2025-04-20
«L’organo di Notre Dame ha il suono della resurrezione e mette in guardia il mondo»
L'organista titolare di Notre Dame, Olivier Latry
Il titolare della cattedrale, Olivier Latry: «La statua di Maria e questo strumento terribile hanno vinto le fiamme, l’acustica è tornata: sono miracoli. La musica, come la fede, non è banale».Clicca qui per ascoltare il podcast «Non sparate sul pianista», dedicato a Olivier Latry.Le gigantesche canne di metallo che sfiorano il rosone e mirano al cielo sembrano pronte a svegliare i defunti. Le trombe orizzontali, puntate verso il popolo come tanti piccoli fucili (il loro nome è chamade, «chiamata»), ricordano quelle lunghe e sottili impugnate dai possenti angeli del Giudizio universale di Michelangelo. Quando suonano tutte insieme - a vista sembrano una cinquantina, in realtà sono quasi 8.000 - danno l’impressione di spostare le montagne. Di certo hanno il potere di far vibrare la cattedrale e tutto ciò che contiene: le pietre di calcare chiaro, i lampadari appesi alle arcate, le sedie di legno con i fedeli sopra e le coscienze. Nella prima Pasqua dopo l’inferno di fuoco del 15 aprile 2019 e la lenta rinascita dalle ceneri, a Notre Dame de Paris anche la luce che attraversa gli affreschi di vetro colorato e si riflette sulla roccia, di nuovo immacolata, parla di resurrezione. Mentre il grande organo ha il suono sconvolgente di un’Apocalisse sfiorata. Non è magico, è trascendentale. Sembra venire dall’altro mondo, ma si addice benissimo a questo: terribile per tempi terribili. A condurci quassù, ai piedi di uno strumento secolare sopravvissuto alla Rivoluzione francese, a un’inondazione della Senna e al rogo che stava per demolire un simbolo della cultura occidentale, è stato il passo fremente di Olivier Latry, abituato a divorare scalini di pietra e a superare porte rinforzate dal ferro battuto. L’organista titolare (dal 1985, quando vinse il concorso all’età di 23 anni) ci aveva rivelato nel 2022 che le fiamme non erano riuscite a prevalere su questa meraviglia dell’ingegno musicale, ma che i timori su come sarebbe cambiata l’acustica al termine della ricostruzione del tempio lo tormentavano. Ora ci regala la possibilità di verificare dal vivo la resa finale, seguendolo da vicino durante il servizio solenne della Domenica delle palme. I lettori che vogliono giudicare con le proprie orecchie non devono far altro che ascoltare questa puntata speciale del podcast Non sparate sul pianista, registrata alle prime ore del mattino a Notre Dame (inquadrando il Qr Code nella pagina a fianco).È una Pasqua particolare per lei, la prima che può rivivere tornando al posto che le spetta dopo sei anni di attesa. Ma c’è un’altra ricorrenza. L’ultima volta che fece risuonare il grande organo prima della catastrofe fu proprio nella Domenica delle palme del 2019. Ventiquattr’ore dopo, la Settimana santa si apriva con un segno sconvolgente: la cattedrale che soccombe, inghiottita dall’incendio.«Ricordo ogni istante. Me ne andai lasciando su questo leggio gli spartiti per i miei colleghi, senza sapere che non li avrei più trovati. La notizia del rogo mi arrivò quando varcai la soglia di un albergo di Vienna, dove ero appena atterrato con mia moglie (l’organista coreana Shin-Young Lee, ndr) per un’incisione».La ascoltò alla tv?«No, un amico che abita vicino al Pantheon, in collina, si accorse del disastro guardando fuori da casa sua e mi inviò un sms: “Non credo ai miei occhi: Notre Dame è in fiamme”. L’immagine che mi spedì subito dopo mi pietrificò».Cosa fece in quel momento?