2019-03-26
Killer della moschea, avere il manifesto è reato
In manette l'uomo che ha condiviso il video della strage sui social / Ansa
Il manifesto del terrorista che ha massacrato 49 musulmani in moschea deve essere cancellato dalla Rete: previsti fino a 14 anni di carcere per chi lo condivide. Per il governo non si tratta di vietare l'espressione di opinioni. Ma c'è chi teme l'effetto contrario.Le parole tornano a fare paura. Sembra impossibile, ma la Nuova Zelanda ha deciso di mettere al bando - neanche fosse l'Unione Sovietica ai tempi del Dottor Zivago - il manifesto di Brenton Tarrant, le 74 pagine di pseudodelirio suprematista che fungono da architrave culturale della strage di Christchurch. Una decisione presa dall'Ufficio della Censura (ne esiste uno e questa è la seconda sorpresa) per impedire che quelle frasi, quelle idee, quei pensieri istigatori d'una violenza cieca non vengano diffusi e non facciano eventualmente presa sul popolo.Banned, bannato, messo al bando. Lo scritto si intitola La grande Sostituzione, teorizza l'invasione dei migranti come metodo per sostituire etnicamente le popolazioni autoctone (praticamente il piano Kalergi, riprodotto in centinaia di siti online), era composto di 280 pagine ma in un momento di lucidità il terrorista australiano - che dieci giorni fa ha massacrato 49 musulmani in due moschee -, lo ha riletto e lo ha ridotto di trequarti forse per renderlo meno impervio. Quel libello senza copertina e senza editore è al centro di un dibattito internazionale: è giusto o sbagliato censurarlo? Secondo il censore di Stato, David Shanks, non ci sarebbero alternative. Così, mentre il Paese è ancora vittima di una comprensibile onda emotiva dopo la strage di una settimana fa, ha stabilito che il manifesto già pubblicato su alcuni canali online «deve essere cancellato dalla rete e chiunque ne venga trovato in possesso sul suo computer rischia una condanna a dieci anni di carcere, che diventano 14 in caso di condivisione».Nella civile e moderna Nuova Zelanda è in atto una rimozione in piena regola. Niente parole, niente pallottole, niente sangue innocente: come se fosse facile. Aveva cominciato la premier Jacinda Ardern con la frase: «Non pronuncerò mai più il nome di quel killer». E adesso arriva la censura perché il manifesto di Tarrant, come sottolinea Shanks, «contiene giustificazioni per atti di enorme crudeltà come uccidere bambini e incoraggia il terrorismo, indicando anche possibili obiettivi e metodi per attuare gli attacchi. Una cosa ben diversa dal diritto di poter esprimere liberamente le proprie opinioni, anche radicali».La decisione ha suscitato un aspro dibattito mediatico con due domande fondanti: è più facile neutralizzare le idee più estreme nascondendole o rendendole pubbliche per azzerare la curiosità morbosa? I cittadini neozelandesi sono così disarmati da non essere in grado di operare un discernimento critico di ciò che leggono? La libertà del web è un'arma a doppio taglio e in quella giungla è perfino banale trovare il Mein Kampf di Adolf Hitler (peraltro ormai sugli scaffali delle più note librerie) come i Protocolli dei Savi di Sion, a disposizione del senatore 5 stelle Elio Lannutti. Niente di scandaloso, i tempi in cui Jorge da Burgos puniva con la morte per avvelenamento chi si avvicinava al secondo libro della Poetica di Aristotele sono solo cinematografici e riportano al magico Medioevo di Umberto Eco.Oggi solo una cultura trasparente, leale nei confronti di chi le si avvicina, per niente spaventata dalle idee, anche le più cupe, può continuare ad essere il cavallo bianco sul quale l'uomo galoppa nel futuro. Altrimenti è la vecchia pubblicità di un bagnoschiuma. Non per lo spaventato mister Shanks, convinto che basti un diktat per annullare un pericolo virtuale: «C'è differenza fra l'hate speech (incitamento all'odio, ndr) che è legale, e questo tipo di pubblicazione, che è deliberatamente costruita per ispirare ulteriori omicidi e atti di terrorismo». La strategia viene applicata dallo Stato anche alla propaganda dei terroristi islamici (video, comunicati), rigorosamente vietati. Fu proprio la Censura a impedire, qualche giorno fa, la divulgazione e la condivisione del video in diretta della strage, girato dall'assassino con una piccola telecamera montata sull'elmetto (Facebook ne bloccò 1,5 milioni ma se n'è fatte scappare 300.000 copie). Se quell'imposizione alla stampa era comprensibile per evitare che qualche direttore di giornale con i canini da sciacallo avesse la tentazione di moltiplicare i click mostrando il massacro in diretta, la messa al bando di un manifesto etnico risulta perdente. Senza contare che la società di oggi è ben più condizionabile dalle immagini che da astruse e ombrose parole scritte.Contro la decisione censoria si sono scagliati gruppi e associazioni in difesa della libertà di espressione. C'è chi teme che la curiosità produca l'effetto contrario a quello sperato; c'è chi prevede che la censura oscurerà anche le idee pericolose di Tarrant, finendo per togliere impatto ideologico alla strage, che invece aveva una forte matrice suprematista. Originale la testimonianza del giornalista danese Claus Blok Thomsen, che seguì a Oslo il processo contro Anders Breivik: «Riferivamo solo quello che succedeva in aula senza discutere l'ideologia che stava dietro. I parenti delle vittime erano arrabbiati e dicevano: quando cominciamo a censurare noi stessi lo facciamo diventare un martire».Stephen Franks, avvocato costituzionalista e portavoce della Coalizione per la libertà di parola in Nuova Zelanda ha detto all'Associated press in un'intervista: «Le persone si fidano di più l'una dell'altra e dei loro leader quando nulla viene nascosto. Il danno e i rischi sono maggiori nel censurare piuttosto che nel fidarsi; le persone sono capaci di farsi una propria opinione e di vedere il male e la pazzia per quello che sono». Ma la tentazione di considerare i cittadini dei bambini da educare (o rieducare) è sempre forte.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)