2025-04-20
Philippe Donnet: «Vorrei spiegare al governo il piano Natixis. Golden power? Usarlo sarebbe un peccato»
Philippe Donnet (Imagoeconomica)
Il ceo di Generali sulla joint venture coi francesi e sui progetti del gruppo: «Nessun muro contro muro con l’esecutivo. Smarrire il controllo dei risparmi italiani? Solo se si resta troppo piccoli, e poi decideremo noi dove investire. Potremmo perdere l’occasione ma, ovvio, rispetteremo il verdetto».L’assemblea dei soci di Generali, la più grande compagnia di assicurazione italiana, si riunirà il 24 aprile per il rinnovo del consiglio di amministrazione. Di solito questo genere di appuntamenti prevede una ratifica di scelte già decise in precedenza e quasi sempre, se non ci sono vincoli di età, si tratta di riconferme del management in carica. Non in questo caso. Infatti alla riunione di giovedì gli azionisti del Leone arrivano divisi: da una parte una cordata guidata da Mediobanca, che chiede di votare per l’attuale vertice della società, dall’altra una seconda che è rappresentata da Francesco Gaetano Caltagirone e dal gruppo Luxottica. Non è la prima volta che i due schieramenti si misurano per decidere chi dovrà essere l’amministratore delegato, ma questa volta nella disputa si è inserita anche Assogestioni, che riunisce Sgr e società di investimenti. L’esito dell’assemblea dunque non è affatto scontato e un voto che non confermasse l’attuale consiglio di amministrazione, guidato da Philippe Donnet, rappresenterebbe non solo un rilevante cambio di governance ai vertici del colosso delle polizze, ma anche la fine dell’influenza che Mediobanca ha a lungo esercitato sulla finanza italiana. Dunque, il parere dell’attuale amministratore delegato di Generali, a pochi giorni dall’assemblea, è a dir poco interessante e quella che segue è l’intervista con lui. Il 24 si decide il futuro suo e della compagnia, che lei guida da nove anni, o solo il suo?«Si decide il futuro della compagnia, è una scelta tra una visione di Generali come public company e una visione di Generali in mano a soggetti privati con una visione diversa della governance. E poi non è che si tratta solo di me, si tratta del rinnovo di tutto il consiglio di amministrazione, questo è un punto importante. E c’è un consiglio di amministrazione che viene proposto con un management che ha portato a termine con successo tre piani industriali, facendo crescere la capitalizzazione del gruppo da 15 a quasi 50 miliardi, e che ha presentato un nuovo piano molto ambizioso, convincendo il mercato. In un contesto normale non ci sarebbe nessuna discussione. Peraltro quando incontro molti fondi internazionali mi chiedono come mai c’è questa confusione? Arrivo a questa assemblea con grande serenità, ho la serenità dei fatti e dei numeri».Il compito di un manager è però anche quello di tenere conto delle diverse componenti degli azionisti. C’è un azionista importante che è Mediobanca e ce ne sono altri. Cosa non è riuscito a fare per tenere insieme queste visioni? Che cosa si rimprovera?«Il mio interlocutore è il cda. Cosa facciamo come management? Ogni tre anni presentiamo al cda un piano industriale. Il consiglio di amministrazione fa da stimolo al management, e non abbiamo un consiglio di amministrazione composto da yes man. Quindi questo ultimo piano industriale, come quelli precedenti, è stato discusso con il consiglio di amministrazione e poi è stato approvato».Perché lei dice che serve un consiglio coeso e non frammentato? Non sarebbe normale avere diverse anime?«Il cda rappresenta tutti gli azionisti e direi che la responsabilità di un consigliere è rappresentare tutti gli azionisti».Anche se è votato solo da una parte degli azionisti?«Normalmente sì. Un consigliere deve fare l’interesse della società».Da quanto va avanti questa battaglia tra soci? Io la seguo da almeno tre anni.