«Chiamai il collega che era di turno. Mi disse: “Hanno interrotto la messa e siamo tornati a casa, ma era solo un allarme…”. Non sapeva ancora che il tetto stava andando veramente a fuoco. Si precipitò di corsa verso l’Île de la Cité e vide l’impensabile. Da quel momento siamo rimasti tutti in contatto, davanti al televisore e al computer. Ovviamente nessuno ha più dormito».La guglia che brucia come un fiammifero e collassa, il tetto che crolla e i fedeli che pregano in ginocchio lungo la Senna sono immagini indelebili che hanno sconvolto il mondo. «Oggi la piangono in tutte le lingue», fu la sintesi perfetta di Paris Match. Mentre il filosofo Alain Finkielkraut parlò di «tentativo di suicidio» di una civiltà.«La battaglia durò tutta la notte. Solo alle prime ore del giorno seguente il rogo venne domato. Ancora 20 minuti di fuoco e del tempio non sarebbe rimasta pietra su pietra. Il crollo delle due torri ci avrebbe lasciato solo un cumulo di macerie».Cos’ha pensato quando le comunicarono che l’organo se l’era cavata solo con qualche scottatura?«Quello di cui sono convinto anche oggi: un miracolo. La statua trecentesca della Vergine col bambino, la croce d’oro, il rosone e questo strumento straordinario hanno avuto una protezione speciale. Sono elementi centrali della liturgia. È stato un segno e un avvertimento».Cosa intende dire?«In chiesa la temperatura stava raggiungendo picchi vertiginosi, almeno fino a quando il tetto non si è squarciato. Poi sono franate enormi travi di legno in fiamme (erano 1.300 e formavano la famosa “foresta” di quercia che reggeva la copertura superiore, ndr), pietre e detriti. Infine sono piovuti migliaia di litri d’acqua, che i gargoyle hanno vomitato nei giorni seguenti. Eppure davanti a Maria c’erano ancora le candele accese. E l’organo, alla fine di tutto questo pandemonio, aveva solo bisogno di essere smontato e ripulito per bene. Incredibile, non crede?».Ma cosa intende per avvertimento?«Forse Dio voleva mettere in guardia il mondo: attenti a quel che fate, questa volta è andata bene, la prossima non è detto…» (ride).Un dubbio che ha arrovellato anche lei durante la ricostruzione: il suono profondo della cattedrale è tornato? L’acustica è quella di prima o è andata perduta per sempre?«Posso dirle con immenso piacere che tutto è di nuovo al suo posto, anche se nulla è identico a prima».Mi spieghi meglio.«L’organo era già reduce da un intervento recente ed è stato rimesso a nuovo, sostituendo i pezzi che andavano cambiati. Le pietre sono state ricollocate là dove devono stare e sono dello stesso materiale di sempre, per cui l’acustica è ricomparsa in tutta la sua bellezza».E la differenza allora quale sarebbe?«La roccia adesso è completamente ripulita, non ha più neanche un grammo di tutta la polvere che si era depositata nei secoli. Di conseguenza il suono ha una proiezione maggiormente lineare e questo mi costringe a modificare il mio approccio allo strumento».In che senso?«Devo essere molto più chiaro, a livello armonico e timbrico, per evitare la saturazione sonora. Ovvio, nel tempo le impurità torneranno e pian piano l’ambiente cambierà di nuovo. Nulla è statico».E i famosi secondi di riverbero? Sono ancora sette?«Ascolti bene» (improvvisa all’organo). «Sente come si propaga l’onda sonora per tutta Notre Dame? Sì, sono ancora sette, ma non può percepirli appieno da qui in alto, dovrebbe scendere nella navata».Non è scontato che l’essenziale si sia potuto completamente recuperare o ripristinare.«Assolutamente no. A giugno dello scorso anno tornai a casa sconvolto. Avevano rimontato per la prima volta il grande organo. Ma le canne erano ancora poche e i ponteggi occupavano gran parte dell’edificio. Mi chiesero di provare a suonare e non riconobbi lo strumento. Lui ha bisogno dell’acustica come dell’aria e quest’ultima mi sembrava compromessa. Fortunatamente non era così, bisognava solo avere pazienza. Oggi dobbiamo essere grati di poter servire il mistero della liturgia. È incredibile poterlo fare ancora».Ma per lei questo è un lavoro o una missione?«Una missione».Cosa significa?