2023-05-16
L’Italia cresce più di Parigi e Berlino. Occasione per trattare sull’austerità
Chiuderemo il 2023 a +1,2%, contro lo 0,2% della Germania e lo 0,7% della Francia. Un vantaggio utile per cercare sponde su Mes e Patto di stabilità in attesa che il prossimo anno si ribaltino i rapporti di forza.Si attendeva con qualche fondato timore la giornata di ieri, in cui erano attese le previsioni macroeconomiche di primavera della Commissione Ue, rese note da Paolo Gentiloni. E la sorpresa - buona per Roma, meno per Parigi e Berlino - è che l’Italia, quest’anno, dovrebbe crescere più della media europea e soprattutto - questa è indubbiamente la notizia della giornata - a un ritmo superiore rispetto a Germania e Francia. Intanto, ecco i dati complessivi dell’Unione: la stima per il 2023 è di una crescita dell’1% (contro lo 0,8% che era stato ipotizzato nelle previsioni intermedie invernali), mentre nel 2024 la stima è di un +1,7% (contro il +1,6% della previsione precedente). Sono piccoli segnali ma in direzione positiva: la crescita resta debole, ma comunque c’è (dunque niente recessione), e anzi potrebbe essere lievemente superiore a quanto ipotizzato pochi mesi fa. Ma attenzione al dato italiano. Secondo le stime di Bruxelles, il nostro Pil (nel 2023) registrerà un aumento dell’1,2% (contro lo 0,8% ipotizzato a febbraio) e una crescita dell’1,1% nel 2024 (mentre a febbraio la stima era del +1%). E il dato che balza agli occhi è il confronto con la Francia e la Germania, che quest’anno dovremmo nettamente sopravanzare: solo +0,2% per Berlino e +0,7% per Parigi (che però farebbero entrambe meglio di noi nel 2024: loro al +1,4%, noi al +1,1%). Tripla buona notizia. Primo: le nostre imprese hanno resistito in modo ammirevole al delicatissimo triennio che abbiamo alle spalle. Secondo: tutta la narrazione politica volta ad aggredire preventivamente il governo di Giorgia Meloni è clamorosamente smentita. Tanto quanto - a parti rovesciate - risultano smentiti i toni trionfalistici che qui in Italia avevano accompagnato le scelte di Emmanuel Macron (e dei governi che ne sono emanazione) e del cancelliere tedesco Olaf Scholz. E soprattutto c’è un terzo e fondamentale punto da tenere presente: si apre un semestre decisivo in Ue, con per un verso il crescente pressing sul Mes e per altro verso l’entrata del vivo della trattativa sulla riforma del Patto di stabilità. A più riprese questo giornale ha messo in guardia sul primo fronte, e, sul secondo, ha segnalato dettagliatamente quanto sia pericoloso (pur in forma solo in apparenza più «adattata» a ciascun Paese) il ritorno delle vecchie regole dell’austerità. Ecco, la buona notizia è che i dati resi noti ieri consentono al governo di gestire la trattativa con un po’ di forza in più. Chi aveva sperato di misurarsi con un’Italia in difficoltà ha fatto male i suoi conti. E anche Parigi e Berlino devono prendere atto che Roma è protagonista: lo è sul piano geopolitico (viste le scelte di politica estera della Meloni), lo è rispetto ai nuovi equilibri elettorali e politici che saranno determinati dalle elezioni europee del 2024 (a maggior ragione se andrà in porto l’alleanza Ecr-Ppe), e lo è anche dal punto di vista economico. Per capirci: in termini di crescita, è vero che nessuno sta scoppiando di salute, ma è altrettanto vero che nessuno tra i Paesi guida possa dire di stare meglio dell’Italia. Anche i dati su deficit, spesa e debito non sono negativi per noi (con il caveat che evidenzieremo alla fine). Sempre secondo la Commissione, il nostro deficit per il 2023 dovrebbe scendere al 4,5% del Pil (e al 3,7% nel 2024). Va giù anche la spesa primaria: qui la discesa è legata per un verso all’attesa di una nuova spending review e per altro verso al taglio del Superbonus per le ristrutturazioni. In salita sono invece attese le voci relative alla spesa pensionistica e quelle legate agli investimenti (specie ma non solo Pnrr). Attenzione però alle dolenti note, per quanto ben conosciute (non c’è nulla di imprevisto o di ingestibile, sia chiaro). Il rapporto debito-Pil, nel 2023, scenderà significativamente (140,4% contro il 144,4% dell’anno precedente), però sarà quasi esattamente confermato nel 2024 (la previsione si attesta al 140,3%).Inevitabile il riverbero sul servizio del debito, cioè sulla spesa annuale per interessi. Nel 2023 una serie di fattori contribuiranno a una limatura al ribasso (al 4%), mentre nel 2024 ci sarà una leggera variazione in aumento (al 4,1%). E qui sta il problema ben conosciuto: la spesa annuale per interessi drena risorse enormi (sottratte inevitabilmente a eventuali misure espansive, a partire da tagli di tasse), così come il livello complessivo dello stock di debito e il suo rapporto con il Pil rappresentano un nostro indubbio fattore di vulnerabilità. Intendiamoci bene: l’andamento delle aste di titoli è stato ottimo, e la gestione di un debito pur ingente - in condizioni normali e senza sorprese negative - potrebbe avvenire in modo complessivamente rassicurante. Ma il combinato disposto dei temibili responsi delle agenzie di rating e delle minacce europee su Mes e Patto di stabilità rischiano di cambiare il quadro. Inutile girarci intorno: chi non vuole bene all’Italia punta su questi fattori. La buona notizia di ieri è che le previsioni di crescita offrono al governo Meloni uno strumento di difesa e di negoziato in più.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)