2024-06-29
        Italia oscena a casa, Spalletti al capolinea
    
 
La Svizzera ci irride e stravince: 2-0 senza un tiro in porta degli azzurri. La squadra è totalmente allo sbando oltre che priva di talenti. Il ct si aggrappa alla condizione atletica: «Non avevamo ritmo», ma la panchina scotta: così salta il terzo Mondiale di fila. La gita finisce a Chiasso. La classe elementare col fiocchetto azzurro non va oltre il Canton Ticino, fermata, anzi umiliata da una Svizzera mai così concreta, solida, superiore in tutto, che meritatamente va ad affrontare nei quarti la vincente fra Inghilterra e Slovacchia. Doveva essere un buco nell’Emmenthal, è stato un buco nell’acqua: 2-0 con il primo tiro in porta di Mateo Retegui al 71’, sul quale Yann Sommer (senza voto) accartoccia con la comodità del divanato speciale. L’Europeo finisce nel modo peggiore, non abbiamo saputo neppure lottare, neppure vendere cara la pelle. Uccisi a colpi di fichi molli. Accompagnati nel mesto ritorno solo da un grande imbarazzo.Alla fine Luciano Spalletti è disarmante. Almeno il capitano Donnarumma chiede scusa, lui invece riesce a prendersela con il campionato che ha sfinito i poveri bimbi nostri. «Siamo stati troppo inferiori a loro per ritmo, intensità, forza fisica. Gli svizzeri avevano un passo differente. Non siamo stati in grado di fare meglio di così. In questi casi servono più gamba, più sacrificio, più continuità. Noi abbiamo mostrato una condizione fisica pessima. E recuperare con queste temperature non è facile». Parla come se il commissario tecnico fosse un altro, anche se aggiunge: «Le scelte le ho fatte io, quindi la responsabilità è mia». Sui prossimi passi è vago: «Gravina si è sempre comportato da professionista serio, vedremo cosa ci sarà da dire». Ora non ha senso disegnare il futuro, ma al di là della povertà individuale del calcio italiano si apre un tema allenatore. Un processo a lui e al presidente federale Gabriele Gravina è inevitabile; pomodori di stagione pronti a farcire il pullman, la contestazione è iniziata sugli spalti già a fine partita. Ad essere cinici, per giocare a corto muso basterebbe Max Allegri in panchina, che è pure libero ed è formidabile nell’allenare almeno i giornalisti. Da Spalletti zero schemi, zero profondità, zero supporto da parte di giocatori quasi in vacanza, sperduti nella vastità del campo di calcio mentre gli avversari in maglia rossocrociata dominano. Ma sono gli svizzeri, non i fenomeni spagnoli, non i giocolieri croati. Gli svizzeri che nella notte di Berlino fanno il Real Madrid. E ci mandano a casa. Cominciamo accompagnati da una frase di Fabio Capello: «Meglio essere euforici che depressi». Fotografa lui, con una banalità, lo spirito di un’Italia che adesso deve provare a costruire il futuro, andando oltre le gastriti social, bypassando il pregiudizio degli (auto)flagellanti di redazione, godendo della brezza teutonica che sempre spinge l’azzurro nella sua storia pallonara. In fondo è solo la Svizzera, immaginiamo con spirito positivo al fischio d’inizio del celebratissimo polacco Szymon Marciniak, arbitro di tutte le finali. Ma ci accorgiamo subito che il copione è modesto, che il passo non è cambiato e che il pareggio all’ultimo respiro con la Croazia è l’unica cosa buona di questo cammino. Più che una partita, questa sarà una Via Crucis. Il primo quarto d’ora è di una noia mortale. Loro palleggiano meglio, noi aspettiamo sull’uscio con ritmi da catalessi. Due divagazioni: un pestone a Nicolò Barella (niente di che) e la maglia di Sommer giallo papera. Ma non è neppure un monito. L’unica uscita italiana fuori porta arriva al 18’ quando Barella trova Giovanni Di Lorenzo solo in area: il terzino del Napoli cicca il pallone a porta spalancata, per fortuna sua è in fuorigioco. La Svizzera ci vede molli come cioccolata nell’afa e decide di spingere: Breel Embolo mira l’angolo ma Gigio Donnarumma è lì, ancora lì, sempre lì a dire di no.