2025-06-15
I Paesi islamici mollano gli ayatollah: sono pronti al nuovo dominio saudita
Donald Trump e Mohammed Bin Salman (Getty Images)
A parte qualche dichiarazione di facciata, nessuno Stato del Medio Oriente sta più al fianco di Teheran. Riad sta collaborando attivamente con Israele e aspira a dare le carte nell’area, a cominciare da Gaza. In Medio Oriente, salvo a parole, nessuno più sostiene l’Iran. Simpatizzanti degli ayatollah si contano solo in Occidente. Il che aprirebbe un enorme capitolo di analisi della frammentazione della nostra società che però ci porterebbe lontano dallo smottamento in atto tra sunniti e sciiti. Per quanto riguarda l’Europa e la permeabilità agli influssi di un certo mondo islamico, basterebbe andare a rileggersi Oriana Fallaci. E magari sarebbe il caso di studiarla a memoria. Per quanto riguarda invece la reazione dei Paesi del Middle East la questione è complessa e articolata. Al di là delle esternazioni di Donald Trump - sempre un po’ ambivalenti- , gli Usa hanno chiaramente appoggiato il bombardamento israeliano dei siti nucleari e l’uccisione mirata dei vertici militari del regime. Giordania e Iraq hanno contribuito ad abbattere i droni inviati da Teheran in direzione Tel Aviv. Li hanno fatti esplodere quando attraversavano il proprio spazio aereo. L’Arabia saudita, che nella giornata precedente all’attacco ha subito una penetrazione hacker in varie componenti radaristiche, ha dato il proprio silenzio assenso. Ma Mohammed Bin Salman ha pensato bene di tirare una linea di non ritorno. Intervistato da una tv internazionale, l’altro ieri ha detto che «l’Iran non è un rivale di Riad. Non ha la capacità militare né finanziaria di concorrere». E interrogato dalla giornalista ha aggiunto che «i vertici di Teheran si comportano come Hitler». D’altronde Israele senza la copertura saudita non avrebbe mai potuto organizzare un piano così complesso e ciò avviene perché stiamo assistendo alla fine del grande ciclo avviato dai democratici nel 2011. Oggi si contano le ultime giornate delle cosiddette primavere arabe. La caduta di Mohammar Gheddafi da un lato ha spinto l’internazionalizzazione della Fratellanza musulmana e dall’altro ha consentito, su altri tavoli, un nuovo approccio all’Iran. Ricordiamo le aperture Usa e le mosse di una Europa rappresentata da Federica Mogherini. Adesso l’obiettivo è mettere a terra i nuovi Patti di Abramo. Un’alleanza che mira a riportare il controllo del Medio Oriente sotto la bandiera sunnita e sotto la finanza saudita ed emiratina. Dopo il pogrom del 7 ottobre sono successe tante cose. Mentre l’Idf invadeva Gaza, il Libano ha trovato una presidenza filo saudita che, con la distruzione della potenza di Hezbollah, ha avuto la possibilità di cambiare gli equilibri interni. La Siria ha visto la cacciata di Assad, con l’assenso dei russi e la spinta dei turchi, e l’arrivo di una figura a dir poco contraddittoria come Al Jolani. Il jihadista ripulito e in giacca e cravatta impone il burkini, ma dopo aver cacciato Hamas dalla Siria e aiutato a distruggere le basi iraniane. E ciò fa comodo agli Usa e a Israele. Adesso Tel Aviv punta ad annientare la capacità atomica degli ayatollah, ma vorrebbe spingere anche per un cambio di regime. È molto difficile che avvenga, ma sarebbe comunque propedeutico al progetto più ampio. Uno schema che include pure il controllo indiretto di Gaza da parte dei sauditi. Qui c’è un problema enorme. Dove mettere milioni di palestinesi. Ha fatto scandalo il video diffuso dai social di Donald intitolato «Trump Gaza». Una pacchianata di cattivo gusto ma con un enorme fondo di verità. Israeliani e americani gradirebbero che la Striscia possa diventare un governatorato saudita e ciò permetterebbe a Bin Salman di avere un affaccio al Mediterraneo. Sarebbe un evento storico che impatterebbe sul ruolo turco nel Mare Nostrum e anche sul futuro di Egitto, Libia e Tunisia: l’ultimo Paese del Magreb ancora sotto l’influsso dei Fratelli musulmani. A rafforzare il progetto ci sono gli accordi chiusi tra Usa, Emirati e Arabia Saudita un mese fa. La casa Bianca ha accettato di rendere i Paesi sunniti referenti energetici e punto di svolta per i data center e lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale. Con il compito di fornire l’intera area e fare concorrenza alla corsa cinese. Ci sono tanti punti oscuri e incognite che adesso non permettono di dire che il cerchio dei nuovi Patti di Abramo si chiuderà. Innanzitutto quando scoppia una guerra non tutto è pianificabile. Né dal punto di vista delle tempistiche né dal punto di vista dell’errore umano. E se l’Iran avesse una bomba sporca da usare? Se venissero coinvolte le basi americane? E numerosi altri punti interrogativi. Di certo il riassetto del Medio Oriente non riguarderà solo l’area. Ma anche la politica europea che dovrà fare i conti con il partner qatarino che fino ad ora ha giocato sui due fronti: sostenitore degli sciiti, ma stretto alleato economico dell’Occidente. Non a casa le parole di condanna a Israele sono state poco più che formali. Solo il Pakistan è intervenuto duramente. I sauditi in caso di vittoria non avranno certo come interlocutore la filiera degli obamiani, clintoniani o dei socialisti Ue.L’influenza finanziaria del Qatar nel Vecchio Continente dovrà fare i conti con una nuova potenza. I sauditi si sono al momento limitati a usare calcio e sport. Non hanno creato spinte culturali come gli avversari di Doha. Ci riferiamo agli scandali dell’Europarlamento. Infine, per quanto riguarda l’Italia (che bene fa stringere accordi con Bin Salman) resta l’incognita Libia. Tripoli e Bengazi non saranno indenni dall’ondata del riformismo sunnita. Che fine farà il governo di Abdul Hamid Dbeibeh? Intanto il figlio di Haftar, il re della Cirenaica, è stato a Roma. Nel dubbio si dialoga.
L’amministratore delegato di Fs Stefano Donnarumma (Ansa)