2019-08-21
Tra pinte di birra e gastronomia, l'Irlanda è il Paese da visitare
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A insegnare agli abitanti della verde isola a bere birra furono con ogni probabilità i celti che sono stati i primi colonizzatori dell'area. La pinta, il tradizionale bicchiere con cui gli irlandesi bevono il loro pane liquido quotidiano, è una sorta di sacro Graal per gli irlandesi: lì dentro ci sta la cultura, la fede, l'idea di vita.Pur essendo un'isola ci sono relativamente pochi piatti di pesce, la carne più consumata non è quella vaccina, ma quella di montone e in subordine di maiale. Il piatto nazionale è l'irish stew che si prepara stufando varie carni insieme con le patate.Lo speciale comprende due articoli.Gli irlandesi non bevono birra, sono costituiti da birra essendo i secondi consumatori al mondo per quantità di quello che gli egiziani chiamavano "il pane liquido" e i trentesimi per quantità prodotta. A insegnare agli abitanti della verde isola a bere birra furono con ogni probabilità i celti che sono stati i primi colonizzatori dell'area. I campi irlandesi di orzo sono destinati a produrre birra e il paesaggio che nell'immaginario collettivo è costituito da verdi colline e praterie in realtà nelle zone agricole (cioè fuori dalle principali città) è costituito da "campi di birra". La "pinta" (il tradizionale bicchiere con cui gli irlandesi bevono il loro pane liquido quotidiano: ha una forma che non scalda con la mano la birra ma la bocca larga fa perdere un po' gli aromi: ogni bicchiere contiene 56 centilitri, un po' più di mezzo litro) è una sorta di sacro Graal per gli irlandesi: lì dentro ci sta il gaelico (la lingua antica ancora obbligatoria nella scuola primaria ma ormai parlata solo in alcune zone del paese all'ovest) ci sta la cultura, la fede, l'idea di vita degli irlandesi che sono un popolo sì nordico e duro, ma assai attento a godersi la vita. Una goodness che passa inevitabilmente attraverso la birra. Due patroni hanno per la birra: il primo è San Colombano ben noto ai milanesi perché è sepolto a Piacenza dove fondò a Bobbio il suo più importante monastero e perché il San Colombano è il vino die milanesi. Colombano è irlandese di origine, benedettino d'appartenenza ed evangelizzatore d'Europa e si narra che incontrando dei pagani che stavano per offrire in sacrificio un tino di cervogia, bevanda antenata della birra fermentata con orzo o avena, al dio Wotan li fermò e appena questi posarono il tino andò in mille pezzi. Prima che ciò accadesse, gridò loro di fermarsi e fu proprio a quel punto che il tino esplose in mille pezzi. Ai pagani terrorizzati San Colombano disse evidenziando la manifestazione divina: non offritela alle vostre deità, ma bevetela in segno di rendimento di grazia all'unico Dio. E così i pagani si battezzarono nell'uso della birra! Come detto però gli irlandesi che officiano con la birra la liturgia dello stare insieme hanno anche una santa patrona della pinta: è Santa Brigida d'Irlanda, badessa di Kildare, considerata dopo San Patrizio la grande evangelizzatrice dell'Irlanda è la patrona dei produttori di birra. L'agiografia racconta che durante la sacra rappresentazione delle nozze di Cana spillò da un solo barile una quantità di birra che bastò a 18 chiese per il periodo dal Giovedì Santo fino alla fine della Pasqua. Ciò detto si capisce perché chiedere acqua a Dublino è quasi un'offesa. Ma vediamo quali sono le principali birre degli irlandesi. Appare quasi un'ovvietà, ma la birra d'Irlanda è prima di tutto la Guinness che non è neppure così antica. Cominciò a produrla a Leixlip Arthur Guinness che poi nel 1759 si trasferì a Dublino nella celebre St. James's Gate Brewery dove tutt'ora c'è la sede principale della Guinness che è talmente connaturata alla vita degli irlandesi che hanno creato una sorta di proverbio che recita "my goodness, my Guinnes". Come dire il mio benessere o se preferite felicità è la mia Guinnes che in cifre significa: 5 milioni di chili di orzo e di malto tostati ogni anno e dieci milioni di pinte vendute nel mondo ogni giorno, stimato in sei milioni di litri. La Guinnes più consumata è la stout che significa: vera birra irlandese. Cos'è una stout? È la birra scura ottenuta con il malto quasi affumicato. Mr Guinness per avere a disposizione il suo malto affittò terreni agricoli con contratti di 9 mila anni. Le caratteristiche della Guinnes sono di avere una schiuma compatta, cremosa, quasi assenza di bollicine, ha sentori di cacao, di caramello, di moka con un finale decisamente amaro. Va servita non sotto i 15 gradi ed una grande birra da abbinamento co le carni. Le stout irlandesi si dice nascano dall'incendio di Londra del 1666 (insomma gli inglesi per gli irlandesi qualcosa di buono avrebbero comunque fatto!) quando re Carlo II° decise di usare comunque l'orzo bruciacchiato. Gli irlandesi copiarono e copiarono meglio. Tra le stout imperdibili nella zona di Cork dunque nel sud dell'Irlanda si trova la prestigiosa Murphy's che ha un gusto più deciso della Guinnes, schiuma più fine e impronta più amara grazie ad un luppolo esclusivo. E' perfetta con il maiale. Altra stout un po' più proletaria ma egualmente significativa è la Beamish che ha un aroma più verso il pane grigliato con accenni erbacei: è la birra dei portuali irlandesi e infatti si sposa bene con il pesce.Ma oltre le stout l'Irlanda regala altre tipologie di birra. Tra le lager (quelle bionde per capirci che vanno bevute ben fredde) la più diffusa è senza dubbio la Harper (sempre della casa Guinness). La si trova ovunque, è la birra da passeggio! Ha una spuma esuberante ma non persistentissima, la sua maggiore impronta è quella erbacea e il finale non è però amarissimo. A farle concorrenza soprattutto la Caffrey's che si beve a fiumi perché ha poco alcol, è molto rinfrescante e si abbina con qualsiasi cosa grazie ai suoi profumi di liquerizia.Le rosse sono un altro vanto d'Irlanda e tra le Ale (che hanno più alcol di solito più struttura e non devono bersi mai sotto i 13 gradi) c'è un tris d'assi composto da Kilkenny una rossa molto morbida da carni, la Smithwck's Drahught che ha un sentore di caramello ed è di bevuta molto franca, e la Bassa decisamente maltata perfetta con gli insaccati. Infine per fare un'esperienza completa ava provata almeno la Curim che viene da Carlow come un'altra grande Ale la Morning, e che è fatta col grano e ha dunque un sapore decisamente di pane, ottima con i piatti basici della cucina irlandese.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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