
Già oggi la compagnia è vicina al pareggio di bilancio grazie all’aumento del turismo, in futuro potrebbe puntare su Africa e Paesi emergenti come polo dell’import-export italiano. E attrarre così i soldi dei privati.Tutti gli esperti di settore che ho consultato mi hanno suggerito di desistere dall’idea di una strategia autonoma e globale di Ita Airways (Alitalia rinominata). Ma come produttore di scenari strategici e non solo ricercatore universitario, e anche attore nel settore degli investimenti finanziari nonché impegnato in un progetto di «geopolitica economica» per invertire il declino della ricchezza nazionale - cfr. Italia globale, Rubbettino, 2023 - non sono stato convinto da queste valutazioni tecnicamente solide, ma ristrette. Pertanto esprimerò qui una posizione di minoranza, forse solitaria, sul caso Ita con visione più larga sperando che induca riflessioni nei decisori.Devo confessare una frustrazione per aver espresso analisi poi sconfitte dal progetto suicida per gli interessi economici italiani di vendere la maggioranza di Borsa italiana alla francese Euronext: sarebbe stato preferibile un maggiore ingaggio di capitale italiano oppure la vendita alla Borsa svizzera con un modello di massima autonomia per le partecipate. Parigi fece enormi pressioni sui politici italiani dei tempi per la sua strategia di conquistare il mercato finanziario italiano allo scopo di bilanciare lo strapotere economico tedesco. La critica non tocca il personale tecnico, ottimo, di Borsa italiana. Ma se questa fosse rimasta di proprietà inglese o guidata da una italiana, oggi ci sarebbe più flusso di capitale disponibile per la quotazione delle piccole/medie imprese che prevalgono nel modello economico nazionale. Pertanto il lettore deve considerare un’emozione che potrebbe deviare dal realismo. Ma tale emozione, cioè la trasformazione di entità economiche italiane da prede in predatori, è sostenuta da molteplici casi di successo. il precedentePer esempio, il rifiuto della pressione compratrice francese di Finmeccanica (oggi Leonardo) durante il governo Berlusconi (2001-06) quando chi scrive fu consigliere di Antonio Martino, ai tempi ministro della Difesa: scelto un amministratore capace ed attivo l’azienda comprò l’industria dell’elettronica britannica, ed altro, sbarcò in America e puntò ad un ruolo globale (oggi confermato) non lasciandosi legare dagli interessi francesi pur collaborando con quelli di reciproca utilità industriale. Con questo in mente mi chiedo perché mai dovremmo rinunciare a una compagnia aerea di bandiera italiana cedendola alla pur ottima Lufthansa, con un progetto che la vedrebbe prima soggetto di minoranza, ma già condizionante, e poi di maggioranza? Pensiero ingenuamente sovranista? Non sono sovranista, ma nemmeno «cessionista». E considero interesse vitale sia geopolitico sia geoeconomico avere una compagnia aerea di bandiera - con missioni multiple - che si espanda globalmente per servire tale interesse. il fattore scalaGli esperti di settore dicono che Ita non ha la scala per riuscirci. Vediamo. È ben nota la crisi che ha affossato Alitalia. Ma i dati di bilancio correnti del suo successore Ita, ora con 96 aeromobili, mostrano che è vicina all’equilibrio finanziario grazie all’aumento dei flussi di trasporto post Covid e ad una buona gestione. Quindi non è irrealistico pensare che all’incremento prospettico dei flussi Ita possa ottenere risultati finanziari positivi. Ma potrebbe essere sufficiente? Probabilmente non basta il turismo verso l’Italia, pur crescente. Però il volume degli affari potrebbe essere aumentato da altre iniziative. biglietti in casaLa più importante sul piano dei margini di profitto è quella che porta in casa la prenotazione dei biglietti senza dover pagare un fornitore esterno: Lufthansa è ricca anche perché ha trovato un modo. Sul piano del volume di affari Ita potrebbe espandere gradualmente le sue rotte puntando ad aree del mondo non ancora sature e compatibili con la proiezione italiana verso l’Africa ed il Pacifico: le compagnie aeree più grandi tendono a comprare le piccole per offrire viaggi completi di persone e merci sotto loro bandiera in concorrenza con altre. Tema tecnico complesso, ma Ita ha dei potenziali autonomi di sviluppo competitivo che potrebbero trasformarla da preda in predatore. Semplificando, l’import ed export italiani richiedono, e sostengono, una rete globale di connessioni aeree, persone e merci. L’opportunità è investire in rotte che tocchino Paesi emergenti, attrezzandoli sul piano degli aeroporti e partecipando compagnie aeree locali. Lo Stato non ha i soldi per un tale investimento? Il mercato privato italiano li ha: se vede un progetto ambizioso li investe, ma se vede un’azienda subordinata a Lufthansa li mette in questa, casomai, e non sull’italiana. Ita dovrebbe esplorare un progetto competitivo autonomo di graduale espansione globale. i motivi del bloccoPer la parte nazionale sta crescendo l’integrazione tra trasporto ferroviario ed aereo, fondamentale per il turismo, ma dovrebbe esserlo anche per le merci. Aerei? I soliti noti. Ma si potrebbe valutare, per il medio raggio, una versione civile del bimotore turboelica militare Spartan (eccezionale) prodotto da Leonardo, aprendo rotte mediterranee ed africane con aeroporti «grezzi» per merci, ma anche persone? Si potrebbe valutare, per il lungo raggio, un partenariato che anche includa trasporti speciali con Giappone, Australia, India, Indonesia, ecc.? Secondo chi scrive questo e tanto altro andrebbe valutato. Situazione corrente: L’Ue sta rallentando l’integrazione Ita/Lufthansa per proteggerla contro ricorsi dai concorrenti e l’ovvia ostilità di Air France ed altri, costringendo il partenariato italo-tedesco a svariate amputazioni di rotte e scali. Vale la pena? Un progetto di solo partenariato funzionale e selettivo con Lufthansa di una Ita autonoma con ambizione globale andrebbe esplorato. Secondo voi?www.carlopelanda.com
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
La quiete in Medio Oriente non placa gli animi dei commentatori nostrani, che ora screditano gli accordi ispirati da Trump per l’assenza di donne ai tavoli negoziali: «Hanno più sensibilità dei maschi». Eppure la von der Leyen dimostra il contrario.
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
Per scaricare il numero di «Valore Donna» basta cliccare sul link qui sotto.
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