2022-06-30
L’«amico» francese si tiene gli ex terroristi
I giudici transalpini negano l’estradizione per Giorgio Pietrostefani e altri nove estremisti rossi fuggiti a Parigi. Figuraccia di Marta Cartabia che vantava la collaborazione dell’omologo d’Oltralpe. È la dimostrazione che il Trattato del Quirinale per noi è una fregatura.La chambre de l’instruction della corte d’Appello di Parigi ha applicato la dottrina Mitterand: i dieci terroristi rossi arrestati in Francia rimarranno lì. Le «Ombre rosse», così era stata ribattezzata l’operazione, torneranno nell’ombra parigina che da 40 anni le protegge e le nasconde. Compreso l’ex militante di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Insieme a lui si salvano dall’estradizione: Enzo Calvitti, uno dei capi della Colonna romana delle Br; Narciso Manenti, condannato all’ergastolo per l’omicidio del carabiniere Giuseppe Gurrieri; Giovanni Alimonti, condannato a 19 anni per il tentato omicidio di un poliziotto; Roberta Cappelli, condannata all’ergastolo per tre omicidi; Marina Petrella, condannata per l’omicidio del generale Enrico Riziero Galvaligi, del sequestro del giudice Giovanni D’Urso e dell’assessore regionale della Democrazia cristiana Ciro Cirillo; Sergio Tornaghi, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della Ercole Marelli; Maurizio Di Marzio, che dovrebbe scontare in Italia un residuo di pena a 5 anni e 9 mesi di carcere per banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona e rapina; Raffaele Ventura, ex delle Formazioni comuniste combattenti, che dovrebbe scontare 20 anni di carcere in Italia dopo essere stato condannato per concorso morale nell’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra; e Luigi Bergamin, ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo), che deve scontare una pena a 16 anni e 11 mesi di reclusione come ispiratore dell’omicidio del maresciallo della polizia penitenziaria Antonio Santoro. Formalmente la decisione della chambre de l’instruction si è basata su questioni legate a diritti considerati fondamentali, quali il rispetto della vita privata e familiare e il rispetto del giudizio di contumacia, previsti dagli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Fin qui il dato giudiziario. Poi, però, c’è il dato politico, visto che il ministro della Giustizia Marta Cartabia da oltre un anno va sbandierando sulla stampa le «intese» con il suo omologo francese Èric Dupond Moretti con parole di questo tenore: «Forte collaborazione bilaterale tra due Paesi da sempre amici»; «passo storico» che «conferma la sua fiducia verso le istituzioni italiane». E, dopo l’ennesimo incontro con Dupond Moretti, l’8 aprile 2021, aveva detto di aver percepito un «chiaro cambiamento di passo». La decisione della chambre de l’instruction deve quindi essere stata un pugno sui denti: «Rispetto le decisioni della magistratura francese, che agisce in piena indipendenza, ma aspetto di conoscere le motivazioni di una sentenza che nega indistintamente tutte le estradizioni. Si tratta di una sentenza a lungo attesa dalle vittime e dall’intero Paese, che riguarda una pagina drammatica e tuttora dolorosa della nostra storia», ha commentato Cartabia. Un fallimento. Alla lettura della sentenza nel palazzo di giustizia di Parigi, un gruppo di italiani guidato dal deputato della Lega Daniele Belotti, ha gridato «Assassini!». Del gruppo, che aveva srotolato uno striscione di protesta prima dell’udienza, fanno parte anche il sindaco di Telgate, in provincia di Bergamo, comune di Manenti, uno degli ex terroristi, e il presidente e vicepresidente dell’associazione carabinieri di Bergamo intitolata all’appuntato ucciso nel 1979 sotto gli occhi del figlio di undici anni. «Altro che solidarietà europea», ha commentato Matteo Salvini, accusando la Francia: «Proteggere terroristi che hanno ucciso in Italia è una vergogna». «Una decisione inaccettabile e vergognosa», l’ha definita Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.L’unico che può impugnare la decisione è il procuratore generale della corte d’Appello di Parigi. In caso contrario, la procedura verrà archiviata. Anche se, dalla Procura generale di Milano, a caldo fanno sapere che stanno valutando l’esistenza nell’ordinamento francese di una impugnazione come quella prevista dal codice di procedura penale italiano. E, così, naufraga anche il Trattato del Quirinale, firmato il 26 novembre 2021 alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella nel corso di una cerimonia in pompa magna al Colle. Un’intesa «per una cooperazione rafforzata tra i due Paesi», alla quale era seguita la stretta di mano tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron e poi quella, all’epoca definita «intensa e prolungata», tra il presidente francese e il Capo dello Stato. Ad avvantaggiarsene, però, a conti fatti, sono solo i francesi. Nonostante nel Trattato, al punto 4.2 (paragrafo C e paragrafo D) siano state impresse, nero su bianco, queste parole: «Rafforzare la cooperazione in materia di giustizia [...] nonché la cooperazione in materia penitenziaria». Doveva essere lo spartiacque. Ma la Francia ha scelto la linea della dottrina Mitterand. La palla passa, forse, alla Procura generale di Milano. Con buona pace del ministro Cartabia.