2023-08-11
Per espellere i potenziali killer bisogna cambiare la legge: così
L’assassino di Iris era qui e a piede libero per l’indulgenza delle toghe ma anche per gli appigli della Bossi-Fini. Vanno ribaltati gli articoli 13 e 19, che impediscono il rimpatrio in presenza di parenti italiani o misure cautelari.A condannare a morte Iris Setti (seppur indirettamente) sono state la cittadinanza italiana della madre e della sorella del trentasettenne nigeriano Chukwuka Nweke, le misure cautelari a cui è stato sottoposto negli anni e le reiterate richieste di permesso di soggiorno. Tutti questi elementi, come la presenza di figli minori, hanno reso impossibile la sua espulsione.Per superare tutti questi ostacoli può intervenire solo un provvedimento del ministro della Giustizia per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Ma sino a sabato queste condizioni, nel caso di Nweke, non erano sul tavolo.Anche perché la tragedia di Rovereto sta mettendo a nudo tutti i difetti dell’ormai obsoleta legge sull’immigrazione che porta il nome di Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Una riforma che ha bisogno di urgenti modifiche.L’articolo 19 recita che «non è consentita l’espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana».In effetti la mamma di Nweke, Margarette, classe 1958, e la sorella Anthonia, 41 anni, hanno entrambe preso la cittadinanza tricolore.Una norma che unita all’impossibilità, prevista dall’articolo 13, di espellere persone sottoposte a misure cautelari (in particolare in carcere) rappresenta un combinato disposto difficile da aggirare. Nonostante i ripetuti tentativi dell’ufficio immigrazione della Questura di Trento che, per esempio, il 19 gennaio del 2023 aveva inviato una nota ai carabinieri di Mori in cui «veniva richiesto di essere informati tempestivamente all’atto della cessazione della misura cautelare» di Nweke, in quanto l’ufficio «avrebbe valutato l’opportunità di un decreto di espulsione, previa verifica dei motivi ostativi indicati nell’articolo 19».Ma per meglio comprendere l’illogicità delle attuali norme conviene ripercorrere le gesta del presunto killer sul territorio italiano. Un decennale corpo a corpo tra il nerboruto africano e le forze dell’ordine italiane che non sono riuscite a ottenere l’allontanamento dell’uomo.Il nigeriano è entrato in Italia nel 2008 con regolare visto d’ingresso. L’ufficio immigrazione di Verona gli ha rinnovato il permesso di soggiorno sino al 2016, prima come lavoratore subordinato e, dal 2013, come autonomo.Quando Nweke si è trasferito vicino a Rovereto ha ottenuto un prolungamento sino al marzo 2019, prima come dipendente e poi come disoccupato.Quando è finito per la prima volta in carcere, nel 2018, il Tribunale di sorveglianza di Trento, attivato dall’ufficio immigrazione, emette un decreto di espulsione quale misura alternativa alla custodia carceraria in quanto il permesso di soggiorno risultava scaduto e non rinnovato. Ma Nweke presenta ricorso e riesce a evitare l’allontanamento sino a luglio, quando viene scarcerato e il provvedimento automaticamente decade.A questo punto l’ufficio immigrazione riprende in carico la pratica del nigeriano e la Questura emette un nuovo decreto di espulsione. Per questo, il 17 luglio 2019, l’uomo viene condotto presso il Centro di permanenza per i rimpatri di Torino.Però davanti al giudice di pace il suo avvocato, Claudio Rombol, riesce a dimostrare che dal carcere Nweke aveva chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, ma che all’ufficio postale avevano sbagliato il cognome del nigeriano. Inoltre viene rivendicata anche la cittadinanza italiana dei parenti stretti.Per questo il 13 agosto 2019 la Questura revoca il provvedimento in autotutela e Nweke può lasciare il Cpr.Il 13 gennaio 2020 sempre la Polizia respinge la nuova richiesta di permesso perché il precedente era stato rilasciato «per attesa occupazione», ma non era seguita nessuna assunzione.Allora il 10 marzo il nigeriano torna alla carica richiedendo un’autorizzazione a restare nel Belpaese «per coesione famigliare con la moglie e i figli regolarmente soggiornanti».Il 19 giugno 2020 il commissariato di Rovereto invia un preavviso di rigetto per mancanza di redditi della moglie, per inidoneità dell’alloggio e per il precedente diniego. Il legale invia diverse memorie ed eccepisce nuovamente che l’uomo è figlio e fratello di due cittadine italiane. Seguono i due arresti del 2021 e del 2022. In entrambi i casi l’uomo finisce ai domiciliari.Nonostante i giudici non sembrino cogliere la pericolosità di Nweke, il 27 aprile 2023 la Questura respinge anche l’istanza di permesso per motivi famigliari (visto che non convive con moglie e figli, nel frattempo rifugiati in una residenza protetta). Sebbene non risulti sia stato presentato alcun ricorso contro tale decisione, l’espulsione non viene eseguita perché Nweke aveva l’obbligo di firma e la Questura attendeva la fine della misura cautelare per ritentare la carta della richiesta di espulsione con il nulla osta dei pm.L’ex procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, esperto di questi temi, prova a suggerire una via di uscita: «Almeno per la procedura di rilascio del permesso di soggiorno a chi si sia reso autore di reati, si potrebbe stabilire, con una modifica