2023-09-10
La Chiesa deve guardarsi dagli ecoansiosi
L’enciclica «Laudato si’» viene usata per spingere un’idea dell’uomo ridotto a custode del mondo e non suo padrone, come invece è ampiamente scritto in vari passi biblici. Così il rischio è che i sempre più aggressivi catastrofisti strumentalizzino la religione.Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione Si preannuncia, com’è noto, per il 4 ottobre prossimo, festività di san Francesco d’Assisi, una sorta di seguito all’Enciclica di papa Francesco Laudato si’, avente ad oggetto quella che viene in essa definita come «la cura della casa comune», cioè del pianeta Terra. Il concetto di fondo che sta alla base del documento (e che, presumibilmente, verrà ripreso e approfondito in quello che seguirà), è che l’uomo dovrebbe considerarsi non il padrone e dominatore del creato, ma soltanto il suo «custode». Ciò superando quello che si assume essere stato un modo «non corretto» con il quale, nel passato, era stato interpretato il passo biblico (Gen. 28) in cui si legge che Iddio, rivolgendosi ad Adamo ed Eva prescrisse loro di moltiplicarsi, riempire e «soggiogare» la terra, esercitando il «dominio» su ogni altro essere vivente. E lo stesso concetto risulta poi ribadito in innumerevoli documenti pontifici, tra i quali, ultimamente, il messaggio del 1° settembre 2023 in occasione della «giornata mondiale di preghiera per la cura del creato», in cui si auspica «il rinnovamento del nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro del Creatore». Al netto dell’eccessivo appiattimento sulle dominanti visioni ecocatastrofiste poste a base di tale nuova concezione del rapporto tra l’uomo e la natura, può riconoscersi in essa la lodevole finalità di far sì che anche coloro che si professano cattolici pratichino e sostengano uno stile di vita basato su di un uso prudente e oculato delle risorse del pianeta, nell’interesse dell’umanità intera. Vi è però un pericolo, derivante dal fatto che la nozione giuridica di «custodia» implica di per sé il divieto assoluto, per il «custode», di apportare modifica alcuna alla cosa che gli è stata affidata, dovendo egli limitarsi ad assicurarne la conservazione, in vista della restituzione al legittimo proprietario. Questo può comportare che la posizione della Chiesa cattolica venga percepita come sostanzialmente assimilabile a quella delle sempre più numerose e rabbiose frange della galassia ecologista per le quali ogni e qualsiasi modificazione apportata dall’uomo all’ambiente naturale sarebbe equiparabile ad un crimine. A confutazione di una tale percezione, potrebbe forse bastare il ricordo di quanto, con la discrezione e la finezza che gli erano abituali, ebbe ad affermare papa Benedetto XVI nel suo discorso del 22 settembre 2011 al Bundestag della Repubblica federale tedesca (citato anche nella Laudato si’). Egli, infatti, in quell’occasione, dopo aver espresso il più ampio e incondizionato apprezzamento del movimento ecologico che aveva cominciato ad affermarsi soprattutto in Germania a partire, all’incirca, dagli anni Settanta del secolo scorso, osservò che «esiste anche un’ecologia dell’uomo» e che «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere»; parole, queste, che ben possono intendersi non solo come richiamo alle note posizioni della Chiesa contrarie alle manipolazioni biologiche, ma anche, più in generale, come richiamo alle caratteristiche proprie della natura umana, tra le quali vi è quella che spinge l’uomo, a differenza di tutti gli altri esseri viventi, a modificare a proprio vantaggio, senza per questo distruggerlo o deteriorarlo, il mondo circostante. E in ciò si ritrova l’origine dell’intera civiltà umana. Criminalizzare, quindi, ogni modifica apportata dall’uomo all’ambiente naturale per il solo fatto che essa, per definizione, ne comprometterebbe il perfetto equilibrio, equivale a criminalizzare in blocco quella stessa civiltà, auspicando, in sostanza, se non la scomparsa dell’umanità, quantomeno il suo ritorno, anche nella consistenza numerica, all’età della pietra. E non mancano, infatti, movimenti asseritamente ecologisti secondo i quali la specie umana sarebbe da considerare, senza mezzi termini, come «il cancro del pianeta», per cui, a rigore, dovrebbe essere totalmente estirpata o, in mancanza, ridotta almeno alle minime dimensioni possibili. A questo punto vi è, però, anche da osservare che l’esercizio del «dominio» non implica affatto (come, invece, sembra darsi per scontato nell’attuale magistero pontificio) che da esso ineluttabilmente derivi il deterioramento o, addirittura, la rovina e la perdita della cosa che vi è assoggettata. Dovrebbe anzi ritenersi, per comune esperienza, che, di norma, chi è padrone di una qualsiasi cosa, cerchi, nel proprio interesse, di conservarla e, se possibile, di migliorarla per trarne un maggiore vantaggio. Può avvenire, naturalmente, che, per imprudenza, incapacità o disgrazia, il padrone, invece di migliorare la propria cosa, la danneggi o la distrugga. Ma, per far sì che ciò non avvenga, non può esservi altra via se non quella di rendergli nota l’esistenza del pericolo, facendo quindi leva sulla ragionevole presunzione che ogni proprietario ponga la massima attenzione nell’evitare comportamenti contrari al proprio interesse. Ed il principio dovrebbe valere anche con riferimento all’umanità nel suo complesso. Ciò significa che andrebbero individuati i comportamenti individuali o collettivi effettivamente suscettibili di danneggiare l’ambiente naturale, con pregiudizio della qualità di vita o, addirittura, della stessa sopravvivenza della specie umana. Ma l’auspicabile adozione dei provvedimenti volti ad eliminarli o, almeno, a limitarli, non richiederebbe affatto il «declassamento» dell’uomo dal tradizionale ruolo di «dominus» a quello di semplice «custode», con la creazione, per giunta - come invece si fa - di inutili e controproducenti (oltre che antistorici) «sensi di colpa» per quanto avvenuto in passato. Assai più profittevole sarebbe, invece, far comprendere che tali provvedimenti andrebbero adottati per il solo fatto di essere rispondenti (sempre che ciò sia vero) all’attuale, comune interesse di tutta l’umanità. Il che dovrebbe valere anche e soprattutto per quanti riconoscano validità al messaggio cristiano. Essi, infatti, più di ogni altro, dovrebbero nutrire il convincimento che i comportamenti umani, nonostante possibili sbandamenti, rispondano, alla fine - anche per l’intervento della divina Provvidenza - a criteri di ragionevolezza, dal momento che proprio in quanto essere dotato di ragione l’uomo può dirsi creato «ad immagine e somiglianza di Dio». E se poi, per concludere, ci si volesse anche appellare alla saggezza popolare, potrebbe forse osservarsi che non è detto che non possa valere anche per il creato il vecchio proverbio secondo cui l’occhio del padrone (e non quello del custode) ingrassa il cavallo.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
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