2023-12-05
Sara Doris: «Innovazione e cura: così mio padre cambiò il modo di fare banca»
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La figlia del fondatore di Mediolanum: «Fu il primo a sposare credito e tecnologia. Il cliente però è rimasto sempre “persona”».Il sogno di Ennio Doris era «condiviso. Mio padre ha sempre fatto il meglio che poteva, cercando di condividere le cose con gli altri, creando un gruppo di persone che ha vissuto la vita partecipando a un sogno collettivo''. Sara Doris, secondogenita del patron di Mediolanum, Ennio, ha deciso di scrivere il libro (Ennio, mio padre, edito da Piemme) a lui dedicato a quasi due anni dalla scomparsa. Non si tratta, però, di un testo celebrativo. «Non volevo un libro di ricordi malinconici ma qualcosa di generativo come era papà», spiega Sara che è vicepresidente di Banca Mediolanum, presidente del cda di Fondazione Mediolanum e della Fondazione Ennio Doris, istituita nel 2022 per agevolare il percorso formativo di studenti meritevoli provenienti da contesti socioculturali non favorevoli.Nel libro lei scrive che il lavoro di suo padre è sempre stato ispirato a quel «noi azienda» che era anche famiglia. Si racconta anche il legame con la seconda famiglia, Mediolanum, non a caso li aveva chiamati family bankers. Tra gli aneddoti riportati nel libro, quale è quello che lo rappresenta di più?«Papà era un visionario, un grande innovatore, ma soprattutto era un uomo capace di amare. Nel senso del prendersi cura degli altri. Lo faceva in qualunque ambito della sua vita lui si manifestasse, in famiglia, con gli amici, nell’ambito lavorativo. Ho un ricordo di bambina. Eravamo in montagna a sciare, avevo 5 o 6 anni, avevo freddo, mi facevano male i piedi. All’epoca poi gli scarponi non erano poi così comodi e io mi lamentavo. Ricordo che ero seduta su una panca e papà chinato per terra che mi toglieva gli scarponi e sfregava le sue mani sui miei piedi per scaldarmi. Ecco, quel tipo di accudimento l’ha sempre avuto. E questa generosità nel donarsi agli altri si vedeva anche all’interno dell’azienda. Papà amava molto la parabola del Vangelo, quella dei talenti e quella della lavanda dei piedi con Gesù che si mette al servizio degli apostoli. Aveva questa icona in ufficio perché diceva se tu sei a capo, sei il leader. E sei tu che devi essere al servizio loro. Vedendolo spendersi così tanto per le altre persone noi figli ci siamo sentiti oltre che «protetti», responsabilizzati. C’erano poche regole in casa ma erano chiarissime, e noi sapevamo che all’interno di quei limiti potevamo muoverci con totale libertà. E' stato un educatore eccezionale. Non era severo, ma autorevole. In casa ho sempre sentito parlare di doveri prima che di piaceri o di diritti.Il tema è molto attuale considerando il dibattito di queste settimane sull’educazione in famiglia. Suo padre era cresciuto in una zona del Veneto dove ai mediatori di bestiame bastava una stretta di mano per fare affari. La parola data era importante?«La parola data per lui era sacra. In famiglia e nel lavoro. Da giovane faceva il consulente finanziario per la Dival e nel 1981 esce questa nota ministeriale, ricadeva su un prodotto che stavano vendendo, era il loro prodotto di punta. La nota ministeriale diceva che questo prodotto finanziario non era detraibile fiscalmente mentre era stato venduto con la detraibilità, come detto dai fiscalisti dell’azienda. L’azienda dice: non possiamo farci niente. Papà dice no, io ho dato la mia parola, ho venduto io questi prodotti ai miei clienti, ai nostri clienti. Quindi di tasca propria contatta il miglior fiscalista dell’epoca, Victor Uckmar. Con mia mamma parte per Genova. Uckmar conferma il parere che il prodotto è detraibile, mettono su un sistema di difesa per i clienti e alla fine vincono tutte le cause. Rispettando la parola data».E questo ci porta al 2008 quando suo padre convinse Silvio Berlusconi a mettere mano al portafoglio con 120 milioni per rimborsare di tasca propria i clienti che avevano perso con i titoli Lehman Brothers venduti da Mediolanum.«Nessuno avrebbe pensato che una banca potesse fallire. Certo, quando si fanno investimenti ci sono dei rischi per i clienti ma in questo caso mio papà reputò il momento così particolare e così diverso dagli altri, proprio perché una banca che falliva non era pensabile nella testa dei risparmiatori. Non aveva ancora studiato come fare ma aveva già l’ok di Berlusconi. Andò da lui e gli disse «Silvio io avrei deciso di fare questo, se vuoi lo facciamo insieme. Se non te la senti io lo faccio comunque. E Silvio, senza neanche obiettare disse Ennio quello che fai tu faccio anch’io».Si può dire che Ennio Doris ha cercato anche di umanizzare la finanza, vista sempre come un qualcosa di asettico, freddo e persino spietato?«Prima ricordavamo i family banker, anche questo nome non è un caso. Ricordo un’esperienza che papà ebbe negli anni Settanta andando da uno dei suoi tanti clienti, un falegname. Gli consegna un assegno di 10 milioni di lire e gli dice: signor Doris, sa che cosa le ho dato? E mio padre controlla se la cifra era corretta, ma il falegname gli risponde: «signor Doris, io le ho dato questi e gli mostra una mano piena di calli. Il frutto del mio lavoro. Si ricordi bene che se io non lavoro la mia famiglia non mangia. Quindi se lei sarà così bravo da investire questi 10 milioni di lire, io tra 15 anni potrò permettermi il lusso di ammalarmi». Mio padre quella sera si rese conto che bastava aggiungere una polizza infortuni e malattie e quel cliente sarebbe stato protetto. Ecco, quell’inclinazione a pensare alle vere esigenze della persona vuol dire umanizzare un comparto».Cosa pensava suo padre della trasformazione della finanza italiana negli ultimi anni? Aveva notato un cambio anche nei valori, per lui sempre molto importanti?«Non l’ho mai sentito esprimere pareri negativi per principio. Lui sosteneva che il cambiamento è una costante del progresso dell’essere umano, a volte accade lentamente, altre volte attraverso degli choc che sono l’occasione per aggiornare il software. Papà era un ottimista. Non un ingenuo. Era una persona che di fronte alla realtà non spreca energia nel lamentarsi, ma cerca le soluzioni. Trasformandole poi in esperienza. La nostra banca è nata come banca telefonica perché lui voleva un servizio che fosse sempre a disposizione dei clienti. Quando ancora non esisteva internet, mi diceva: dove ci sono sportelli bancari ci saranno bar e gelaterie. E’ andata così. L’importante è essere disposti a cambiare. Un po’ come gli alberi, no? Che cambiano le foglie a seconda delle stagioni. Però le radici, cioè i valori, non devono mai venir meno. Perché altrimenti non sei più credibile e non stai più in piedi».