«Il mio compito è mettere la musica al servizio delle parole e degli insegnamenti delle Scritture del giorno, aiutando il popolo a pregare. Se vado a suonare in una sala da concerto il mio approccio però non cambia. Il momento più toccante è quando capita che qualcuno del pubblico alla fine venga a dirmi: “Mi ha aperto l’anima”».Ritorna alla mente la conversione dello scrittore Paul Claudel, che avvenne proprio in questa cattedrale dopo l’ascolto del Magnificat, durante i vespri di Natale del 1886. Ma secondo lei si può suonare l’organo di Notre Dame senza credere in Dio?«Molti musicisti non credono, ma sono rispettosi e fanno il loro dovere egregiamente. Forse però non sanno ancora di credere. E potrei dire lo stesso di me. Fino a qualche tempo fa nemmeno io avevo una grande fede. Poi l’ho trovata e ora sento di poter svolgere meglio il mio compito, che è quello di provare a connettere chi ascolta con un altro mondo».Il Maestro Latry corre a rispondere a un telefono portatile. Dall’altra parte della cornetta c’è un secondo organista che laggiù, dall’altare, ha il compito di accompagnare il coro e curare la regia, passando avvisi e aggiornamenti a cantori e musicisti. A Notre Dame antico e moderno sembrano proprio andare d’accordo. L’impressionante consolle sulla quale Latry danza, giostrando mani e piedi su sei tastiere (cinque manuali da 56 tasti e una pedaliera da 32), domina dall’alto tutta la navata. Ed è dotata di uno schermo a colori dal quale, mentre suona, può seguire la funzione, scegliendo tra sei inquadrature diverse. Appena sotto è posizionato un piccolo semaforo. Quando la luce da verde diventa gialla l’improvvisazione deve avviarsi alla chiusura, per poi terminare con il rosso. E questo dettaglio ci conduce a un tema chiave che nei secoli ha reso la scuola organistica francese unica al mondo. Da queste parti la tonalità non è un dogma e la dissonanza non è peccato. La libertà del musicista è totale e sono previste moltissime parti strumentali libere. Per questo il verde non autorizza Olivier Latry solamente ad attaccare, ma a immergersi nello stile che sente più adeguato alla circostanza. Senza limiti, abbracciando tutta la storia della musica: dal gregoriano a Palestrina, fino a Olivier Messiaen e ai compositori viventi. Beninteso, chi cerca le chitarre beat o il christian rock deve andare altrove. Un cigolio, seguito dal rumore della folla, ci dice che la cattedrale ha aperto le porte ai fedeli. Il nostro dialogo riprenderà dopo aver osservato l’organista titolare in azione.Sembra che lei abbia a disposizione una tavolozza di colori praticamente infinita, sia a livello timbrico che dinamico. Questo strumento può passare dal coretto di flauti all’orchestra di titani muovendo un pomello. È questo che lo rende così speciale?«È unico perché è la summa della genialità di molti grandi organari. Pensi che questo capolavoro viene rinnovato e migliorato ogni 25 anni... dal XVII secolo. Ma nessuno si è mai permesso di disfare ciò che trovava. Piuttosto aggiungeva qualcosa di suo. In questa macchina celestiale c’è l’anima di tanti, anche se brilla la maestria di Aristide Cavaillé-Coll, che qui realizzò il suo capolavoro (dopo averlo rinnovato profondamente, lo strumento fece sentire la sua nuova voce per la prima volta a Natale del 1867, ndr). Sono innamorato di questo gioiello, ti fa respirare la storia».Qualche esempio?«Vede quella panca sulla sinistra? Louis Vierne ci morì durante un concerto il 2 giugno del 1937. È il nostro Molière... Nella cassa alle nostre spalle invece è appena stato ritrovato un fleur-de-lis, simbolo dei reali. Si pensava che fossero stati tutti eliminati durante la Rivoluzione francese. Ma il collega dell’epoca, per evitare che questa meraviglia venisse smontata per fare legna e produrre armi, suonò la Marsigliese. Salvando l’organo… e la sua vita. Queste manopole in avorio sono quelle di Pierre Cochereau (predecessore di Latry, ndr). E così torniamo alla nostra tavolozza di colori perché scegliendo i registri, che qui sono 115 - un record in Francia - decidiamo quali canne suoneranno e quindi quali suono adoperare: trombe, clarinetti, viole…».