2024-10-29
Aborti in aumento e costi alle stelle: in 44 anni sborsati oltre 7 miliardi
Ecografia di un nascituro (iStock)
Oggi al Senato il rapporto Opa: interruzioni di gravidanza in crescita nel 2022, più della metà eseguite tramite farmaci.Oggi pomeriggio al Senato viene presentato il terzo rapporto dell'Opa, l'Osservatorio permanente sull'aborto, relativo ai costi dell'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) e gli effetti sulla salute delle donne. Due dati colpiscono in particolar modo, visionando in anteprima il documento. Innanzitutto, «si osserva che la diminuzione annuale delle interruzioni di gravidanza registrate nel lungo periodo è dovuta in misura significativa al declino della popolazione femminile in età fertile, all’invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite». Altro che Ivg in calo, in base agli ultimi dati disponibili nel 2022 sono state abortite il 13% delle gravidanze (erano il 12,5% nell’anno precedente, la crescita rispetto al 2021 è stata del 3,5%). Le pillole della contraccezione di emergenza, da qualche anno acquistabili senza ricetta, hanno raggiunto nel 2022 un totale di vendite pari a 762.796 confezioni. Il tasso di abortività totale, «cioè il numero di donne che in una coorte fittizia di 1.000 abortisce almeno una volta durante la vita fertile, cresce per il terzo anno consecutivo ed è stato stimato da Istat pari a 206 per il 2022». Si tratta di un valore ancora elevato, sebbene più basso rispetto ai primi anni di applicazione della 194. Preoccupante, poi, è l’incidenza degli aborti spontanei nelle giovanissime che nel 2022 «è stata il 57% più elevata rispetto a quella delle donne della classe di età successiva […] è un dato inconcepibile, innaturale, che gli aborti spontanei delle ragazze fino a 19 anni si attestino intorno all’11%». Possono essere la conseguenza di Ivg ottenute con farmaci? «Nel 90% dei casi l’aborto con prostaglandine oltre a non lasciare tracce non richiede ricovero, quindi non si può calcolare il numero effettivo di tali aborti clandestini», avverte l’Opa.Nel 2022, per i 64.703 aborti legali volontari che furono praticati la procedura medica ebbe un costo complessivo di poco più di 56 milioni di euro. Nei 44 anni di vita della legge 194/78, la spesa aggiornata a fine 2022 risultava «di 7 miliardi e 290 milioni di euro». È una spesa «improduttiva», sottolinea il rapporto che ne ha valutato l’impatto sulla finanza pubblica per arrivare a concludere che se si fossero accantonate quelle cifre in un fondo apposito, «oggi sarebbe più che raddoppiato, ammonterebbe a 16 miliardi e 616 milioni di euro». Il costo standard di un aborto farmacologico entro il terzo mese di gravidanza, con ricovero ordinario senza complicazioni, è di 1.164 euro, 728 euro quello chirurgico. Oggi, nell’iniziativa promossa dal senatore Ignazio Zullo di Fdi, realizzata con il patrocinio dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc) e di Pro Vita & famiglia, saranno spiegati bene gli oneri a carico delle strutture ospedaliere e le complicazioni conseguenti all’aborto chimico sulla salute delle donne e sul sistema sanitario nazionale. Basti pensare che dal 2020 al 2022, la quota dei costi per le complicazioni è passata «da 5,5 a 6,4 milioni di euro, raggiungendo una quota dell’11,4% sul totale». Di certo, la crescita degli aborti farmacologici, che nel 2022 hanno superato la metà dei casi rilevati (52,8%), è avvenuta prevalentemente attraverso l’utilizzo della pillola RU486. «L’aborto chimico è quattro volte più rischioso di quello chirurgici», denuncia l’Opa, elencando i rischi del «fai da te». Eppure, rileva, «le linee guida del ministro Speranza nel 2020 dichiaravano l’aborto con RU486 e prostaglandine un metodo sicuro ed efficace». E per fortuna che la relazione introduttiva alla legge sull’aborto affermava quanto fosse necessario che l’interruzione di gravidanza «sia eseguita da medici qualificati, in strutture sanitarie pubbliche o garantite dal controllo pubblico, al di fuori dell’arrangiamento, dell’improvvisazione». Il fai da te non è una conquista per la donna, bensì un disinteresse per la sua sicurezza.«Volendo fare una doverosa analisi costi - benefici della politica abortista in Italia, la legalizzazione dell’aborto nei 44 anni considerati dal 1978 al 2022 ha comportato una enorme spesa improduttiva, una mole di effetti collaterali e avversi sottostimata e sottaciuta alle donne, non ha ridotto la mortalità femminile all’epoca dell’approvazione della legge, non risolto il problema degli aborti clandestini presenti ancora oggi», considera Francesca Romana Poleggi del Comitato direttivo Opa. Aggiunge: «E soprattutto ha negato il diritto alla vita a decine di milioni di bambini. Quali benefici ha apportato alla società?». Il rapporto che viene presentato al Senato ricorda, inoltre, che a inizio settembre l’Istituto europeo di bioetica (Ieb) segnalava come «la percezione negativa delle persone disabili, causa di un alto tasso di aborti dovuti alla sindrome di Down, è legata all’uso diffuso del Nip test (Non invasive prenatal test) come metodo di screening». Si tratta di un esame non invasivo, «offerto sistematicamente a donne nei primi mesi di gravidanza, è interamente rimborsato in molti stati d’Europa, Italia compresa». Risulta da questo report che circa «l’80% delle donne incinte ricorre al Nip test e più del 95% di coloro che ricevono conferma della sindrome di Down del proprio figlio decidono di eliminarlo». Anche questo è controllo delle nascite?
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)