e la tempesta che sta per scatenarsi per il controllo logistico dell’Africa, le differenze potrebbero rivelarsi solo marginali. Era una guerra di conquista allora, combattuta dietro la nebbia di un confronto commerciale; lo sarà oggi, quando alla fine di marzo, la Bolloré Africa logistics, società leader che per anni sotto le insegne del finanziere bretone ha dettato legge sui porti, sui binari e sulle strade dell’Africa occidentale, salvo ostacoli a oggi inattesi passerà di mano, arricchendo di un tassello strategicamente essenziale l’impero logistico della Msc di Ginevra.Il gruppo svizzero che fa capo all’armatore italiano Gianluigi Aponte e che recentemente ha conquistato il podio più alto nella classifica mondiale degli operatori di navi portacontainer si è impegnato a completare entro il 31 marzo la due diligence e le trattative precontrattuali per formalizzare l’acquisto di Bolloré Africa logistics sulla base di un valore di impresa di 5,7 miliardi di euro.Se effettivamente anche gli ultimi ostacoli sulla rotta di quella che si configura come la più grande operazione mai condotta sul mercato mondiale della logistica e dei trasporti marittimi saranno superati, Msc non sarà solo il numero uno della flotta mondiale che trasporta container e che controlla quindi la quota più rilevante dell’interscambio mondiale di prodotti finiti, ma assumerà anche le caratteristiche di una gigantesca «diga» in grado di avvolgere l’Africa occidentale, con 42 terminal portuali, magazzini, centri logistici, linee ferroviarie, aziende di spedizione e agenzie marittime, presenti con oltre 20.000 dipendenti in 47 Paesi africani.E il termine «diga» è tutt’altro che casuale: le Compagnie delle Indie erano strumenti usati dal Seicento all’Ottocento per la penetrazione e la colonizzazione commerciale di aree geografiche strategiche lungo le rotte dei traffici. E ora? Come ormai da anni gli esperti di geopolitica ribadiscono in ogni sede, l’Africa è destinata ed è già oggi il campo di battaglia per uno scontro ormai in atto fra Stati Uniti, da un lato, e Cina, dall’altro. Che la numero uno del mondo dei container, la Msc di Gianluigi Aponte e la numero due, la compagnia danese Maersk nel cui capitale figura un numero crescente di fondi di investimento americani, dialoghino ormai da tempo non è confermato solo dall’alleanza 2M, tenuta a battesimo nell’ormai lontano 2014, ma anche da intrecci sempre più frequenti a livello manageriale. E che su questo blocco, che mette teoricamente a fattore comune la forza d’urto di 2,8 milioni di capacità di trasporto container di Msc con i 2,5 milioni di Maersk, sventoli in modo sempre più palese la bandiera a stelle strisce sembra difficilmente contestabile e contendibile, accreditando un concetto di «diga» anti cinese di cui in modo sempre più convinto si discute da mesi.Altrettanto palese che a questo fronte si contrapponga quello della Ocean alliance capitanata dalla compagnia cinese Cosco, alleata curiosamente con la taiwanese Evergreen ma specialmente con quella francese Cma-Cgm che ha tentato invano di mettersi di traverso rispetto alla acquisizione di Bolloré Africa logistics da parte di Msc e che con il finanziere bretone vanta un palmares di rapporti e affari che erano culminati nel 2006 con l’acquisto da parte della stessa Cma-Cgm della compagnia marittima Chargeurs delmas; compagnia che era stata il simbolo, sotto la presidenza Mitterrand, della straordinaria scalata di Vincent Bolloré, letteralmente balzato dalla piccola tipografia di famiglia in Bretagna ai vertici della finanza transalpina e mondiale. Alle due mega concentrazioni si affianca un terzo patto, composto dalla tedesca Hapag lloyd, one (Ocean network express) e la taiwanese Yangming, con l’israeliana ZIm che invece corre da sola. Un equilibrio consolidato? Tutt’altro. La partita vera, quella per il controllo della catena logistica e potenzialmente per il rovesciamento di assetti geopolitici che sembrano essere consolidati, è appena cominciata. Msc ha lanciato il guanto di sfida in Africa, ma certo né Cosco, né Cma-Cgm stanno a guardare. Già tre anni fa, sottotraccia, la cinese Cosco insieme con Cma-Cgm, Dp world (la corporation portuale del Dubai), le due compagnie container di Taiwan Evergreen e Yangming e i più grandi operatori