
- Il numero uno del marchio bolognese Federico Ballandi, che ha da poco aperto uno showroom a Mosca: «Con i negozi chiusi le cose non funzionano. L'online non è sufficiente. Il made in Italy deve fare sistema in modo da rilanciare l'export. E serve il passaporto vaccinale»
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Summer is calling è il nome della nuova collezione di Kontatto, spumeggiante brand bolognese che del colore e dell'allegria ne ha fatto una cifra stilistica. «L'estate chiama e noi dobbiamo rimanere in casa. Come facciamo? Tutto perfetto, vedrai che la moda così va avanti...». È ironico il patron, Federico Ballandi. Ma anche no. Perché il momento è carico di problemi nonostante i numeri che reggono l'impatto negativo: 24,5 milioni di euro di fatturato nel 2019, una distribuzione in oltre 2.500 negozi multibrand in due continenti, 60 dipendenti e cinque monomarca a Bologna, Milano, Milano Marittima, Casalecchio di Reno e Sassuolo. All'estero, Kontatto è distribuito in Belgio, Olanda, Austria, Polonia, Cipro, Grecia e Hong Kong, ma soprattutto è appena approdato in Russia, con uno showroom a Mosca.
Non va male, quindi.
«Siamo stati abbastanza in linea con il campionario presentato per la primavera/estate e che ha riscontrato parecchio interesse. Però, proprio ora che la gente avrebbe voglia di guardare le vetrine e magari entrare per acquistare, le attività sono ferme. Il prolungarsi della pandemia mette tutti in uno stato d'animo difficile, soprattutto i commercianti. Ci si chiude in casa a guardare tv e social ed è tutta una notizia negativa. Non è vita, non c'è energia per il nostro sistema».
Si protrarranno ancora le chiusure. Come affronterete la nuova stagione?
«Tutte le varie soluzioni le abbiamo già studiate, ci ragioniamo soprattutto noi che abbiamo diversi negozi nelle località turistiche. La Pasqua si sta avvicinando, è veramente un danno grosso anche a livello d'immagine della moda. Ma le strade sono chiare, non ci possono più raccontare niente, devono dare la possibilità agli imprenditori di vaccinare all'interno delle aziende subito, di mettere in sicurezza le persone costruendo un data base semplicissimo dove inserire nome e cognome per poi sviluppare i passaporti sanitari. Ma è così difficile?».
Senza dubbio bisogna fare squadra per portare avanti questi progetti.
«Camera moda e le istituzioni si coalizzino subito per aiutare noi industriali, a cominciare dalla possibilità di far ripartire le esportazioni perché è quello che ci serve. In questo delirio completo che ormai dura da oltre un anno il nostro modo di lavorare può essere vincente. Siamo camaleontici, le collezioni si distinguono per il giusto rapporto qualità prezzo, vogliamo riprenderci le vetrine, far entrare le persone nei negozi, invogliarle anche attraverso le vendite online».
Lei punta sull'estero.
«Abbiamo bisogno, quando sarà il momento, di riportare oltre i confini il nostro sistema di fare moda. Spagna, Belgio, Germania sono mercati molto importanti. Hong Kong sta ripartendo, Mosca non si è mai fermata. Con un mercato solo domestico non ne usciamo».
Ma scommette anche sulla moda fisica.
«Assolutamente sì. La moda virtuale non si fa, lo hanno visto anche i grandi marchi, riescono a tamponare vendendo accessori ma l'abbigliamento online non viene recepito per il suo valore. La moda non è un film, può essere interpretata in un film ma la donna deve essere vestita davvero. Ci deve essere un contatto fisico, ci vogliono dei progetti concreti».
Non basta l'online?
«Ma no, non raccontiamocela. Soprattutto non basta con il lockdown. Purtroppo, in questo momento, anche l'interesse nei confronti dei social è calato. Guardi una presentazione, vedi capi che ti piacciono, ma poi dove vai? Non c'è modo di ritrovarsi e di avere il piacere di sfoggiare qualcosa di nuovo».
Cosa auspica come aiuto per le esportazioni?
«La possibilità di avvicinarci a dei nuovi mercati con fiere e manifestazioni. La possibilità di viaggiare e di portare il nostro lavoro nel mondo. A fine febbraio abbiamo partecipato alla fiera a Mosca, il Cpm. È andata molto bene, c'era un notevole fermento. Soprattutto vaccinavano, perfino nei centri commerciali, la vita riprendeva alla grande, le persone erano più libere. Quella è la soluzione per risolvere il problema della moda, del made in Italy, per far ripartire la filiera. Ci siamo tutti dentro».
Fino a ieri i marchi della moda sono sempre andati per conto loro. Crede sia possibile fare sistema?
«Ne sono convinto. È l'unico modo se si vuole mantenere viva l'enorme potenzialità del made in Italy nel mondo. Se non ci si coalizza, anche grazie a consigli e interventi di Camera moda, non si va da nessuna parte. Bisogna già ora tracciare le linee guida. Sennò rischiamo di partire quando gli altri saranno già arrivati. E invece i più bravi, i più invidiati, i più copiati siamo noi. Non aspettiamo che le catene ci facciano un'altra volta lo sgambetto. Dobbiamo essere noi con la nostra creatività a realizzare le condizioni per ricominciare a viaggiare».
Cosa chiedere alla politica?
«Che stia davvero vicina agli imprenditori per capirne le necessità tracciando linee guida per far ripartire la filiera dell'esportazione. Abbiamo attraversato quest'anno facendo fronte agli impegni di tasca nostra e cercando di far lavorare i ragazzi, ci siamo reinventati, non abbiamo bisogno di fare tagli e stiamo rafforzando i sistemi di produzione e aziendali della nostra factory».
Lei ci ha abituato a presentazioni molto coinvolgenti in diretta sui social. Mare, montagna, collina, belle ragazze e capi accattivanti. Dove ci porta con questa collezione?
«A Bologna c'è una scuola di moda dove, dopo Pasqua, quando riapriranno i negozi, faremo una sfilata in diretta sui social per presentare le ultime collezioni che stiamo ottimizzando ora per non fermarci. E, come è nel nostro stile, sarà una proposta di colori, fiori, voglia di vivere. Ancora una volta cercheremo di svegliare l'entusiasmo di tutti».






