2021-10-12
«L’Iran non ha ancora sviluppato armi nucleari, ma è una minaccia»
Raz Zimmt. Sullo sfondo lavori alla centrale nucleare Bushehr (Getty Images)
Il ricercatore ed esperto dell'università di Tel Aviv Raz Zimmt: «Non c'è solo il pericolo riguardante l'arricchimento dell'uranio. Teheran sostiene il terrorismo e alcune stazioni dell'intelligence si trovano in diverse ambasciate d'Europa».Il 21 settembre la Repubblica islamica dell'Iran e l'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) hanno raggiunto un accordo che consente la manutenzione delle apparecchiature di sorveglianza dell'agenzia, alle quali Teheran aveva limitato l'accesso dall'inizio dell'anno. Così agli ispettori dell'Aiea, secondo quanto dichiarato in un comunicato congiunto, sarà nuovamente permesso di «riparare le apparecchiature identificate e sostituire i loro supporti di memorizzazione, che saranno tenuti sotto il sigillo congiunto dell'Aiea e dell'Aeoi» (l'Organizzazione per l'energia atomica iraniana e le tempistiche). Ma c'è davvero da fidarsi che l'Iran si atterrà a quanto sottoscritto? Ne abbiamo parlato con il dottor Raz Zimmt, ricercatore presso l'Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale (Inss), esperto di Iran. Lavora anche come ricercatore presso l'Alliance center for iranian studies dell'università di Tel Aviv e presso il Doron halpern middle east network analysis desk del Moshe Dayan center for middle eastern and african studies.«Il problema non è se l'Iran si attiene a ciò che è stato firmato o meno. Questo accordo è in realtà molto tattico. È sicuramente importante perché, limitando le ispezioni dell'Aiea all'interno degli impianti nucleari iraniani, rende difficile monitorare i continui sforzi di far avanzare il suo programma nucleare. Detto questo, dobbiamo ricordare che il problema principale di oggi non è solo la limitazione imposta dall'Iran alle ispezioni dell'Aiea, ma le continue attività per far avanzare i programmi nucleari, dopo la decisione intrapresa nell'estate del 2019 di ridurre il suo impegno nell'Accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), in seguito alla scelta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirarsi dal Jcpoa. Il problema principale, quindi, è ciò che l'Iran ha fatto riguardo all'arricchimento dell'uranio e all'avanzamento del suo programma nucleare in un modo da accumulare abbastanza materiale fissile, che sarà sufficiente per produrre armi nucleari. Questo è il problema principale».Quanto è grande la minaccia che l'Iran si doti di ordigni nucleari e che quindi possa minacciare lo stato di Israele e magari l'Arabia Saudita e anche gli Emirati Arabi Uniti?«Prima di tutto dobbiamo ricordare che, in questa fase, non abbiamo prove che l'Iran abbia deciso di rinnovare la cosiddetta parte di armamento del suo programma nucleare. Ci sono infatti due diverse parti del programma nucleare iraniano: una è l'acquisizione o l'accumulo di materiale fissile sufficiente ad arricchire l'uranio, quindi per la creazione di armi nucleari; l'altra, bloccata dall'Iran tra il 2003 e il 2004, è chiamata gruppo di armamento, il quale ha sviluppato l'arma nucleare. Secondo la maggior parte delle valutazioni, mentre l'Iran ha rinnovato o continuato il suo sforzo di accumulare sempre più materiale fissile, incluso il 60% di uranio arricchito e uranio metallico, quando si parla di armamento, non abbiamo prove che l'Iran stia rinnovando questa parte ed è per questo che le valutazioni dell'intelligence sono ancora che l'Iran è a due anni dall'acquisizione di armi nucleari. Se e quando l'Iran deciderà di tirare fuori armi nucleari e di rinnovare il suo sforzo per crearle, questo potrebbe avere implicazioni molto drammatiche, prima di tutto sulla sicurezza di Israele e poi del Medio Oriente in generale. Permettendo all'Iran di aumentare la sua attività nella regione, aumenterà certamente la sua capacità di svolgere altre attività, come il sostegno al terrorismo. Non ci sono dubbi che ci sia una differenza tra uno stato che non ha capacità nucleari e uno che le ha, non solo per quanto riguarda le capacità nucleari ma anche per ciò che può fare per le sue attività non nucleari. Inoltre, potrebbe incoraggiare altri paesi della regione, come Arabia Saudita o Turchia, a sviluppare le proprie capacità nucleari e questo potrebbe ovviamente deteriorare la situazione in tutto il Medio Oriente. Direi che la linea di fondo è che se e quando l'Iran diventerà detentore di armi nucleari, questo avrà implicazioni molto significative sulla sicurezza di tutti i Paesi della regione. La questione, naturalmente, è quale sarà l'impatto del continuo sforzo dell'Iran di arricchire sempre più uranio e forse di arrivare allo status di limite massimo, quindi senza superare la soglia. Questa è considerata anche da Israele una minaccia molto significativa, ma non è come se l'Iran avesse deciso di tirare fuori armi nucleari».Javad Dabiran, portavoce del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, durante un'intervista rilasciata ad Asharq al Awsat, ha riferito che «il ministero iraniano dell'Intelligence ha una rete di agenti in Europa che sono gestiti con l'aiuto delle ambasciate iraniane e l'uso improprio delle immunità diplomatiche». Inoltre, sempre secondo Dabiran, «ci sarebbero varie cellule dormienti terroristiche iraniane e anelli di spionaggio in tutta Europa gestiti dalle rappresentanze diplomatiche iraniane». In Europa ci preoccupiamo molto delle spie russe e dei terroristi sunniti ma non si ha la percezione di questa minaccia iraniana. Queste reti di spionaggio funzionano come descritto da Javad Dabiran e cosa sono in grado di fare?«Sappiamo che ci sono alcune stazioni dell'intelligence iraniana in diverse ambasciate in Europa e sappiamo anche che Teheran è stata coinvolta in diversi tentativi di compiere attacchi terroristici nel Vecchio continente negli ultimi due anni, soprattutto contro obiettivi dell'opposizione iraniana. Quindi possiamo certamente dire che ci sono infrastrutture utilizzate dall'intelligence iraniana in tutto il mondo, anche in Europa. Ci sono dubbio, però, sul fatto che l'Iran le voglia davvero usare per compiere attacchi terroristici. Non direi quindi che non hanno affatto capacità operative, questo non è certamente il caso, ma non sono così facili da usare. La questione a volte è più difficile e complessa di quanto sembri».Traduzione a cura di Carol Simonetti
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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