È banale dire che quest’opera imponente esprime al massimo il gusto musicale francese?«No, è così. Un organo parla sempre la lingua del suo Paese. I registri italiani sono molto dolci e cantabili. In Germania puoi sentire chiaramente l’attacco di ogni canna: è nettissimo, come i tedeschi quando si esprimono. La tradizione francese è cantabile, ma non come la vostra».Siete più impressionisti?«Senza dubbio. Per ogni registro abbiamo sviluppato un vero e proprio carattere. Nella suite francese del XVIII secolo c’è il Récit de Crocornet, Récit de Cromande, Basse de Trompette, Plein Jeu…».Siamo davanti all’organo più importante al mondo?«Direi di sì, anche se ho un debole per gli strumenti storici. Esibirsi nella cattedrale di Freiberg, che conserva un gioiello di Gottfried Silbermann, ti permette di dialogare con Johann Sebastian Bach».Perché dice spesso che questa meraviglia della meccanica è trascendentale?«Mi piace pensare che il suo suono assomigli al respiro di Dio. L’organo ha già in sé un’idea di eternità. Pensi a una nota generata dal pianoforte, che dopo pochi secondi inizia a svanire. Sotto le nostre dita invece c’è una forza potenzialmente infinita».La libertà e l’arditezza armonica delle improvvisazioni dalle quali si viene avvolti durante una messa a Notre Dame sarebbero impensabili altrove. Ogni tanto, un orecchio non abituato resta turbato e arrivano le lamentele. Anche ciò che ha creato lei il giorno della riapertura della cattedrale è stato criticato. C’è chi, addirittura, l’ha accusata di suonare musica satanica.«Pura follia. Anche un grande compositore cristiano come Olivier Messiaen veniva criticato per lo stesso motivo quando prestava servizio alla chiesa della Sainte-Trinité. E sa cosa rispondeva? “La Bibbia è piena di pagine terribili e servono suoni adeguati”. È così: per alcune immagini non basta un do maggiore. Io cerco soltanto l’immedesimazione con la liturgia, tenendo conto che siamo nel ventunesimo secolo».Cosa voleva esprimere quel giorno dal punto di vista musicale?«La riapertura della cattedrale, colpita dall’incendio sei anni prima, è un passaggio dal caos all’ordine, dal silenzio alla musica, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita».Come la Pasqua.«Esatto. Ma non era un’idea preparata. Mi sono lasciato ispirare dalle parole dell’arcivescovo, che ha benedetto l’organo qualche secondo prima. Se la riascoltate (è l’improvvisazione che chiude il podcast, ndr) suona come un risveglio, una resurrezione. La verità è che alla base di queste rimostranze riguardo a un presunto stile troppo moderno c’è dell’altro».Ovvero?«In Germania molte parrocchie cantano solo pop perché pensano che sia l’unica lingua comprensibile ai fedeli. A loro avviso il popolo non è più in grado di ascoltare la musica classica o il gregoriano, che è stato il linguaggio musicale della Chiesa per eccellenza. Il problema non è Latry o Messiaen. In Francia c’è una scuola, una tradizione che ha visto passare Camille Saint-Saëns, César Franck, Charles Tournemire e Marcel Dupré. Non cambierò modo di suonare e non eseguirò Interstellar per compiacere chi si nutre solo di brani commerciali. Notre Dame è storicamente un luogo di educazione alla fede, ma anche di sviluppo della musica: non ci fermeremo».
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputata della Lega Anna Maria Cisint, dopo la votazione alla commissione sulla pesca a Bruxelles, riguardo la vittoria sulla deroga delle dimensioni delle vongole, importante aspetto per l'impatto sul settore ittico.
L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas (Ansa)
(Ansa)
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