2022-12-16
Karibu, in 5 indagati. E, come anticipato, c’è pure lady Liliane
Liliane Murekatete e Aboubakar Soumahoro (Imagoeconomica)
Interdittive per la mamma, il cognato e la moglie del deputato. La Jambo, scoperta dal nostro giornale, usata come «cartiera».Gli indagati per il grande affare dell’accoglienza pontina con il Sistema Karibu, la coop di Marie Therese Mukamatsindo, suocera del già sindacalista dei braccianti e ora deputato con gli stivali di gomma dell’ultrasinistra Aboubakar Soumahoro (che non è coinvolto), sono già cinque. E oltre alla Grande signora di Umuganda, come la stampa locale ha ribattezzato Marie Therese, ci sono altre quattro persone: uno dei figli di Marie Therese, Michel Rakundo, membro del Cda di Karibu e penna del Black post, il giornale online per i migranti, l’altra figlia, nonché moglie di Soumahoro, Liliane Murekatete, pure lei nel Cda (La Verità aveva già anticipato che le indagini puntavano anche verso il coinvolgimento di entrambi), Richard Mutangana, terzo figlio della Mukamatsindo e legale rappresentante dell’associazione Jambo Africa (ovvero l’uomo che, come avevamo ricostruito, mandava i fondi di Karibu in Ruanda, dove aveva aperto un ristorante in un resort di lusso e dove ha investito nel noleggio di jeep per safari), e le due donne che hanno sostituito Mutangana in Jambo Africa, Christine Ndyanabo Kabukoma e Ghislaine Ada Ndongo.A tutti e cinque, compresa la moglie di Soumahoro che si è affrettata a dichiarare di non avere ruoli in Karibu (ma che, avevamo scoperto, nell’ultima assemblea della coop, indetta lo scorso 30 agosto per l’approvazione del bilancio, c’erano solo due nomi scritti nero su bianco, quello della Mukamitsindo e quello della figlia, «chiamata a fungere da segretario»), la Procura di Latina contesta reati fiscali. Con al centro proprio Jambo Africa, «costituita», certifica ora la Procura, «solo per prestare manodopera a Karibu, secondo collaudati schemi illegali di esternalizzazione di manodopera [...] onde giustificare a posteriori le uscite che Karibu aveva l’obbligo di rendicontare nell’ambito dei progetti Sprar e Cas». L’associazione, insomma, sarebbe stata utilizzata come schermo per «evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto». Impiegando false fatture. Un aspetto che era già emerso dall’inchiesta della Verità, che aveva ricostruito il giro di fondi che arrivavano sui conti corrente di Jambo Africa e che poi Mutangana usava per caricare le sue Postepay, per inviarli a Karibu Rwa, coop gemella ruandese, e per innumerevoli prelievi da bancomat in Ruanda. Gli investigatori della Guardia di finanza hanno stimato «operazioni inesistenti» per il valore di 500.000 euro nel 2015 (dei quali 137.500 di Ires, l’imposta sui redditi delle società, evasa), di 1.671.409 euro nel 2016, (dei quali 459.637 euro di Ires evasa), 22.431 euro nel 2017 (4.600 euro di evasione), 1.462 euro nel 2018 (304 euro di evasione) e 55.700 euro nel 2019 (13.300 euro di evasione). Per Marie Therese c’è anche una contestazione legata all’evasione di oltre 3.000 euro di Iva. Liliane Murekatete e il fratello Michel Rakundo, invece, avrebbero «indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione delle imposte dirette», usando proprio, secondo l’accusa, le fatture di Jambo Africa. Tutte riportate nel conto mastro con questa giustificazione: «Spese vitto e alloggio ospiti». E delle quali ora, oltre a Mutangana, devono rispondere anche le due amministratrici di Jambo Africa. Christine, che La Verità era riuscita a sentire, aveva preso le distanze, sostenendo di essere stata una semplice operatrice: «Io prendevo circa 7-800 euro al mese per il lavoro che facevo, che non era solo quello di presidente (di Jambo Africa, ndr)». Poi ha spiegato: «Ero solo una lavoratrice della Karibu. So che mettevano alcuni di noi come soci, ma non venivamo retribuiti per questo». E ora la Procura ricostruisce il ruolo di quell’associazione che, insieme al Consorzio Aid (altra coop di Marie Therese), sarebbe una «struttura satellite riconducibile alla sola Karibu». In sostanza associazione e consorzio sono risultati essere «schermi fittizi per l’esecuzione di un illecito meccanismo fraudolento a gestione familiare». Ovvero il Sistema Karibu. Una conferma ulteriore è arrivata da Adele F., una delle ex operatrici, che su Jambo Africa ha precisato agli inquirenti: «Era gestita dal figlio di Marie Therese [...] erano cooperative satelliti di Karibu, nel senso che i punti di riferimento erano sempre i responsabili di Karibu e in particolare la signora Mukamitsindo». Jambo Africa, inoltre, secondo gli investigatori, «non era dotata di autonomia e non era in grado di procurarsi da sola le risorse per realizzare le prestazioni oggetto di fattura, considerata anche la comprovata assenza di beni strumentali». È ancora Adele a spiegare che l’associazione «non faceva attività di formazione e di alfabetizzazione agli ospiti ma si occupava genericamente di assistenza». E alla fine, come segnalato dall’Agenzia delle entrate, Jambo Africa si è limitata ad assumere personale «usato per le attività di Karibu». Insomma era una cartiera. Serviva per emettere fatture e giustificare costi. E a Jambo Africa, si è scoperto, si era aggiunta un’ulteriore associazione: la Mukra, pure questa usata con le stesse finalità e della quale non c’è traccia neppure sul web. Fin qui i trucchetti fiscali per evadere le tasse, che hanno spinto il gip di Latina Giuseppe Molfese a disporre il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche per un anno per Mukamitsindo, Rakundo e Murekatete. Secondo i pm, «ove non adeguatamente interdetti, oltre a reiterare reati della stessa indole, potrebbero continuare a percepire e gestire eventuali contributi o finanziamenti pubblici». Ma potrebbero anche «alterare, occultare o distruggere documentazione contabile». Cosa che a Sezze, vecchia sede delle coop, stava già avvenendo. I carabinieri, infatti, un mese fa hanno recuperato materiale contabile che stava per finire nella spazzatura. Poi, dalle testimonianze raccolte dal capo della Procura di Latina Giuseppe De Falco e dal pm Andrea D’Angeli, sono emerse ulteriori questioni, al momento non ancora approfondite. Una di queste l’ha svelata Ludovica B., che ha lavorato per la Mukra, e che ai magistrati ha riferito: «Molti ospiti degli Sprar si allontanavano dalle strutture per ricongiungersi ai familiari. Di questo i responsabili di Karibu venivano informati, ma non provvedevano a espungerli dalla lista tenendoli appesi per tre o quattro mesi, continuando a percepire il contributo dell’ospite». E questa, probabilmente, sarà la prossima tappa dell’inchiesta.
(Totaleu)
Lo ha affermato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Pietro Fiocchi in un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles, in occasione dell'evento «Regolamentazione, sicurezza e competitività: il ruolo dell’Echa (Agenzia Europea per le sostanze chimiche) nell’industria e nell’ambiente europei».
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