della legge, la possibilità del rimpatrio nel Paese di origine del richiedente, in attesa del perfezionamento della procedura amministrativa in senso a lui favorevole o sfavorevole».Ma, falle normative a parte, non si può escludere una certa superficialità dell’autorità giudiziaria che con Nweke non ha certo usato il pugno di ferro. Ma, anzi, come dimostrano le dichiarazioni rilasciate ieri a questo giornale dalla procuratrice di Rovereto Viviana Del Tedesco, ha dimostrato molta comprensione. Forse troppa.Ecco qualche esempio. Il 23 agosto del 2022 l’indagato ha aggredito dei passanti e una gazzella dei carabinieri.In un video si vede l’uomo che a torso nudo vaga per la strada roteando come una frombola la camicia, prima di aggredire un tranquillo signore in bicicletta e balzare sul tetto dell’auto dell’Arma.Dopo questo episodio Nweke è stato mandato ai domiciliari e il 13 gennaio scorso è stato rimesso in libertà con l’obbligo di firma. È stato giusto? Probabilmente no, anche perché a Rovereto il presunto assassino era conosciuto perché, non di rado, ubriaco e molesto infastidiva la gente e il 17 settembre 2018, tra le 22 e 22,30, per esempio, nella piazza centrale del Comune di Ala, si era masturbato davanti a un bistrot.Non basta. Il 15 febbraio 2018 si era reso protagonista di un episodio del tutto analogo a quello del 23 agosto del 2022. Dalla sentenza che lo ha condannato apprendiamo che Nweke quel giorno si trovava davanti all’ingresso della Usl 3 e «con fare insistente, e a tratti minaccioso, importunava i soggetti che ivi transitavano, con la finalità di ottenere l’elemosina». Dopo un primo intervento dei carabinieri, l’uomo aveva collocato dei cassonetti della spazzatura in mezzo alla strada in modo da rendere «difficoltosa la circolazione» delle auto verso la stazione ferroviaria e «inveiva ad alta voce contro gli utenti dell’azienda ospedaliera». «Raggiunto dai militari per l’identificazione si rifiutava di fornire i documenti e li strattonava», dopo averli «minacciati con un grosso sasso raccolto da terra». Infine «si dava alla fuga, ma veniva prontamente raggiunto e condotto in caserma». Nweke, dopo la convalida dell’arresto, venne immediatamente scarcerato e sottoposto all’obbligo di firma. Alla fine del rito abbreviato il giudice gli concesse le attenuanti generiche avendo «dichiarato di essere pentito per i fatti» e «manifestato una sostanziale resipiscenza per il fatto compiuto». Per la toga, che avrebbe potuto espellerlo ai sensi dell’articolo 15 della Bossi-Fini, si era comunque trattato di «un fatto occasionale che appare espressione di un momentaneo sconvolgimento».Alla fine la toga non concede la sospensione condizionale della pena perché l’imputato risultava gravato da un precedente simile e lo condanna per violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale a sei mesi di reclusione. Che diventano 8 mesi e 18 giorni con il cumulo e aprono, il 23 novembre 2018, a Nweke le porte del carcere.Ma c’è un’altra grave accusa che, se fosse stata presa nella debita considerazione, avrebbe potuto impedire al nigeriano di nuocere. È quella che riguarda il suo coinvolgimento in un’inchiesta per droga (una costola di un procedimento contro la mafia nigeriana) della Direzione distrettuale antimafia di Trento.La Squadra mobile della Questura, nel luglio di un anno fa, ha inviato una dettagliata informativa su 18 africani accusati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, che evidenziava come Nweke e altri 10 connazionali fossero stati arrestati in flagranza di reato. Il presunto assassino era finito in manette il 9 gennaio 2021 dopo che era stato trovato in possesso di 56 dosi di eroina e due confezioni di marijuana. In questi giorni il procuratore di Trento Sandro Raimondi non ha voluto spiegarci come mai il fascicolo sia ancora fermo in Procura, ma a quanto ci risulta non sarebbe stata richiesta alcuna misura cautelare (nonostante la circostanziata segnalazione della Polizia) e nessuno avrebbe ancora chiesto il rinvio a giudizio. In caso di condanna Nweke avrebbe potuto essere rimpatriato per espiare la pena nel suo Paese oppure, in fase istruttoria, la Procura avrebbe potuto rinunciare all’azione penale e dare il nulla osta all’espulsione. Tutte cose che non sono accaduta anche per la lentezza della giustizia italiana. Che è una delle cause indirette della morte della Setti.In queste ore abbiamo raccolto le riflessioni di alcuni autorevoli operatori del settore della sicurezza e siamo arrivati alla conclusione che per evitare che si ripetano altri casi Nweke il legislatore dovrebbe intervenire sugli articoli 13 e 19 della Bossi-Fini e stabilire che in presenza di reati che evidenzino l’incapacità di integrarsi, gli stranieri, anche se con parenti italiani, perdano il diritto al permesso di soggiorno e siano rimpatriabili. Inoltre le misure cautelari non dovrebbero più rappresentare un blocco amministrativo. Anzi l’autorità giudiziaria, una volta consultato il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, dovrebbe rilasciare in automatico il nulla osta all’espulsione dello straniero ritenuto pericoloso, a prescindere dal suo casellario giudiziale. Proposte che speriamo qualcuno faccia proprie in Parlamento o a Palazzo Chigi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)