2025-02-19
Iwo Jima, 80 anni fa la battaglia dei Marines
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La foto originale della prima bandiera Usa sul monte Suribachi a Iwo Jima (Getty Images)
Il 19 febbraio 1945 iniziò lo sbarco americano. La resistenza giapponese fu estrema e la vittoria, fissata nella famosa immagine dei Marines che issano la bandiera Usa (che è in realtà una replica) costò oltre 26mila morti. L'articolo contiene una gallery fotograficaIwo Jima è un’isola vulcanica giapponese rocciosa di 29,86 kmq. quasi priva di vegetazione a 650 miglia nautiche a Sud della costa del Giappone. All'inizio del 1945 divenne un obiettivo primario per gli americani, che stavano stringendo il cerchio sulle acque del Pacifico attorno alla terra del Sol Levante. Si trovava infatti a metà strada tra l'isola di Saipan, occupata da poco dall'esercito Usa, e Tokyo. All'inizio del 1945 l'aviazione americana aveva a disposizione i nuovi B-29 Superfortress, bombardieri pesanti caratterizzati dall'ampio raggio d'azione, che permettevano teoricamente il bombardamento diretto del territorio giapponese mai violato precedentemente. Rimaneva però un grave ostacolo: i caccia americani non avevano sufficiente autonomia per scortare i B-29 fin sopra il Giappone, rendendo così i bombardieri americani troppo vulnerabili alla caccia nipponica e al fuoco contraereo. Iwo Jima aveva all’epoca due aeroporti in uso all'aviazione della Marina Imperiale. La sua cattura avrebbe fornito un appoggio logistico fondamentale per le fortezze volanti e per i caccia dell'Usaf.Fu così che già dalla fine del 1944 l'aviazione americana iniziò una serie di bombardamenti massicci sulla piccola isola del Pacifico, con la finalità di preparare il terreno per uno sbarco. Ma Iwo Jima era difesa da circa 21.000 soldati giapponesi agli ordini del generale Tadamichi Kuribayashi, uno tra i più valorosi comandanti dell'esercito imperiale. Fu lui a volere a tutti i costi la difesa ad oltranza dell'isola, imponendo a tutti i suoi soldati il sommo sacrificio, una morte onorevole combattendo fino all'ultimo sangue. Per creare ulteriori difficoltà agli americani, il generale fece costruire una fitta rete di tunnel sotto la superficie rocciosa di Iwo Jima. I soldati e le armi avrebbero combattuto la loro battaglia sottoterra, in un dedalo di cunicoli da difendere metro per metro.Per la presenza dei tunnel sotterranei, anche i bombardamenti navali diurni e notturni da parte della Marina degli Stati Uniti sulle postazioni d'artiglieria dell'isola si dimostrarono poco efficaci ed anzi arrecarono danni alla flotta per la risposta del fuoco giapponese. Dall'inizio di febbraio i giapponesi si accorsero dei movimenti degli americani in preparazione dello sbarco. Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio erano pronte allo sbarco più di 800 unità navali americane, giunte dal Pacifico e fin dalle Hawaii. Sotto copertura dei caccia decollati dalle portaerei e dal tiro dell'artiglieria navale, il primo Marine mise piede sull'isola di Iwo Jima alle 8,59 del 19 febbraio 1945.Quando le unità della prima ondata raggiunsero la spiaggia di sabbia scura, l'artiglieria giapponese taceva. Il silenzio delle armi era stato ordinato da Kuribayashi per infliggere ai Marines il maggior danno possibile una volta che si fossero ammassati sulla spiaggia. Poi i giapponesi, dalle loro postazioni nascoste negli anfratti, nelle cavità e sotto la superficie dell'isola vulcanica aprirono il fuoco. Dal monte Suribachi, un vulcano spento dell’altezza di 169 metri sul mare posto sulla estremità meridionale dell'isola proprio sopra le spiagge dello sbarco, l'artiglieria nipponica fece in breve tempo una carneficina. I cannoni giapponesi erano inoltre protetti da spessi portelli in acciaio, che si chiudevano dopo il fuoco. Le postazioni erano collegate alla rete di tunnel scavata sotto la superficie dell'isola in modo che, quando i Marines attaccavano una postazione con bombe e lanciafiamme, questa veniva poco dopo rioccupata. Solo con l'arrivo dei carri armati