«Io sono focalizzato sul fare bene le cose che dobbiamo fare. Tre anni fa è stato presentato un piano industriale alternativo che non ha convinto il mercato. Questa volta non è stato presentato nessun piano industriale alternativo. Lo ribadisco, il mio compito è portare a termine un piano ambizioso che crei valore».Il rimprovero principale che muovono a Generali è essere cresciuta meno rispetto ad altre compagnie. Che risponde?«Da nove anni, da quando sono stato nominato, la nostra capitalizzazione è cresciuta più di quella delle aziende concorrenti. Quindi, se prima avevamo perso terreno rispetto ai competitor, in questi ultimi nove anni abbiamo recuperato parzialmente grazie a tutto il valore che abbiamo creato. Non è banale offrire agli azionisti un ritorno di oltre il 300 per cento, oltre ai dividendi che abbiamo pagato, che sono sempre cresciuti. Il primo dividendo quando sono arrivato era 0,8 euro per azione, quest’anno paghiamo 1,43, e abbiamo avuto la performance migliore di tutto il settore assicurativo negli ultimi nove anni. Io non ho la responsabilità di quello che è successo prima».Le obiettano che lei ha distribuito dividendi tagliando una fettina del lingotto di Generali per far contenti gli azionisti.«No, perché in questo periodo abbiamo anche fatto 40 operazioni di merger and acquisition, abbiamo investito 7,6 miliardi, quindi siamo stati i più proattivi del settore. I nostri competitor hanno distribuito di più perché oltre al dividendo hanno fatto più share buyback rispetto a noi».Lei dice: abbiamo fatto 40 acquisizioni con investimenti di 7,6 miliardi, ma le rimproverano di aver investito in Paesi tutto sommato non di grande lustro.«No, non condivido, e poi non è che mi devo sempre definire rispetto a questi rilievi, perché se faccio A avrei dovuto fare B, se faccio B avrei dovuto fare A: è una dialettica strumentale».Si sarà chiesto in questi tre anni cosa vogliono gli azionisti che la contestano…«Non è a me che deve fare questa domanda».Ma perché in un momento così complicato, dove c’è in discussione anche il futuro della guida della compagnia, lei ha scelto di fare l’operazione Natixis, cioè di creare una società per gestire i risparmi insieme a un gruppo francese? «Io faccio l’interesse della società. Quando c’è un’opportunità così buona come quella, il mio dovere è cogliere questa opportunità per il bene della società e per il bene di tutti gli azionisti e di tutti gli stakeholder. Un deal è un treno che passa quando passa».Non poteva rinviarla dopo il 24 di aprile?«Ma non sono un politico, non gestisco un calendario elettorale, gestisco una realtà di business. Poi c’è anche una trasparenza dovuta al mercato e a tutti gli azionisti, perché noi il 30 di gennaio abbiamo presentato un piano industriale. Non potevamo presentare questo deal il giorno stesso dell’investor day, perché avremmo parlato solo di questo. E non potevamo presentarlo dopo, perché sarebbe stata una mancanza di trasparenza».Mi spiega perché è una buona operazione?«Noi siamo già leader sul mercato italiano. Però sono poche le compagnie di assicurazione italiane che hanno un loro asset management».Unicredit ce l’aveva ma l’ha venduto...«E noi il nostro non lo vogliamo vendere perché riteniamo che questa attività di asset management sia fortemente connessa all’attività di assicurazione vita. Siamo il leader europeo in questo campo e quindi dobbiamo avere un asset management molto forte. È quello che stiamo costruendo ormai da otto anni».Perché fare un’operazione con una compagnia francese?«Perché la nostra dimensione non basta».Qual è la dimensione dell’asset management in Generali?«Siamo intorno a 700 miliardi e non è sufficiente. Siamo diventati più grandi l’anno scorso grazie all’acquisizione di Conning negli Stati Uniti. Però tutto questo non basta. Avremmo ora l’opportunità con Natixis di costruire un campione europeo dell’asset management co-controllato da noi e direi gestito da noi per i prossimi cinque e potenzialmente dieci anni».Cosa vuol dire?«Vuol dire che l’amministratore delegato della compagnia sarebbe l’attuale ceo del nostro asset management per i primi cinque anni e, se portasse a casa tutti gli obiettivi, sarebbe rinnovato per ulteriori cinque».Insieme quale sarà il valore del capitale gestito?