È l’Italietta di questo scorcio di estate: nessuna iniziativa, scarsa personalità, solo grammi di cattiveria. Non naviga, galleggia. Gli azzurri sono talmente passivi che gli svizzeri avanzano per inerzia, come se dovessero riempire un vuoto. Noi sbagliamo l’impossibile in mezzo, dove Federico Chiesa, Giovanni Di Lorenzo, Stephan El Shaarawy non azzeccano due passaggi; dove Bryan Cristante e Barella sembrano viandanti sperduti nel deserto; dove l’unico ad avere un paio di idee è Nicolò Fagioli, ma è leggero e non sposta una virgola; dove Gianluca Scamacca cerca invano Ademola Lookman o almeno Mario Pasalic, ma stanno in un altro film. Così è la Svizzera a dominare il valzer lento, e lo fa con sapienza perché Granit Xhaka (sublime, averlo noi un regista così), Dan Ndoye, Remo Freuler e Manuel Akanji sembrano giganti del football.Ogni tanto anche nel calcio c’è qualcosa di logico, per esempio il vantaggio della Svizzera. Su imbucata di Ruben Vargas (Di Lorenzo fatica pure contro di lui), Freuler si trova solo in mezzo all’area, abbandonato da Fagioli e marcato lasco da Gianluca Mancini: rasoiata e gol. È il 36’, siamo sotto, siamo pessimi. E al 45’ il palo dà una mano a Donnarumma a evitare il raddoppio su una sassata di Fabian Rieder da calcio di punizione. Meglio scappare negli spogliatoi a raccogliere le idee e a cercare del fango in cui lottare.Si riparte con la legge di Murphy sulla schiena: se una cosa può andar male, lo farà. Al primo tentativo la Svizzera fa 2-0 con Vargas, che fulmina Donnarumma con un gran tiro a giro. Cinque minuti dopo potremmo dimezzare lo svantaggio per una follia di Fabian Schar, che rischia l’autorete di testa ma si limita all’autopalo. Spalletti prova a dare la scossa mettendo l’uomo della provvidenza (Mattia Zaccagni) e un puntero in più, Mateo Retegui, al posto dell’acciaccato e deludente Barella. Si profila il solito assalto, si spera nel solito rimpallo favorevole. Ma piovono solo schiaffi e una misera, casuale, pallagol: 73’, Zaccagni pescato da Cristante tocca per Scamacca che manda la sfera sul palo. Forse era in fuorigioco. Nella micidiale afa serale, mentre l’Italia prova almeno a salvare la faccia, c’è il tempo per annotare che la Svizzera è una squadra vera. La multinazionale innervata da marocchini, kosovari e serbi, con allenatore turco (Murat Yakin, compassato ed elegante come i suoi) è temperata dal calvinismo strutturale, dalla concretezza e dall’umiltà di un popolo plurilingue che non si arrende mai. Due anni fa ci hanno eliminato nella corsa ai Mondiali, adesso dall’Europa che conta. Spalletti guarda l’Italia affondare, con le braccia larghe, immobili, come un Cristo degli abissi fino al fischio finale. Due minuti di recupero, neppure l’ebbrezza della lotteria. Nel marasma generale, la partita ci regala una risposta letteraria. Diceva Friedrich Durrenmatt: «La Svizzera è il miglior posto per nascere e per morire. Ma nel frattempo cosa ci fai?». Giochi a calcio, elimini l’Italia e quando vai in gita a Ponte Chiasso metti sù un sorriso da vincita milionaria alla lotteria.
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        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)