2025-05-06
Israele colpisce lo Yemen, poi tocca a Gaza
Benjamin Netanyahu segue l'attacco agli Huthi dal comando della Difesa (Ansa)
Azione di Idf e Usa nel porto di Hodeida, in risposta all’attacco all’aeroporto di Tel Aviv di domenica. Gli Huthi promettono vendetta. Intanto Netanyahu prepara l’invasione della Striscia e lo spostamento di parte della popolazione. Ma si teme per la vita degli ostaggi.Nella tarda serata di ieri una serie di attacchi aerei israeliani e americani hanno colpito il porto di Hodeida (sono stati sganciati 48 ordigni da 30 velivoli) nello Yemen, in risposta all’attacco all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv di domenica scorsa. Poco prima, i media yemeniti avevano riferito di attacchi condotti dagli Stati Uniti nei pressi della capitale Sanaa. «Abbiamo distrutto il porto di Hodeida e impianti per la produzione di cemento utilizzati per fabbricare armi. Si tratta di un attacco molto potente e non sarà l’ultimo. I giochi adesso sono finiti», ha detto un funzionario israeliano. Gli Huthi hanno reagito affermando: «Tel Aviv pagherà il prezzo. Avete aperto le porte dell’inferno su voi stessi».Sempre nella giornata di ieri Israele ha dato il via libera a un piano, nome in codice «Operazione Gideon Chariots», volto ad ampliare in maniera sostanziale le operazioni militari contro Hamas nella Striscia di Gaza. Come riferito da un funzionario israeliano ieri mattina, il piano prevede «l’occupazione di Gaza e il controllo di parte del territorio». Il piano varato dal Gabinetto di sicurezza per l’ampliamento dell’intervento militare a Gaza è esteso, ma circoscritto: esclude infatti operazioni nelle aree dove si ritiene possano trovarsi degli ostaggi. Le Forze di difesa israeliane (Idf) passeranno da incursioni di breve durata alla presa di controllo di specifiche zone (senza estendersi all’intera Striscia), con operazioni di bonifica e un’intensa attività nei tunnel sotterranei. Tuttavia, l’esecuzione di tale piano sarebbe prevista solo dopo la visita del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, attesa nella regione la prossima settimana. Nel frattempo, Israele continuerà a cercare una tregua e un’intesa per la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas, sebbene le prospettive offerte dal gruppo jihadista appaiano poco incoraggianti. Il piano, studiato e presentato dal capo di Stato maggiore delle Idf, il generale Eyal Zamir, prevede che le Idf assumano il controllo del territorio nella Striscia, spostino la popolazione civile verso Sud e colpiscano le infrastrutture e le milizie di Hamas, impedendo al gruppo di impossessarsi degli aiuti umanitari. A questo proposito Netanyahu ha dichiarato che «la popolazione di Gaza sarà trasferita per essere protetta». L’operazione sarà graduale e inizierà in un’area non meglio specificata di Gaza, per poi estendersi ad altre zone. Secondo l’emittente pubblica Kan, i combattimenti, che saranno intensi, potrebbero durare diversi mesi. Parallelamente, il Gabinetto di sicurezza ha dato il via libera alla ripresa delle consegne di aiuti umanitari a Gaza dove si è si è combattuto duramente, modificando il meccanismo di distribuzione per limitare il rischio che i beni vengano intercettati da Hamas. L’unico voto contrario è arrivato dal ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, sempre su posizioni oltranziste, secondo cui «la misura dovrebbe essere adottata solo in caso di emergenza». La proposta per un nuovo sistema di distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza prevede che le Idf si ritirino dalla gestione diretta della logistica e dell’immagazzinamento, lasciando il compito ad appaltatori privati e organizzazioni internazionali. Secondo fonti israeliane e arabe informate sui dettagli, le Idf non parteciperebbero direttamente alla distribuzione, ma garantirebbero la sicurezza esterna necessaria affinché i civili possano ricevere gli aiuti. Scatole di cibo e altri beni necessari verrebbero consegnati direttamente alle famiglie da operatori non militari. L’obiettivo come detto, è rendere più difficile per Hamas intercettare gli aiuti destinati alla popolazione civile che poi il gruppo jihadista tiene per se oppure rivende al mercato nero. All’interno del governo israeliano rimangono forti divergenze sull’espansione dell’offensiva militare su Gaza e sull’efficacia di queste misure anche perché il rischio di perdere altri soldati israeliani è altissimo. Secondo quanto riferito domenica sera dal notiziario del Canale 13, il generale Zamir ha comunque messo in guardia i ministri sul rischio che un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza possa compromettere la vita degli ostaggi ancora detenuti da Hamas. A fronte di queste prospettive, l’Hostages and Missing Families Forum ha diffuso una dichiarazione molto dura : «Le parole del capo di Stato maggiore dovrebbero togliere il sonno a ogni israeliano. La maggioranza del Paese è consapevole che non può esserci vittoria senza il ritorno degli ostaggi. Perderli equivarrebbe a una sconfitta nazionale. La sicurezza del Paese e la sua coesione sociale dipendono dal salvataggio di tutti, nessuno escluso». Attualmente, 59 persone sono ancora prigioniere a Gaza, e almeno 35 di loro risultano già decedute. Hamas ha accusato Israele di strumentalizzare la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza a fini di pressione politica. Il movimento jihadista palestinese ha inoltre affermato «di sostenere la posizione delle Nazioni Unite, contraria a qualsiasi intesa che non sia conforme (lo hanno detto davvero) ai principi umanitari». Infine, ieri si è appreso che venerdì scorso si è verificato un confronto ad alta tensione tra caccia turchi e israeliani nei cieli sopra la Siria. Secondo fonti locali, i jet turchi avrebbero emesso segnali di disturbo elettronico, compromettendo temporaneamente i sistemi di bordo degli aerei israeliani. L’incidente rappresenta un’ulteriore escalation in un contesto già delicato, alimentato dai continui raid israeliani in territorio siriano e dal ruolo sempre più attivo della Turchia nella regione.
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)