2022-08-27
L’«Economist» conferma il flop delle sanzioni
Persino il prestigioso settimanale finanziario britannico comincia a farsi domande sulla strategia occidentale contro Vladimir Putin. Mosca tiene botta, ci vorrà ancora del tempo prima che avverta gli effetti delle misure punitive. Da noi, invece, la crisi c’è ora.Le sanzioni dell’Occidente contro la Russia stanno davvero funzionando? A sei mesi dall’invasione dell’Ucraina e dall’inizio delle restrizioni volte a far desistere Mosca dai suoi propositi di conquista, la domanda è più che lecita. Anzi, ancora più interessante è chiedersi se le sanzioni, che qualche effetto negativo stanno pur producendo sull’economia russa, non stiano comunque facendo molto più male a chi le ha comminate. Questo giornale ha più volte affrontato la questione, finendo sempre col propendere per la seconda tesi. Ora la conferma arriva da uno dei giornali considerati più autorevoli in campo economico, The Economist. Il settimanale del Regno Unito risponde con chiarezza all’interrogativo: la guerra combattuta a colpi di sanzioni non sta andando come previsto. Il conflitto economico in corso non sta raggiungendo i suoi scopi, se li raggiungerà sarà solo nel lungo termine e, nel frattempo, l’Europa conoscerà una crisi che rischia di affossarla. Questo, in sintesi, il pensiero espresso dall’Economist. Del resto, basta confrontare gli intenti che hanno spinto a scegliere le sanzioni con i risultati attuali delle stesse. L’obiettivo a breve termine, inizialmente, era quello di innescare una crisi di liquidità in Russia che avrebbe reso difficile finanziare la guerra in Ucraina, mentre quello più a lungo termine era compromettere la capacità produttiva e tecnologica della Russia in modo che, se Putin dovesse avere in mente di invadere qualche altro Paese, non avrebbe risorse a disposizione. Per ottenere i risultati America, Europa e alleati hanno messo in campo divieti che colpiscono migliaia di aziende e cittadini russi. «La metà dei 580 miliardi di dollari di riserve valutarie russe è congelata e la maggior parte delle grandi banche della Federazione è tagliata fuori dal sistema di pagamenti globale. L’America non compra più petrolio russo e a febbraio entrerà in vigore un embargo europeo. Oligarchi e funzionari devono affrontare divieti di viaggio e congelamento dei beni», riassume l’Economist. A fronte di queste iniziative che dovrebbero paralizzare l’undicesima economia più grande del mondo, i risultati - a detta degli esperti - sembrano scarsi. È vero, infatti, che la Russia non è più in «perfetta salute economica» come prima dell’embargo, ma il colpo immediato e mortale che l’Occidente pensava di assestare non si è concretizzato. Il Pil russo si ridurrà del 6% nel 2022, calcola il Fmi, ma è molto meno del calo del 15% atteso per marzo. Le vendite di energia genereranno quest’anno un surplus di 265 miliardi di dollari, il secondo più grande al mondo dopo quello della Cina. Di contro, l’isolamento dai mercati occidentali porterà problemi in Russia solo in una prospettiva a tre-cinque anni. Entro il 2025, per esempio, un quinto degli aerei civili potrebbe essere bloccato per mancanza di pezzi di ricambio. Attualmente le importazioni di pezzi di ricambio, macchinari, tessuti, metalli, componenti per la produzione di prodotti farmaceutici sono diminuite e centinaia di aziende straniere hanno lasciato il territorio. Dei «fastidi» alla Russia sono stati dunque causati ma, per produrre l’effetto di «scoraggiamento» che l’Occidente si aspettava rispetto al conflitto, dovrà passare del tempo. Intanto, le sorti della guerra non verranno influenzate. Al contrario, sarà l’Europa a subire contraccolpi. Se la Russia risentirà di problemi che comunque ci si può aspettare in un’economia di guerra, sembra più difficile digerire l’idea che noi europei, che in quella guerra non siamo coinvolti in maniera diretta (almeno per ora e non si sa per quanto), subiremo a nostra volta e in maniera ben più preoccupante. Mentre i vertici europei si concentrano sull’attesa del crollo russo nei prossimi anni, già a breve noi conosceremo gli effetti devastanti della recessione. Già questa settimana i prezzi del gas naturale sono aumentati di un ulteriore 20%, poiché la Russia ha ridotto le forniture. In autunno, pagheremo il vero prezzo delle sanzioni che ci si rivolteranno contro. C’è infine un ulteriore aspetto che spesso non viene preso in considerazione. Le sanzioni ad un Paese possono finire per spaventarne altri. Così, oltre al fatto che c’è chi le aggira per convenienza (gli embarghi totali o parziali non vengono applicati da oltre 100 Paesi con il 40% del Pil mondiale, visto che non tutti hanno intenzione di subire crisi rinunciando al gas e al petrolio), c’è anche chi non le applica prevedendo scenari futuri. «Più i Paesi temono le sanzioni occidentali domani, meno disposti saranno a imporre embarghi agli altri oggi», avvisa l’Economist. La Cina, ad esempio, può immaginare che, se la questione Taiwan dovesse degenerare, gli Usa potrebbero decidere di affrontare il problema con dure sanzioni. Dunque, a Pechino il tema non è particolarmente gradito, anche se in quel caso imporre un embargo globale sarebbe ancor più complicato, vista la quantità di nazioni che dipendono dalla Cina come loro principale partner commerciale.
Jose Mourinho (Getty Images)