2023-06-01
Islamico lascia la scuola che censura Gesù
La famiglia musulmana, residente nella Bergamasca, aveva iscritto il figlio in un istituto privato cattolico. Ma dopo la scelta del preside di abolire la recita di Pasqua, ha cambiato idea: «Non rispettate il vostro Dio, quindi non ci si può fidare di voi».Tutto in sei parole: «Rispetto di Dio, la lezione islamica». Tutto nella sensibilità, anche giornalistica, di un sacerdote che vivendo accanto agli ultimi sa cogliere le curve della società. La storia è semplice, così immediata da demolire la narrazione new age alla moda dell’«unica grande Chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa» (monsignor Jovanotti). L’anno scorso una famiglia islamica che ha messo radici nella Bergamasca ha deciso di iscrivere il figlio in una scuola privata di ispirazione cattolica, nonostante i sacrifici economici, convinta dal programma di studio e dalla bontà dei contenuti educativi. Tutto bene fino al saggio di Pasqua, quando l’istituto ha deciso di trasformare una recita su Gesù in un più ecumenico spettacolo di canti, musiche e poesie «all’insegna dei più universali valori di pace, solidarietà fratellanza». Con la motivazione implicita di non urtare la suscettibilità degli alunni di altre confessioni.Una vicenda all’ordine del giorno nella società del laicismo dogmatico dove impera la regola condivisa del «quieto vivere». Ma questa volta con un finale inedito. Trascorse le feste pasquali, il figlio della coppia musulmana non torna in classe. Un giorno, due, quattro. Il dirigente scolastico decide di chiamare i genitori per chiedere il motivo delle assenze e si sente rispondere: «Lo abbiamo iscritto altrove». Allora, ipotizzando che la causa fosse la retta, si rende disponibile a venire incontro economicamente alla famiglia. Il mattino dopo il padre del bambino si presenta da lui e gli spiega la ragione della decisione: «Avevamo scelto la vostra scuola perché aveva una chiara impostazione religiosa, ma il teatro di Pasqua ci ha fatto capire che avete così poco rispetto del vostro Dio da censurarlo. Ci siamo resi conto di non poterci più fidare di voi. Ecco perché abbiamo deciso di cambiare».Sono queste le parole che don Davide Rota, Superiore generale del Patronato San Vincenzo di Bergamo (istituzione diocesana fra le più apprezzate), utilizza nella rubrica settimanale su L’Eco di Bergamo. Si intitola «Piccole storie», raccolte anche nel libro «Frammenti di vita». È un gioiello di citizen journalism che brilla da dieci anni e prende spunto dalle vicende quotidiane fra i ragazzi sbarcati dai margini del mondo. In quella cornice aneddotica non c’è posto per elucubrazioni alla Odifreddi o alati alibi filosofici; è la vita che bussa, con la sua esuberanza, con la sua disperazione. E lui apre il portone anche a mezzanotte «perché quello sconosciuto potrebbe essere Gesù». È il luogo dove la pratica costringe alla resa la teoria. Il tema è enorme, rappresenta l’equivoco di fondo nell’Europa della decristianizzazione progressiva, sempre più spinta da Bruxelles verso il nichilismo istituzionale. Il posto ideale dove nascondere la propria fede per non infastidire le altre. Non c’è errore più grande, nulla segna il declino più della vergogna di sé. E i primi ad accorgersene sono coloro che vorremmo includere semplicemente voltandoci dall’altra parte. Più ci esercitiamo nell’autoflagellazione, più perdiamo la loro eventuale stima. Perché loro, il senso del divino, ce l’hanno eccome. E non possono più fidarsi di noi. Don Davide Rota spiega la scelta di illuminare un argomento così delicato: «Il nostro disprezzo nei confronti della religione è indegno. E i primi a coglierlo sono coloro che provano devozione per la loro, di religione». Il mainstream mediatico che esalta le blasfemie sanremesi, le serie televisive che piegano la verità per mettere in luce solo sordidi eccessi curiali, l’anticlericalismo a gettone di una generazione di rapper sono forme di negazionismo, puro veleno, la base dell’autodistruzione religiosa. Se a tutto questo le scuole cattoliche rispondono nascondendo Gesù, il vuoto diventa «impalpabile assenza» determinata dal conformismo. Il male minore, scelto con la stessa superficialità di comodo con cui negli autogrill si sceglie il piatto del giorno, perché lo stereotipo è rassicurante.Prima di diventare il fulcro del Patronato, don Davide (74 anni) è stato per 13 anni in Bolivia come missionario, poi parroco di Mozzo per 15. Davanti agli occhi ha visto passare il mondo e sa decodificarne i misteri. «Qualche giorno fa un ragazzo islamico ospite da noi si è messo a bestemmiare», ricorda un altro aneddoto che rafforza il primo. «Me lo sono portato in ufficio e gli ho chiesto perché lo faceva. La riposta mi ha lasciato di stucco. «Siete voi cristiani a bestemmiare il vostro Dio, io mi unisco solo al coro. Il mio Dio non lo bestemmierei mai». Capita la lezione? Noi sì, i professionisti del laicismo agnostico forse no. E i sacerdoti che si arrendono neppure. Per loro rimane valida l’amara profezia di Emil Cioran: «Ormai le vacanze sono una religione, l’unica che l’Occidente abbia ancora».
Jose Mourinho (Getty Images)