la situazione sulla spiaggia cominciò a cambiare. Alla fine del primo giorno di battaglia il monte Suribachi fu isolato dal resto delle forze giapponesi. Durante la notte gli americani non ricevettero alcun attacco a sorpresa. Kuribayashi aveva scelto la tattica della guerriglia con attacchi isolati dalle buche, a volte condotti da giapponesi che urlando in inglese ingannavano i Marines. Gli americani decisero che la notte fosse alleata dei giapponesi ed iniziarono ad illuminare l'isola a giorno con i bengala. Gli Sherman che avanzavano montavano un lanciafiamme al posto della bocca di fuoco, rivelandosi molto più efficaci delle armi tradizionali. Il monte Suribachi e la zona meridionale dell'isola furono conquistati dagli americani entro il 23 febbraio, quando la prima bandiera a stelle e strisce sul territorio giapponese fu issata dai soldati del 28th Marines. La foto di Joe Rosenthal, simbolo universale della vittoria e del sacrificio americano, fu in realtà scattata postuma. La prima bandiera infatti fu reclamata dal Capo di Stato maggiore della Marina ammiraglio James Forrestal come souvenir. I Marines re-issarono così una nuova bandiera inquadrati dall'obiettivo del fotografo al seguito delle operazioni.Il Nord dell'isola, invece, altrettanto impervio e roccioso, rimaneva ancora saldamente in mani giapponesi. Nella piana di Motoyama, nel cuore di Iwo Jima, si trovava il cuore degli obiettivi americani: i due aeroporti. La presa delle alture che dominavano le piste di atterraggio fu per gli americani una nuova carneficina. Neppure gli Sherman sembravano essere risolutivi, spazzati dal fuoco incrociato dei cannoni nipponici nascosti tra le rocce laviche. Fu necessario per gli americani cambiare strategia. Per la prima volta attaccarono i giapponesi senza la copertura dell'artiglieria, che preludeva ad ogni avanzata degli americani. I giapponesi furono colti nel sonno e Hill 362, sopra l'aeroporto, fu conquistata per prima. I giapponesi risposero con un attacco in massa (detti Banzai) ma furono sopraffatti dai Marines. I kamikaze dell'aviazione navale tentarono di colpire la flotta americana che martellava l'isola. Fu danneggiata la portaerei USS Saratoga e alcune altre navi, ma tutto sommato gli attacchi suicidi si rivelarono inefficaci. Anche se l'isola fu dichiarata libera il 16 marzo, a quasi un mese dallo sbarco, un contingente di circa 600 uomini comandati dal generale Kuribayashi resisteva in una gola del nord dell'isola. Dopo che i Marines ebbero fatto saltare l'ex comando del generale sigillando le uscite dei tunnel, questi dovettero resistere all'ultimo attacco giapponese, sferrato nel silenzio assoluto. Il 26 marzo morì lo stesso Kuribayashi, ma il suo corpo non fu mai ritrovato. Non è certo se si fosse suicidato tramite il rituale del Seppuku poco prima dell'arrivo dei Marines o se fosse morto durante l'ultimo attacco dopo essersi strappato i gradi dalla divisa, come un soldato semplice. Iwo Jima era stata conquistata dopo più di un mese di battaglia. I giapponesi morirono quasi tutti. I prigionieri degli americani furono poco più di 1000. Ma le perdite tra i Marines furono per la prima volta superiori a quelle del nemico, con oltre 26.000 uomini fuori combattimento tra morti, feriti e dispersi. Poco dopo i Seabees americani misero in condizioni operative gli aeroporti della piana di Motoyama. Cominciarono a sciamare i caccia P-51 Mustang, pronti a fare da scorta ai Superfortress ormai giunti a tiro del territorio giapponese. Pochi mesi e l'Impero del Sol Levante sarebbe tramontato per sempre.Lungo un tratto della costa di sabbia nera di Iwo JIma il vulcano sottomarino ancora attivo ha restituito ai posteri i fantasmi della battaglia del febbraio-marzo 1945. Si tratta dei relitti di un gruppo di navi (alcuni cargo, altre imbarcazioni da guerra) che le violente scosse di terremoto seguite all’eruzione nel 2021 hanno fatto riemergere dalle acque ed arenare di fronte alla costa come simulacri arrugginiti del passato. La storia delle navi fantasma riguarda invece un