2020-12-30
Juve, Ferrari e Fca. Nel derby tra cugini Jaki batte Andrea
Andrea Agnelli e John Elkann (Ansa)
La Signora fatica e il presidente vorrebbe saltare sul Cavallino. Ma John Elkann non ci sta e intanto si gode un 2020 mai così ricco. «È ora che cominci ad accontentarsi». Così John Elkann ha liquidato le sollecitazioni che, tramite «ambasciatori», Andrea Agnelli gli ha fatto arrivare: punta all'ambitissima poltrona di amministratore delegato di Ferrari Spa dopo le dimissioni di Louis Camilleri. Il quale se n'è andato - anche dalla presidenza di Philip Morris - ufficialmente per le conseguenza di una grave forma di Covid, ma in realtà dopo aver saputo che, proprio in quella fase della sua malattia, John aveva incaricato i cacciatori di teste di trovargli un sostituto prima di chiudere l'esercizio finanziario. Andrea Agnelli invece non si accontenta di fare già parte del cda di Exor e di Fca, e nemmeno del nuovo prestigioso incarico che il cugino gli ha magnanimamente concesso alla fine di settembre inserendolo tra i cinque membri di Exor per il board di Stellantis, la società nata dalla fusione Psa-Fca: John e Andrea appunto, accanto a Fiona Clare Cicconi (manager di Astrazeneca, quella dei vaccini), Wan Ling Martello (già manager di Nestlé e Walmart, dal 2020 socio e fondatore della società di private equity BayPine) e Kevin Scott (manager di Microsoft). I sei della parte francese sono Carlos Tavares, Robert Peugeot, Henri de Castries, Nicolas Dufourcq, Ann Frances Godbehere, Jacques de Saint-Exupéry. In quanto alla Ferrari, già in passato John aveva fatto un supremo sgarbo al detestato cugino: fece entrare Lapo (poi costretto a lasciare dopo il suo finto sequestro a New York) e non lui nel cda di Maranello. Un'altra volta Jaki aveva offerto (per finta) la presidenza della Ferrari ad Andrea ponendo due condizioni: senza deleghe e dopo aver abbandonato la Juventus, che allora vinceva assai. Ora invece l'incontentabile Andrea sarebbe perfino disposto a lasciare la presidenza della Juve anche perché i nodi stanno venendo al pettine. Sia quelli tecnici, con i problemi legati ad Andrea Pirlo e ai risultati che non arrivano, sia soprattutto quelli legati ai costi. Infatti la prossima semestrale della Juve potrebbe certificare un debito lordo gigantesco da 600 milioni, che metterà Jaki davanti a un bivio: far entrare un grosso fondo straniero, come nel caso del Milan, o costringerlo ad aprire ancora una volta il portafogli iniettando centinaia di milioni nella società. Per evitarlo, un primo passo sembra inevitabile: non rinnovare il contratto in scadenza di Cristiano Ronaldo. L'operazione si può «mascherare» in vari modi, ma ovviamente Jaki non vuole assumersi una responsabilità diretta e vuole lasciare il cugino come bersaglio dei tifosi. Inoltre John non si fida di colui che ispira le operazioni finanziarie di Andrea: Francesco Roncaglio, 42 anni, ex bocconiano, che siede nel cda della Juventus e della Banca del Piemonte ed è l'ad di Lamse (la holding di partecipazioni che fa capo al presidente della Juventus e a sua sorella Anna) e presiede Investimenti Industriali, la società che gli Agnelli hanno insieme alla famiglia Ginatta. Questo connubio fa venire l'orticaria a John per altre storie poco commendevoli che riguardano Andrea insieme a Roberto e Matteo Ginatta, gli amici e soci di famiglia che sembrano (ma non sono) essere stati rinnegati dopo le disavventure giudiziarie della loro Bluetec in cui sono stati e sono implicati con un ex stabilimento Fiat di Termini Imerese per il quale Invitalia di Domenico Arcuri aveva versato loro 16 milioni. Jaki