di terminal container come Psa (il gruppo di Singapore presente anche a Genova), Hutchison di Hong Kong e Shanghai international port, si è resa protagonista di una mossa ancora più strutturata nel mondo della logistica: ha dato vita a un consorzio formalmente «no profit» che si candida a curare e «controllare» la digitalizzazione dell’intero ciclo della logistica delle merci. Il consorzio Global shipping business network (Gsbn) è a tutti gli effetti una piattaforma blockchain, ovvero una cabina di regia che nasconde a fatica le mire di centralizzare tutti i metadati sul trasporto con un impatto che inevitabilmente non sarebbe solo commerciale. Gsbn è nato, guarda caso, in netta contrapposizione con Tradelens, un’altra piattaforma blockchain, lanciata sul mercato americano da Ibm e del numero due del trasporto container mondiale, la danese Maersk.Dopo anni caratterizzati dall’acquisizione di grandi operatori del trasporto terrestre e della logistica da parte dei top ten del trasporto marittimo di container e di una influenza sempre più evidente delle compagnie di navigazione nel mondo delle spedizioni e dei grandi centri intermodali, l’operazione Msc-Bolloré (a patto che vada in porto, come detto, a fine marzo) segna un generale innalzamento nel livello dello scontro fra grandi potenze, economiche ma anche militari.Con il grande progetto della Via della seta (che ha incontrato ad esempio a Trieste più ostacoli del previsto arenandosi al primo vero soffio di bora proveniente dall’Occidente), la Cina aveva tentato di applicare alcuni concetti base della sua arte della guerra. La storia insegna anche ai nemici: e la grande strategia delle «dighe» applicata proprio dai cinesi nella guerra con il Giappone potrebbe oggi conoscere una nuova giovinezza nel momento in cui l’asse del conflitto fra grandi potenze torna a spostarsi sul mare. La gigantesca diga che Msc potrebbe trovarsi a controllare dopo il 31 marzo comprende terminal container in Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Camerun, Gabon, Togo, Congo e Guinea Conakry. Una vera e proprio muraglia con fortezze rafforzate da terminal per navi ro-ro (traghetti caricati con automezzi), magazzini, depositi merci, piattaforme logistiche e specialmente società che controllano le dogane. Uno scherzetto niente male per gli investitori cinesi che dal 2013 hanno superato gli Stati Uniti, per volume totale degli investimenti in prevalenza in questa area dell’Africa, e che hanno collocato in miniere, infrastrutture e centri di produzione 47,35 miliardi di dollari.Considerando poi che Bolloré Africa logistics, qualificato di gran lunga come il più importante operatore di trasporto e logistica dell’intero continente africano, dispone anche di tre compagnie ferroviarie (Sitarail, Camrail and Benirail) e sovraintende direttamente alle operazioni doganali della maggioranza dei Paesi dell’Africa occidentale e sudsahariana, curando anche l’accesso al mare per quegli Stati che non lo hanno direttamente, il peso strategico e geopolitico dell’operazione in atto risulta ancora più evidente. Così come risulta evidente la rotta di collisione inevitabile con Ceva logistics (il gigante francese della logistica che aveva acquisito quello che restava dell’africana Ami ed è oggi controllato, guarda, caso dalla francese Cma-Cgm guidata, con trascorsi turbolenti e reiterati interventi dello Stato francese, dalla famiglia di tycoon franco libanese Jacque Saadé, deceduto nel 2018).Con i Patti di Abramo che, passo dopo passo, stanno realizzando per via commerciale una stabilizzazione geopolitica mediorientale non certo a trazione cinese, la sfida sull’Africa potrebbe segnare una svolta ancora più traumatica spingendo la Cina a concentrare sempre di più verso l’Asia le sue ambizioni di espansionismo commerciale e rendendo sempre più teso il confronto sui mari fra superpotenze che sembrano aver riscoperto, a quattro secoli dalle Compagnie delle Indie, che la vera battaglia si combatte sulla cresta dell’onda.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.
Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.
Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».
Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.
«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.