«Quasi 2.000 miliardi. Vuol dire che come masse gestite saremmo subito dietro Amundi, che per il momento è il leader europeo e che è francese. Quanto alle fee di gestione, saremmo i primi in Europa».Obiezione, lei è francese, anzi corso. Non si poteva scegliere una società di gestione diversa, che non fosse francese? Lei sa che la accusano di essere la quinta colonna di Parigi qui dentro?«Su questa accusa non rispondo, ma voglio solo dire una cosa. Io sono nato francese e non mi vergogno di essere francese, ovviamente. Però ho scelto di diventare anche italiano e l’ho scelto perché avevo dei motivi».Perché ha scelto di diventare italiano e quando?«Per me è importante questa cosa. Da quando? Dal 2020, era l’epoca del Covid. Il sindaco di Venezia mi ha consegnato la cittadinanza, ho giurato sulla Costituzione. Per me è importante. Io ero molto emozionato quando c’è stata questa cerimonia perché per me è un’adesione forte a dei valori che trovo in Italia e che trovo anche in Corsica e che purtroppo tendenzialmente spariscono un po’ dalla Francia. Ma questo è un altro tema di discussione. Tornando alla domanda, perché non fare un altro accordo, in Italia? Perché in Italia non c’è stata un’opportunità paragonabile. Non c’è una società che ha 1.300 miliardi e che accetti una joint venture».Ma cosa vuol dire co-controllo? Quindi il ceo sarà di Generali e il resto del consiglio?«Paritetico più tre indipendenti».Per i primi cinque anni Generali avrebbe dunque la maggioranza nel consiglio…«Normalmente qual è il vantaggio di avere il 51 invece che il 50? Che puoi nominare il ceo, ma noi lo indicheremmo comunque per i primi cinque anni e potenzialmente dieci...».Quindi non ci sarà discussione lei dice?«No, ci può essere discussione sugli obiettivi, ma questa è una dialettica normale di consiglio di amministrazione. Aggiungo che il presidente, che sarebbe il ceo della banca francese, sarebbe un presidente non esecutivo e che le deleghe dell’amministratore della newco sarebbero delle deleghe ampie. Ci sono due cose importanti da capire in questa possibile operazione. La prima è che già dal giorno uno la nostra società di asset management aumenterebbe il proprio valore di quasi un miliardo. Il secondo punto è molto importante: creeremmo con questa operazione il leader mondiale dell’asset management per le compagnie di assicurazione con 800 miliardi di asset».Come 800 miliardi, non erano 2.000 miliardi?«Sui nostri 700 miliardi, 400 derivano dalle nostre compagnie di assicurazione. Poi loro hanno più o meno lo stesso volume attraverso altre compagnie di assicurazione loro clienti. E anche Conning ha degli asset di compagnie di assicurazione. Se mettiamo tutto insieme, si arriverebbe a 800 miliardi solo di risparmio assicurativo. Aggiungo che l’asset management di risparmio assicurativo è un business molto particolare, che si fa con delle fee competitive, cioè basse, e quindi la scala conta molto. E noi con 800 miliardi avremmo una scala che ci renderebbe molto competitivi».Cioè di tutti i colossi come Blackrock nessuno gestisce una massa di compagnie di assicurazione così importante?«L’unico a questo livello è Blackrock. Diventeremmo competitivi sul mercato dell’asset management delle compagnie di assicurazione e questo ci aiuterebbe, per esempio, a offrire servizi di asset management a 4.000 piccole e medie compagnie di assicurazione europee».Non ci sarà un tema di concorrenza.