È ipocrita voler vincere il conflitto senza avere armamenti né soldati

Per fare la guerra oltre alle armi ci vogliono i soldati, ma se scarseggiano entrambi l’esito più probabile del conflitto è la sconfitta o la resa più o meno onorevole. È inutile girarci intorno, fare appelli e lanciare minacce, i primi per chiamare alla riscossa un fronte comune, le seconde per spaventare i più recalcitranti e convincerli della necessità di resistere all’aggressore. Se non ci sono i soldati e neppure le armi, la guerra è persa e se non sarà a breve lo sarà più avanti, cioè dopo altre centinaia di migliaia di morti e di feriti. Non si è filoputiniani se si dicono queste cose, e neppure si è pavidi: si è semplicemente realisti.
La guerra per interposta nazione, vale a dire l’Ucraina, non ci ha mai convinto, perché è comodo sostenere un conflitto, la difesa sacrosanta dell’indipendenza di una nazione di fronte all’invasione. Ma non è detto che oltre a essere comodo, un conflitto così combattuto sia anche vincente. A due anni di distanza dal giorno in cui le truppe di Mosca varcarono il confine ucraino, al di là degli inviti patriottici e un po’ enfatici di politici e commentatori, la realtà è davanti ai nostri occhi e non è molto bella: continuare a ignorarla non ci aiuterà a cambiare le cose.
Abbiamo scritto nei giorni scorsi di come l’economia russa non sia crollata nonostante le sanzioni. Il Fondo monetario internazionale, per il 2024 ha confermato una crescita del 2,6 per cento, quasi il triplo di quella attesa in Europa. Sappiamo che a gonfiare i conti di Mosca contribuisce la spesa militare, ma è una realtà di fatto che i conflitti siano sempre stati un volano per la crescita, basti pensare a quello che è accaduto nella storia del secolo scorso. Dunque, è meglio non farci troppe illusioni sulla caduta del regime di Putin in tempi brevi e soprattutto è ora di mettere da parte le aspettative sui risultati delle sanzioni, dato che, come abbiamo spiegato, le misure adottate dagli Stati Uniti e dai Paesi alleati sono regolarmente aggirate e spesso dalle stesse nazioni che dovrebbero applicarle. Sul petrolio c’è l’embargo, ma l’Europa lo compra sottobanco dall’India; su quello che non è vietato importare, come il grano e prodotti agroalimentari, gli stessi Paesi Ue, tra i quali l’Italia, fanno a gara a chi compra di più, raddoppiando, triplicando e in qualche caso decuplicando gli acquisti. Dunque, se l’obiettivo è mettere in ginocchio Mosca e la sua economia, stiamo facendo letteralmente il contrario.
Ma questo è niente. Perché prima di discutere di tutto ciò è necessario guardare in faccia due aspetti, ovvero i soldati e le armi. Per quanto riguarda i primi, è evidente che le truppe ucraine da sole non potranno mai bastare a vincere la guerra. Nessuno sa dire quanti militari abbia perso Kiev nei 24 mesi di conflitto, ma nonostante la propaganda tenda a minimizzare, si parla di oltre 150.000 uomini. Per rafforzare le linee sotto attacco ci sarebbe bisogno di mezzo milione di militari, forse addirittura 700.000, ma molti dei giovani in età da battaglia sono scappati all’estero e altri hanno disertato, al punto che sono state imposte delle politiche di reclutamento forzato, che in pratica somigliano molto a rapimenti e rastrellamenti per spedire al fronte chi si è sottratto alla chiamata alle armi. Senza contare le vittime, Kiev dispone di 500.000 militari, di cui 200.000 in servizio attivo. La Russia di 1,4 milioni uomini, più 250.000 riservisti, che però potrebbero in breve aumentare.
Quanto alle armi, i conti sono presto fatti. Secondo recenti stime, Mosca produce 115-130 missili a raggio lungo e 100-115 missili a raggio corto ogni mese, oltre a 30 missili balistici per il sistema Iskander. A ciò si aggiungono 300-350 droni kamikaze, ma lo stock accumulato al momento sarebbe di oltre mille, nonostante gli 800 lanciati nel solo mese di dicembre. Lo scorso anno la Russia ha prodotto due milioni di munizioni per l’artiglieria, ma secondo stime estoni, il numero sarebbe stato più alto, ossia 3,5 milioni, che quest’anno potrebbero diventare 4,5. In pratica, i russi sparano 10.000 colpi d’artiglieria al giorno. Per capire la disparità, basti dire che le industrie della difesa dell’intera Europa si sono impegnate a produrre in un anno un milione di pezzi di artiglieria, dunque all’incirca un quinto di quelli che escono dalle fabbriche di Putin.
A questo punto, invece di appelli e allarmi, serve rispondere a una domanda chiave: come si fa a vincere una guerra senza soldati, senza armi e con sanzioni che sono aggirate perfino da coloro che le hanno messe? Capite perché quando parliamo del conflitto fra Ucraina e Russia, di Navalny e di tutto il resto si finisce sempre lì, alla grande ipocrisia occidentale, che difende i principi ma solo a parole?