è anche molto seccato per le continue cadute di stile della Juve: l'esame-farsa di Luis Suarez a Perugia, le ripetute bestemmie in diretta tv di Gianluigi Buffon (cui Andrea avrebbe affidato compiti di intelligence nello spogliatoio, prima con Sarri e ora con Pirro), le polemiche col Napoli, gli atteggiamenti strafottenti di Pavel Nedved, il potere assoluto dell'ormai incontenibile uomo-ombra Claudio Albanese. Tornando alla Ferrari - nonostante le sconfitte sportive il titolo ha continuato a rafforzarsi superando la storica barriera dei 180 euro, con una capitalizzazione di oltre 35 miliardi - il nome che frulla nella testa di John è quello di Alessandro Nasi, un altro più lontano cugino ritenuto molto più affidabile di Andrea.Nell'equilibrio famigliare il ramo Nasi ha il 27% delle quote della Giovanni Agnelli e C. Sapaz, l'accomandita che controlla la Exor, di cui Alessandro è vicepresidente insieme ad Andrea Agnelli. Da giugno, Alessandro è al timone della Comau, una società controllata da Fca specializzata nell'automazione industriale per l'automotive. Ma lavora nel gruppo dal 2005, prima in Fiat Powertrain Technologies e poi in Cnh Industrial. È anche presidente di Iveco Defence Vehicles e membro del cda Exor. È il compagno della ex moglie di Gigi Buffon, Alena Seredova. Per questo la giornalista Sky Ilaria D'Amico, attuale compagna del portiere, starebbe facendo un tifo sfrenato per Mike Manley, che alla fine Jaki potrebbe dirottare a Maranello visto che è rimasto senza ruoli in Fca dopo la nascita di Stellantis. Lasciate da parte le gatte da pelare di Andrea Agnelli, si può dire che questo famigerato 2020 è stato un annus mirabilis per John Agnelkann, un acronimo che a Jaki piace poiché gli consente di cominciare a cancellare a poco a poco quelle definizioni che escludono sempre il suo cognome, come «Gruppo Agnelli», «Famiglia Agnelli», «Dinastia Agnelli». Un annus mirabilis nonostante il Covid. Jaki si è «liberato» di migliaia di dipendenti in Italia e ha realizzato colossali guadagni. L'anno è cominciato con la montagna di denaro derivante dagli accordi conclusi a fine 2019. Prima sono arrivati i 6,2 miliardi di euro pagati dai giapponesi della Calsonic Kansei (controllati dal gigante del private equity Kir) per comprare la Magneti Marelli, venduta dopo 101 anni. In un colpo solo John si è sbarazzato di 43.000 dipendenti in 21 Paesi (10.000 solo in Italia tra Torino, Bologna, Udine e Bari), 86 fabbriche, 12 centri di ricerca. In cambio ha creato un nuovo posto di lavoro, nel cda di Exor, per Jon Bae - un originale banchiere d'affari che vanta anche una discreta carriera da pianista - uno degli assistenti più fidati di Kir entrato anche nel consiglio della nuova Magneti Marelli CK Holding, che ha un compito preciso: riferire solo a John. Il secondo affare, coi francesi di Psa, è stato triplice. Primo: è stato riconosciuto ai soci Fca un premio di 6,7 miliardi di euro (+32% rispetto alle quotazioni precedenti). Secondo: John, prima dell'acquisizione ha dispensato ai suoi azionisti un dividendo straordinario di 5,5 miliardi (1,6 miliardi sono finiti direttamente nelle tasche di Exor, cioè di Jaki). Totale: 12,2 miliardi. Terzo: Fca ha completato il disimpegno dalla produzione di auto in Europa. Sull'affare coi francesi, John Agnelkann ha raccontato bugie: non si è trattato di una «fusione alla pari», ma di una acquisizione tout court dei transalpini, che avranno il potere su tutto. Non è vero che l'occupazione verrà salvaguardata, anzi è stato ultimato anche lo «sterminio» delle migliaia di addetti dell'indotto serviti per anni a Fiat per fare