2020-01-18
Italia e Ue si fan belle col summit di Berlino ma i giochi sulla Libia non sono cosa loro
La conferenza domani vorrebbe gettare le basi per la soluzione del conflitto. Però sarà decisivo l'asse Vladimir Putin, Donald Trump ed Recep Tayyip Erdogan.La situazione in Libia resta tesa. E intanto si attende la conferenza che si terrà domani a Berlino: conferenza che si prefigge di gettare le basi per una soluzione del conflitto, visto il recente naufragio della tregua moscovita. Nelle ultime ore, hanno confermato la propria partecipazione il presidente russo, Vladimir Putin, e il segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Al momento, le aspettative non sono altissime, tanto che la stessa Germania ha già chiarito che l'incontro «non risolverà tutti i problemi». L'Unione europea si è detta intenzionata a svolgere un ruolo significativo nella conferenza. Resta tuttavia improbabile che Bruxelles e i Paesi europei saranno realmente in grado di lasciare un segno, visto che a fare la parte del leone risulteranno prevedibilmente Russia, Turchia e Stati Uniti.Centrale si rivelerà ancora una volta Putin, che sul dossier libico sta mantenendo una posizione di abile funambolismo. Da una parte, non bisogna dimenticare che finora il leader russo abbia strettamente collaborato con Ankara, per cercare di arrivare a un'intesa tra Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar. Ciò nonostante il fatto che Recep Tayyip Erdogan abbia di recente annunciato l'invio di truppe a sostegno del premier libico, potrebbe rimescolare gli equilibri esistenti. Tra i paletti posti dagli Stati Uniti figurano infatti la salvaguardia del cessate il fuoco e - soprattutto - il ritiro delle forze esterne. Washington e Ankara si trovano quindi ufficialmente schierate a favore dello stesso candidato (Sarraj) ma si collocano ciononostante su posizioni non poco lontane: una circostanza che potrebbe tornare utile a Putin, il quale - pur cercando di mostrarsi equidistante tra i belligeranti sul campo - parteggia nei fatti per Haftar. Non è quindi da escludere che lo Zar speri in un allentamento dei rapporti tra la Casa Bianca e il premier libico: un allentamento che possa magari portare l'America più vicina al generale della Cirenaica.D'altronde, che l'appoggio di Donald Trump a Sarraj sia sempre stato piuttosto tiepido, non è un mistero. Anche perché Haftar è spalleggiato da attori che sono strettamente legati all'attuale presidente americano: Egitto e Arabia Saudita. Tra l'altro, non bisogna dimenticare che, per Trump, l'asse con Riad e Il Cairo sia funzionale a contrastare l'Islam politico e - nella fattispecie - la Fratellanza musulmana: quella stessa Fratellanza che è molto presente nella parte occidentale della Libia e contro cui Haftar si batte. D'altronde, al Sisi e Mohammed bin Salman considerano la crisi libica come un estremo strascico delle primavere arabe: in questo senso, contrastare l'islamismo in Libia è ai loro occhi necessario anche in termini di stabilità politica interna. Un fattore, quest'ultimo, noto sia a Trump che a Putin. Anche per tale ragione, è difficile ritenere che si fosse verificata un'autentica rottura tra lo Zar e Haftar a Mosca: il primo non poteva infatti ignorare come il secondo subisse pressioni da sauditi ed egiziani per alzare la posta contro Tripoli. Non sarà del resto un caso che ieri il generale cirenaico abbia scritto una calorosa lettera al leader russo, dicendosi pronto a discutere la pace.Insomma, se prevalesse l'asse anti islamista, la Turchia - storica sostenitrice della Fratellanza - si troverebbe isolata a Berlino. A quel punto, bisognerebbe analizzare la linea di Russia e Stati Uniti. Putin, Trump ed Erdogan hanno già avuto modo di collaborare in occasione della crisi siriana. E potrebbero farlo di nuovo: fermo restando che, tra i tre, è il Sultano quello a disporre delle leve negoziali più deboli e che, se giocassero di sponda, Casa Bianca e Cremlino potrebbero condurlo a più miti consigli. Ulteriore elemento da monitorare saranno infine le intenzioni di Washington: bisognerà cioè capire se gli Stati Uniti punteranno ad assumere un ruolo maggiormente incisivo nell'area libica o se prediligeranno un «appalto» ai russi in «stile Siria» (opzione - questa - notoriamente auspicata da Trump).In tutto ciò, l'Italia non sembra avere le idee troppo chiare. Da Algeri, il premier, Giuseppe Conte, si è limitato a parlare di un «cessate il fuoco duraturo» e di una non meglio precisata «soluzione politica», aprendo alla possibilità di una forza di interposizione. Il punto è che non è granché evidente entro quale obiettivo geopolitico si vorrebbe far ricadere un'eventuale missione, senza considerare le divisioni europee e la debolezza dell'Onu. Germania e Italia potranno quindi anche rivendicare l'organizzazione della conferenza di domenica. Ma il boccino resta (almeno per ora) nelle mani degli Stati Uniti, della Turchia e - soprattutto - della Russia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)