2021-05-18
La cagnara pro Zan dimostra che non serve
Tomaso Montanari (Getty Images)
La giornata contro l'omofobia, celebrata a reti unificate da Quirinale e Unione europea, è la prova plastica che non c'è nessuna discriminazione contro le istanze omosessuali. Semmai a essere zittiti sono gli altri. Serve assolutamente il ddl Zan, insistono, perché in Italia c'è omofobia diffusa, dunque bisogna rieducare la popolazione, formarla, parlare del problema nelle scuole, nei luoghi di lavoro, in tutte le città. A questo scopo - aggiungono - è imprescindibile istituire il 17 maggio «quale Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell'inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere». Ora, se la «cultura del rispetto» fosse completamente assente dall'orizzonte italiano, e se dalle nostre parti non si parlasse mai e proprio mai dei problemi della popolazione Lgbt, forse si potrebbe anche ritenere necessario un intervento formativo e legislativo. Però la realtà ci rimanda un quadro del tutto diverso. Anche se il ddl Zan non è stato ancora approvato, ieri si è comunque celebrata la giornata internazionale contro l'omofobia. Tutti i principali media italiani hanno dedicato enorme spazio al tema dei diritti arcobaleno. Non c'è istituzione che non si sia spesa. Il presidente Sergio Mattarella, ad esempio, ha voluto «ribadire il rifiuto assoluto di ogni forma di discriminazione e di intolleranza e, dunque, riaffermare la centralità del principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». Persino l'Istituto superiore di sanità ha invitato i cittadini a informarsi sulla condizione dei transgender pubblicizzando sui social network il sito Infotrans.it. Dall'Europa è arrivato il messaggio di Ursula von der Leyen: «Io sto orgogliosamente e fermamente dalla parte di una vera Unione dell'eguaglianza», ha cinguettato, mostrando la foto della sede della Commissione Ue illuminata da luci arcobaleno. Tutto ciò dimostra che non c'è affatto bisogno di una legge che imponga chissà quale «educazione ai diritti». Le istanze Lgbt sono già predominanti a livello mediatico, sono onnipresenti nell'intrattenimento di massa (programmi tv, serie, film, libri, fumetti…) e sono condivise a livello istituzionale. Si potrebbe persino affermare che esista una sovrarappresentazione del fenomeno, visto che altre fasce di popolazione non godono affatto di una visibilità paragonabile. Essere «Lgbt friendly», ormai, è conveniente anche a livello di marketing per le aziende. Anzi, sono principalmente grandi corporation transnazionali a promuovere i temi arcobaleno, utilizzando l'impegno sociale a fini commerciali. È all'interno di questa logica che si collocano i due nuovi spot del dolcificante Dietor e delle caramelle Dietorelle, contro cui si è molto speso Vittorio Sgarbi nei giorni scorsi. In uno di questi spot si vedono due ragazze baciarsi appassionatamente. Scandaloso? Per niente. Semmai, appunto, risulta un po' triste notare come i diritti si siano trasformati in prodotti esposti al supermarket. Decisamente più problematico è l'altro spot della nota marca di dolcificanti. Mostra un uomo sdraiato a letto in compagnia di due donne: in pratica uno sdoganamento del poliamore. Di nuovo, non è questione d'essere bacchettoni; non è la rappresentazione dei rapporti promiscui a irritare, bensì la logica a essa sottesa. Queste pubblicità non propagandano la «libertà di amare», ma il desiderio sfrenato che diviene imperativo. L'idea è: puoi, anzi devi, fare ciò che vuoi, a patto che tu possa pagare. Siamo alla commercializzazione del corpo e dei rapporti umani, alla trasformazione del legame famigliare in relazione economica. Se ci pensate, è il medesimo ordine di idee su cui si fonda ogni rivendicazione di legittimità dell'utero in affitto: se posso farlo, ne ho diritto; se posso pagarlo, me lo merito. Valutazioni sugli spot a parte, è un dato di fatto che il «discorso dominante» abbia ormai assunto tonalità arcobaleno e già da tempo vada costruendo (anzi, imponendo) una nuova mentalità soprattutto alle più giovani generazioni. A che servono, allora, corsi e giornate celebrative fissati da una norma? A far ottenere un po' di denari a qualche associazione, niente di più. Se svariati decenni or sono i ragionamenti sull'omosessualità erano nascosti, clandestini, oggi sono onnipresenti e onnipervasivi. La rivendicazione identitaria di gay e trans, ai nostri giorni, non soltanto è concessa: è incentivata, quasi obbligatoria. Altre identità, invece, sono apertamente osteggiate senza che ciò susciti particolari reazioni. Se volete un esempio, andate a leggere ciò che ha scritto ieri sul Fatto lo storico dell'arte Tomaso Montanari. Il celebre «intellettuale» ha commentato la vicenda della libraia di Tor Bella Monaca che rifiuta di vendere il libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia. «Rifiutarsi di vendere un libro della leader di un partito così compromesso col fascismo», ha sentenziato Montanari, «non solo è lecito, ma encomiabile e ormai necessario». Come faccia la Meloni a essere «compromessa col fascismo», cioè con un regime che non esiste più, rimane un mistero. Ma il punto vero è come faccia un «intellettuale» a definire «necessaria» la censura di un libro. Montanari non è un venditore di fumo qualsiasi. È stato molto coccolato dal Movimento 5 stelle (che rimane il partito più rappresentato in Parlamento); nel 2020 è stato nominato da Dario Franceschini presidente della Fondazione archivio museo Richard Ginori. Per una larga fetta della sinistra, in sostanza, Montanari è una sorta di «venerato maestro». Ed ecco il livello del suo ragionamento: prima frigna perché una biblioteca toscana (così dice lui) sta mandando al macero «libri antifascisti». Poi, nello stesso articolo, sostiene che al macero andrebbe mandato il volume a lui sgradito. Tradotto: faccio la vittima e pretendo di zittire chi non mi va a genio. Bene: il ddl Zan segue la stessa logica di Montanari. E tanto basta per rifiutarlo con decisione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)