2023-11-09
Israele soffrirebbe la doppia esposizione del suo esercito
Alex Zarfati (Progetto Dreyfus)
Né Hezbollah né Gerusalemme per ora mirano all’allargamento del conflitto. E all’Iran basta sabotare le relazioni con i sauditi.Uno dei momenti di svolta del conflitto in atto tra Israele e Hamas seguito all’invasione del 7 ottobre è stato il discorso del leader del «Partito di Dio», Hassan Nasrallah. L’intervento annunciato della figura di spicco delle milizie sciite di Hezbollah aveva fatto temere al mondo che l’ora della «guerra totale» contro Israele fosse arrivata. Quelli che si aspettavano l’allargamento «ufficiale» della guerra nel fronte Nord però sono rimasti delusi. Il leader ha parlato di «una possibilità realistica» che il fronte si trasformi in una guerra più ampia, ma è evidente come questa possibilità non ha deciso di praticarla, almeno in questa fase. Gli analisti sono ora impegnati a valutare se l’allargamento del conflitto sia solo rimandato o se si debba «guardare altrove» per valutare i rischi potenziali di escalation tra Israele e Hamas. Probabilmente la posizione intrapresa dagli Stati Uniti a sostegno dell’intervento militare d’Israele ha giocato un ruolo importante nel contenimento della violenza del discorso e delle strategie della milizia sostenuta dalla teocrazia iraniana.Quello che è abbastanza certo è che non c’è la volontà di allargare il conflitto da parte di Israele. L’intento dichiarato del «gabinetto di guerra» formato dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, si concentra sull’azzeramento della capacità politica e militare di Hamas, a seguito dell’attacco subito il 7 ottobre e nel gestire eventuali «intrusioni» sul fronte di guerra. Sebbene Israele abbia la capacità di combattere su più scenari senza «profondità strategica», lo Stato ebraico non può gestire agevolmente una massiccia doppia esposizione del proprio esercito. Israele sa che la preparazione militare della milizia terrorista di Hezbollah è superiore a quella di Hamas, disponendo di una quantità di missili in grado di impegnare seriamente il Paese. Israele crede che l’Iran sia sicuramente a conoscenza di quanto stava per avvenire, ma è altrettanto consapevole che il Paese degli ayatollah pure inviando dichiarazioni di fuoco verso Gerusalemme e solidarietà al popolo palestinese non ha ancora attivato la milizia libanese finanziata dal regime. In ogni caso, più che arrivare a un confronto militare diretto, l’obiettivo di Teheran attualmente è quello di sabotare l’avvicinamento tra Israele e i sauditi e con le altre monarchie del Golfo. Le minacce iraniane hanno già ampliato da anni il conflitto, incoraggiando direttamente o indirettamente gruppi armati, attentati, sollevazioni, inviti alla jihad e all’attivazione di cellule in Europa, con lo scopo di isolare Israele e guadagnare alleati. La strategia dell’Iran fa il paio con quella di Hamas: quella di ottenere - attraverso l’efferatezza dei crimini verso i civili d’Israele e la guerra psicologica innescata dalla diffusione di esecuzioni in tempo reale - di incoraggiare la lotta armata contro Israele e innescare una risposta militare dura per scuotere emotivamente le piazze arabe e costringere i Paesi dell’area a interrompere le relazioni. Questo è il tassello più ampio della strategia di Hamas, che persegue anche obiettivi di breve termine e a livello locale puntando progressivamente a sostituirsi all’Anp nei territori della West Bank.A livello regionale l’intervento dei miliziani sciiti Houthi dello Yemen, ulteriore riprova che la «causa palestinese» e le rivendicazioni territoriali sono solo un pretesto per un disegno più grande perseguito dal fondamentalismo islamico: la demolizione della presenza occidentale nell’area, partendo dallo Stato d’Israele. Meno realistica appare invece la prospettiva di un allargamento del fronte Sud dove l’Egitto deve fare i conti con frange estremiste facenti capo ai Fratelli musulmani. Più degni di nota sono le azioni delle Forze di difesa israeliane contro le infrastrutture militari in Siria dopo che i razzi lanciati verso il Golan o attuate per spezzare il corridoio da cui passano rifornimenti di armi. Sono interventi che creano qualche tensione però con un altro attore importante nell’area - la Russia - che Israele ha smesso prontamente di informare sugli interventi militari in Siria, proprio a causa della posizione apertamente filopalestinese di Vladimir Putin. Il coinvolgimento della Russia o della Cina in modo più esplicito è l’ultimo dei «cerchi concentrici» nella valutazione del rischio di un allargamento del conflitto arabo-israeliano: quello globale. Gli Stati Uniti già sono interessati direttamente, non solo per il sostegno a Israele, ma anche per aver subito attacchi a truppe e basi nell’area. La sensazione è che il conflitto, a causa della fitta rete di interessi dell’area da parte di molti attori sia già una partita di interessi globali. Ma sono tanti i Paesi a non avere alcun interesse a un suo allargamento diretto. Il rischio di un loro coinvolgimento esiste e la «linea rossa» per Teheran potrebbe essere l’eventuale decapitazione di Hamas. I vertici politici iraniani sono ancora euforici per gli eccidi del 7 ottobre, che considerano come una grande umiliazione inflitta al nemico e non si può escludere che siano tentati di andare oltre.Alex Zarfati, presidente del Progetto Dreyfus