2022-05-27
La Casa del Fascio apre le porte agli italiani
Como: la casa del Fascio di Giuseppe Terragni (Istock)
Stanziati i fondi per l’istituzione di un museo nel celebre palazzo di Como, capolavoro assoluto della scuola razionalista. Ora ospita la Guardia di finanza, che traslocherà altrove. Claudio Borghi: «Sarà il più grande polo d’arte moderna del Settentrione». «È un edificio più virale della Tour Eiffel». L’aveva definito così Philippe Daverio, che una decina d’anni fa aveva tenuto un’indimenticabile, immaginifica lezione sulla bellezza dentro quel capolavoro geometrico di marmo e vetro per una volta aperto al pubblico. È la Casa del Fascio di Como, virale perché in tanti la copiano male soprattutto in Germania e in Scandinavia. Virale perché non c’è mese in cui (pioggia, vento, solleone) qualche studente d’architettura australiano o giapponese non si piazzi davanti a quell’icona mondiale del ’900 italiano con cavalletto e tavola per riprodurne forme e spigoli. I comaschi passano e non ci fanno caso, eppure fra un anno potrebbe tornare definitivamente a loro.«È un progetto per il Paese, non solo per la città», ha spiegato Lucia Borgonzoni, sottosegretaria del ministero dei Beni culturali in visita al lago, nell’annunciare che un sogno vecchio mezzo secolo sta per avverarsi. Dopo una paziente opera di pressione durata quattro anni, Claudio Borghi (economista, deputato della Lega consigliere comunale a Como e in questo caso innamorato dell’Astrattismo) ha portato a casa il risultato: il Mibact ha stanziato 1 milione di euro nella legge di bilancio, più un’integrazione annuale di 500.000 euro per la manutenzione. Oggi lui è felice: «Il capolavoro potrà diventare finalmente il più grande museo d’arte moderna, architettura e design del Nord Italia». Per chi ascolta è un giorno particolare, da mezzo secolo si parlava del progetto tanto da farlo diventare la Luisona dell’arte, uno dei simboli del «vorrei ma non posso» della politica culturale nazionale. La notizia commuove perché è anche la dimostrazione delle potenzialità delle istituzioni quando giocano di squadra, senza divisioni partitiche, con l’unico obiettivo del bene comune. Il Mibact è guidato da uno dei colonnelli del Pd, Dario Franceschini, che non si è messo di traverso davanti a un’ottima idea. Oggi quell’opera maestra del Razionalismo firmata da Giuseppe Terragni nel 1936 è la sede della Guardia di Finanza, la Sesta legione che negli anni ’60 inseguiva i contrabbandieri sui crinali con la Svizzera. Un «guardia e ladri» che ha fatto la dura storia della frontiera, ha forgiato un giovane avvocato con un futuro da leader come Giuseppe Guzzetti (allora si faceva le ossa andando a difendere gratis i deboli con la Fiat 124) e ha regalato materiale infinito a Davide Van De Sfroos per le sue ballate laghée. Per 70 anni le Fiamme Gialle hanno mantenuto il luogo di culto abitandolo e rispettandolo, con suprema cura. Ma hanno sempre guardato con stupore quella sede, buona per tutto tranne che per essere una caserma blindata. L’utilizzo di un bene nel rispetto della sua anima (e del sistema nervoso di chi lo vive quotidianamente) è un tema eterno, che Tom Wolfe teorizzò nel divertente pamphlet From Bauhaus to our house, tradotto in Maledetti architetti per esigenze editoriali e di cassetta. Ora la Gdf lascerà la Casa al suo destino naturale, quello di museo del Razionalismo e dell’Astrattismo, esito auspicato da ogni archistar capitata a Como per i più disparati motivi: da Daniel Liebeskind a Peter Eisenman, da Alberto Ferlenga a Rafael Moneo, dagli studiosi della Triennale di Milano ai più disparati storici dell’arte. La Guardia di Finanza troverà una sede più adatta alle sue esigenze, la Casa del Fascio ha un altro destino. Borghi ipotizza una road map: «Servirà ancora un anno di tempo per mettere a disposizione della città e della cultura italiana, anzi mondiale, la struttura. Mi auguro che la scelta continui ad essere condivisa e che vada oltre l’esito della campagna elettorale. Chiunque vincerà si troverà un gioiello in casa». Curiosamente le uniche perplessità circa l’operazione arrivano da Attilio Terragni, pronipote dell’architetto che con Antonio Sant’Elia, Pietro Lingeri, Cesare Cattaneo, Adalberto Libera incendiò il mondo dell’architettura italiana ad inizio ’900 conducendolo sulla strada indicata da Walter Gropius, Alvar Aalto, Le Corbusier. Giganti. Il pronipote storce il naso: «Dire museo è come dire tomba, non è una cosa bella soprattutto se per farlo devi snaturare un edificio che è nato per essere altro. Vedrei meglio una Casa della cultura». Difficile trovare unanimità, ma nel giorno del giudizio un’uscita così tranchant evoca un certo «bastiancontrarismo», sport molto diffuso da Ponte Chiasso a Lampedusa. Oggi, con le tecnologie a disposizione, anche un capannone di periferia può diventare un museo, figuriamoci un capolavoro mondiale, contenitore ideale di lampi immortali d’arte. Lo stesso Terragni junior nel 2018 era favorevole all’idea di Borghi e dell’amministrazione di centrodestra del sindaco Mario Landriscina che in questi giorni conclude il mandato.Per Como è un ritorno alla cultura, un tocco di classe che eleva un territorio diventato una torta turistica da mordere. In quel ramo del lago di Clooney percorso da oligarchi in sordina, marajah festaioli e dai selfie dei Ferragnez in ciabatte griffate, la Casa del Fascio restituita alla città è qualcosa di sobrio e potente destinato a lasciare il segno. Quasi per uno scherzo del destino, nel giorno dell’annuncio, al lido di Villa Olmo scoppia un tombino e liquami di ogni genere ammorbano il lago facendo il giro del Web. Un esoterico contrappasso. Come a dire: la bellezza è fragile, piedi per terra. La strada è lunga ma è necessario affrontarla, allora avanti tutta con la forza delle idee e il pragmatismo per realizzarle. Ammoniva Jorge Luis Borges: «Felicità è il ciclista in fuga, non la premiazione sul traguardo».
Jose Mourinho (Getty Images)