«No, perché loro già danno mandati e quindi noi possiamo conquistare dei mandati. Ovviamente, lo ribadisco, le compagnie di assicurazione danno un mandato solo di gestione, ma mantengono la proprietà degli asset e decidono come investire e a chi dare il mandato di gestione. Quindi il tema di perdita di sovranità degli investimenti non esiste».Prima lei diceva che le piccole e medie compagnie danno mandati di gestione ad altri, ma anche Generali dà mandati di gestione agli investitori professionali…«Molto meno degli altri, ovviamente, perché abbiamo il nostro asset management. E lo facciamo sempre di meno perché mano a mano che noi ampliamo le nostre capacità di gestione possiamo internalizzare mandati che abbiamo dato all’esterno. Questa è la logica, abbiamo fatto recentemente l’acquisizione di Mgg che è una società di asset management private debt che non avevamo. In Italia, ribadisco, non c’è nessuno che possa garantire un salto dimensionale di livello globale».Ma il personale, questo back office che oggi si occupa di asset management in Generali, che fine fa? Cosa farà? Passerà direttamente a questa nuova società dove gestirà gli investimenti o rimarrà in Generali?«Non cambierebbero mestiere, continuerebbero a fare quello che stanno facendo, lavorando insieme per conto della nuova società».Ma l’obiettivo sarà quello di passare una parte del desk?«No, l’obiettivo è di creare una società comune di asset management».Quindi la nuova società non si chiamerà Natixis?«Esatto». Quindi non è Natixis che si prende tutto e dice, voi date i risparmi, io li gestisco.«No, no: noi di Generali continueremmo a decidere dove investire i soldi, e i nostri asset manager combinati li investirebbero seguendo le nostre indicazioni, organizzandosi al meglio per soddisfare i mandati dati dal cliente. Quindi no, è proprio come dice lei».C’è chi non ha compreso queste dinamiche?«È un business complicato dal punto di vista tecnico. Ho dovuto spiegare l’operazione anche agli investitori che sono professionisti dell’asset management e che non l’avevano capita così».Senta, ho ancora qualche domanda. Voi avete tanti partner cui date mandati, perché si tratta di società di investimento, che però in qualche caso sono anche azionisti, perché investono su Generali. Non c’è una sorta di conflitto di interessi?«No. Quando diamo un mandato a un grande asset manager che da un’altra parte investe da noi come asset manager, sono mondi diversi. Gli interlocutori non sono gli stessi. Un portfolio manager che investe da noi è completamente indipendente dell’asset manager a cui noi diamo un mandato. Quindi questo tema non esiste. E poi aggiungo che l’idea di sviluppare il nostro asset manager è anche per ridurre i mandati che diamo a questi grandi asset manager esteri».Meno gestioni per loro. Quindi in teoria dovrebbero votare contro.«No, perché hanno investito in Generali per conto dei loro clienti. Quindi qual è il loro interesse? Il successo di Generali. E se si fidano del management team e del piano industriale ci votano. È così che funziona. Non è una cosa tra amici come possono immaginare alcune persone».Lei prima mi diceva: già nella operazione abbiamo 1 miliardo di vantaggio per la società, per gli azionisti. Gli altri vantaggi quali saranno secondo il piano industriale dell’operazione Natixis?«Per esempio, avremmo a disposizione una piattaforma di distribuzione unica che consente di avere clienti istituzionali in tutto il mondo. E quando un cliente istituzionale vede una società di asset management con un buon track record, e vede una nuova strategia di investimento con Generali, accetta di seminare per il futuro. Si chiama seed capital perché con questo capitale riesci ad attrarre, a seminare nuovi fondi. Quindi, al di là dell’orizzonte del piano specifico, che non dipende dall’accordo con Natixis, sul medio lungo termine il potenziale di creazione di valore di questa piattaforma di asset management sarebbe enorme».Lei sa che una delle preoccupazioni, la citava già prima lei, è che scappino i soldi, cioè che vengano portati all’estero e non ci sia più il controllo dei risparmi italiani e soprattutto degli investimenti in Italia.«Questo potrebbe semmai essere vero per le società che non hanno l’asset management. Noi attraverso la proprietà degli asset, lo ribadisco, diamo mandati a chi vogliamo e investiamo come vogliamo e dove vogliamo, e questo non cambierà mai. Rispetto alla media del mercato italiano, e anche grazie al fatto che abbiamo il nostro asset management, investiamo di più, direi che investiamo quasi tre volte di più».Nella media chi ci mette?