pressioni sul governo e avere ancor più aiuti di Stato (a fondo perduto, ovviamente).Ai 18,4 miliardi incassati (12,2 dai francesi e 6,2 dai giapponesi ) John, grazie al Covid, è riuscito anche evitare un errore che a prima vista sembrava un affare: stava per aggiungere ai suoi guadagni altri 9 miliardi di dollari che sembravano già in cassa grazie alla vendita di PartnerRE. Ma il gigante assicurativo francese Covea, che aveva già chiuso l'accordo, ha «approfittato» della pandemia per chiedere 2 miliardi di «sconto». John ha rifiutato sdegnosamente ma ha fatto un affare poiché, secondo i report finanziari, il Covid sta facendo da moltiplicatore ai profitti nel campo di assicurazioni e riassicurazioni. Un altro grande regalo da almeno 11,3 miliardi di euro è arrivato, in due tranche, dal governo Conte e dal solito commissario Arcuri. Nonostante il trasferimento di Fca in Olanda, le tasse non pagate, i debiti non onorati coi fornitori, la perdita dei posti di lavoro (per quei pochi operai rimasti gli stipendi vengono pagati dall'Inps, con la cassa integrazione), Fca Italy, grazie al decreto liquidità del Covid, ha avuto a tempo-record 6,3 miliardi a tasso super-agevolato (da Intesa San Paolo e garantiti da un decreto firmato dal ministro Gualtieri). Inoltre, in pieno agosto (tra il 12 e il 19) è arrivata dal governo una gigantesca commessa di mascherine per produrre le quali Arcuri ha fornito a Fca macchinari e materie prime: 27 milioni di pezzi al giorno per un anno. Calcolando 50 centesimi a mascherina, il giro d'affari è di 13 milioni e mezzo di euro al giorno, circa 400 milioni al mese, quasi 5 miliardi all'anno. Un business considerevole, anche perché la garanzia della copertura degli ordini da parte dello Stato azzera di fatto il rischio imprenditoriale. A parte la qualità delle mascherine - messa in dubbio da test effettuati per conto di Striscia la Notizia secondo i quali la capacità di filtrazione batterica sarebbe del 67%, ben lontana dal 95% minimo stabilito - e considerato che i genitori di molti alunni delle elementari le hanno rifiutate perché «troppo strette, puzzano di solvente e danno una sensazione di soffocamento», c'è un altro aspetto gravissimo che riguarda queste mascherine-giarrettiera (chiamate così per la forma dei due elastici che le fissano alle orecchie).Dopo che il commissario Arcuri aveva già pagato il 75% delle future forniture a molte aziende che avevano riconvertito la produzione, la mega-commessa di ferragosto con Fca ha saturato il mercato e reso inutili le ordinazioni già fatte, i materiali, i macchinari già inviati alle altre ditte i cui ordinativi sono stati bloccati, intasando i magazzini di tessuti, elastici, linee di produzione da montare. Lo scandalo è stato denunciato da Strisicia la Notizia con cinque puntate molto documentate, realizzate da Moreno Morello e andate in onda il 9, 10, 11,14 e 15 dicembre. Poi all'improvviso l'inchiesta si è fermata. Antonio Ricci, che tiene molto alla propria autonomia e libertà professionale, non è tipo da subire certe «imposizioni» nemmeno in casa Mediaset. Di fronte alla nostra richiesta di conoscere se l'inchiesta sia terminata e come mai sia sfumata da un giorno all'altro (nell'ultima puntata Moreno Morello dava appuntamento a un ulteriore seguito con le parole: «Per ora non è tutto»), un portavoce di Ricci ha risposto: «Su questa storia siamo muti come pesci». Ma ha aggiunto un argomento molto convincente: «Moreno Morello, e anche la moglie, da una settimana sono stati colpiti dal Covid». Ci si augura, non solo per la loro salute, che possano ristabilirsi al più presto.