altro nucleo dell'esercito dagli Stati Uniti che contribuì non poco al successo della battaglia per Iwo Jima. Erano i Seabees, un corpo nato quando gli Stati Uniti erano già in guerra da circa un anno. Il nome che suona come Le api del mare era nato per assonanza con la sigla che ne identificava la funzione operativa: CB's, o Construction Battalion parte della United States Navy. Il Corpo dei Seabees potrebbe rendere in italiano come Genieri di Marina. Molti di loro prima della guerra erano civili specializzati in costruzioni e infrastrutture. Erano ingegneri, geometri, carpentieri, operai specializzati che aderirono volontariamente alla chiamata alle armi quando nel 1942 fu creato il Corpo, lasciando famiglia e buoni stipendi per contribuire allo sforzo bellico ed avevano un'età media di molto superiore alle truppe d'assalto dei Marines, che era di 19 anni contro i 37 dei genieri. Dopo un breve addestramento militare, furono inviati nei più importanti teatri di guerra, come lo sbarco in Normandia dell'anno precedente e nella battaglia di Iwo Jima. La novità dei Seabees stava nel fatto che questi genieri erano armati come le altre unità dell'esercito e potevano provvedere alla propria autodifesa senza dover dipendere da altri reparti. In occasione della battaglia di Iwo Jima i Seabees furono fondamentali nell'organizzazione logistica e infrastrutturale della testa di ponte seguita allo sbarco, tenuta per lunghi giorni e nella costruzione contemporanea di infrastrutture sotto il fuoco nemico affinché l'isola, una volta conquistata, potesse essere immediatamente utilizzata come base d'appoggio per l'offensiva finale al cuore dell'Impero nipponico. Quando Iwo Jima cadde in mano ai Marines, il compito dei Seabees fu quello di costruire un porto artificiale per l'attracco delle imbarcazioni di supporto logistico della nuova base americana e dell'aeroporto. Per assicurare l'attracco sicuro a navi che pativano particolarmente le acque agitate del Pacifico si rese necessaria la costruzione di banchine e frangiflutti artificiali. Al compito non facile parteciparono i Seabees del 133° e 31° Naval Construction Battalion, dopo che molti dei loro compagni avevano perso la vita sotto il fuoco nemico o dilaniati dalle mine piazzate ovunque dai Giapponesi.Per costruire in fretta i frangiflutti del porto i genieri navali fecero trasportare 24 imbarcazioni tra quelle catturate ai giapponesi durante la campagna del Pacifico. Diverse tra queste erano adatte allo scopo in quanto si trattava di navi cargo costruite in cemento, o ferrocemento, un materiale molto più resistente degli scafi metallici esposti altrimenti alla corrosione dovuta all’azione dell’ambiente marino. Altre navi erano di costruzione tradizionale e tra questi relitti fu poi riconosciuta una nave giapponese appartenente alla Marina Imperiale, la Toyotsu Maru. Oltre alla nave giapponese, trainata a Iwo Jima dopo che fu danneggiata nel 1942 durante la battaglia di Saipan, figurava anche un’imbarcazione ex sovietica. La Chetvertyi Krabalov era originariamente una nave conserviera per la pesca al granchio, requisita dalla Us Navy in virtù degli accordi di lease con Mosca.Tra queste navi alcune furono deliberatamente affondate in modo da fungere da barriera per supportare le sovrastrutture per il carico e scarico delle navi da sbarco e rimasero sommerse da quei giorni di marzo del 1945. Il progetto del porto artificiale di Iwo Jima naufragò poco dopo la sua ultimazione a causa di un violento uragano tropicale che distrusse le strutture che mantenevano le navi in posizione. Ecco perché alcune di queste navi rimasero arenate sulla costa o poco lontano. Nell'estate del 2021 il vulcano sottomarino nei pressi dell'atollo si è risvegliato, provocando un movimento tellurico risultato nella nascita di una nuova isola e dell'innalzamento della superficie di Iwo Jima, ridando alla luce i fantasmi di quella battaglia scolpita nella roccia scura di Iwo Jima e nella storia della Seconda guerra mondiale.
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