«Mi riferisco ai dati pubblici sull’ultimo censimento dei fondi aperti».Ma tutte queste cose le ha spiegate al governo?«Abbiamo avuto qualche interazione. Spero di avere un’opportunità per sciogliere i dubbi, per rispondere alle domande e alle perplessità». Perché lei ha detto non vogliamo fare il muro contro muro? Intendeva evidentemente non il muro tra un azionista e un altro, ma un muro contro il governo.«Esatto, parlavo del governo. Non vogliamo per niente il muro contro muro col governo. Abbiamo sempre avuto un dialogo aperto, basato su uno spirito di cooperazione costruttiva, sia con il governo sia con le autorità. Deve essere così e deve continuare così. Quindi, sarò felice di avere questa opportunità di spiegare la bontà di questa operazione e di provare a convincere il governo. Poi, se alla fine resteranno delle perplessità, il consiglio di amministrazione ne dovrà tenere conto, mi sembra giusto».Compreso qualche passo indietro?«Il consiglio di amministrazione farà le sue valutazioni».Lei non vuole sbilanciarsi. Il 5% comprato da Unicredit? Che ne pensa? Da che parte si schiererà?«Non lo so, ho capito - perché l’hanno detto - che è un investimento finanziario quindi penso che logicamente l’obiettivo del loro voto sarà di tutelare il loro investimento finanziario».Ma non le sembra un po’ strano un investimento finanziario a ridosso di una scelta importante come questa?«Io non commento le scelte di altre società. Quello che so è che il miglior modo di tutelare l’investimento è garantire la continuità della governance e del management, per favorire l’implementazione del piano industriale, soprattutto in un contesto di grande incertezza e di crisi finanziaria. E noi come management abbiamo dimostrato di essere capaci di superare crisi perché un po’ ne abbiamo superate già».Si aspettava che Assogestioni presentasse a sua volta una lista?«Sì, me lo aspettavo, non lo pensavo necessario, però me lo aspettavo».Ha visto che qualcuno ha lanciato un appello a Nagel per un passo indietro con invito a vendere parte della quota di Generali?«Ho letto, ma non commento mai le scelte dei miei azionisti».Però in effetti si incrocia con la vicenda di Mediobanca, la scalata Mps.«Queste cose non riguardano direttamente Generali».Lei prima ha detto che è una questione che attiene al consiglio di amministrazione, ma se il governo mettesse la golden power?«Sarebbe un peccato, un’occasione persa, ma ovviamente noi rispetteremmo le decisioni del governo». Lei ha detto: cercheremo di gestire i fondi di piccole compagnie, quindi in teoria sarebbe possibile un allargamento azionario ad altre compagnie della società che dovrebbe nascere tra Natixis e Generali?«No, mi riferivo ai mandati».Ma visto che lei dice che bisogna diventare grossi, diventare importanti per avere capitale da investire e confrontarci, sarebbe possibile?«Partendo da una piattaforma di quasi 2.000 miliardi, prendendo mandati negli Stati Uniti, in Europa, in Asia, potremmo crescere rapidamente. Oggi Blackrock gestisce 11.000 miliardi, che peraltro è il totale di quello che gestiscono tutti gli assicuratori europei insieme. Però la crescita di Blackrock è stata molto veloce, io la ricordo con meno di 5.000 miliardi un po’ di anni fa, quindi la crescita è veloce in questo business. Se poi l’Europa decidesse di creare i fondi di pensione europei, cambierebbe tutto…».Sì, i fondi di pensione sono stati un’occasione persa, che avrebbero dovuto essere creati nel 1984 quando fecero i fondi di investimento, ma è la parte che mancò. E infatti nella nostra riforma previdenziale mancano i fondi di pensione.«Vero, ma bisogna avere una grande ambizione europea, una grande visione europea per i fondi pensione. E bisogna farlo subito a livello europeo e gestirlo qui in Europa, non affidare la gestione fuori. Questa è una battaglia che un leader europeo di assicurazione deve fare».
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