2025-06-27
Guidesi: «Così muore il 70% dell’automotive. Ora Merz convinca la Von der Leyen»
Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Il leader del «cartello» delle aree produttive europee: «Come Regioni abbiamo incassato anche il sì di Baviera, Sassonia e Baden-Württemberg. Spero che il Ppe segua il pragmatismo dei Länder tedeschi».«L’industria dell’auto ha unito l’Europa e i suoi popoli molto più di qualunque sforzo politico e istituzionale. Poi la Commissione europea l’ha distrutta». Sia l’industria sia l’Europa? Quasi. Guido Guidesi, assessore leghista allo Sviluppo economico della Lombardia, è leader pro tempore della Automotive regions alliance, un «cartello» delle aree produttive europee più forti nell’automotive. Ne fanno parte le Regioni del Nord Italia, ma anche la Baviera, il Baden-Württemberg, la Castiglia, Valencia e molte altre. L’«Ara» è interlocutore ufficiale della Commissione Ue, ed è impegnata da anni in una battaglia per tentare di salvare la produzione di auto in Europa.Guidesi, proprio ieri il commissario competente, il greco Apostolos Tzitzikostas, è stato audito a Palazzo Madama e ha ribadito un assenso di massima rispetto alla cosiddetta neutralità tecnologica, cioè alla libertà dei Paesi di scegliere la strada migliore per perseguire gli obiettivi climatici. In serata ha affrontato il tema col ministro Salvini in un bilaterale. Lei ha incontrato gli uomini di Tzitzikostas pochi giorni fa. Com’è la situazione?«Al momento, disperata. Ogni incontro dell’Ara registra sempre maggior preoccupazione dei territori. La grande novità, che i lettori della Verità conoscono, è stato il sì da parte di Baviera, Sassonia e Baden-Württemberg al biofuel». Concretamente cosa significa?«Che, se questa apertura fosse confermata, si darebbe finalmente continuità alla produzione di auto a motore endotermico, senza rinunciare agli obiettivi ambientali. Ho visto che Audi ha ricominciato a produrre vetture di questo tipo e lo prendo come un segnale eloquente... Come Lombardia abbiamo consegnato il quaderno scientifico aggiornato che certifica il raggiungimento di obiettivi ambientali attraverso la neutralità tecnologica. Abbiamo coinvolto in questo lavorato l’università di Stoccarda assieme a quella di Brescia e al Politecnico di Milano, in condivisione con il cluster dell’Emilia Romagna. Una mossa politica dai territori che ci fa sperare che il nuovo governo tedesco, vista la situazione, possa dare segnali in Europa in questo senso». Quali sono adesso i passaggi attesi in sede comunitaria? «Politicamente il Ppe dovrebbe registrare e fare proprio questo pragmatismo, ora incarnato dalla svolta di una regione chiave dell’industria continentale come la Baviera. In sintesi: il cancelliere Merz potrebbe chiedere alla Commissione gli stessi correttivi che chiediamo noi, ma che chiedono anzitutto i “suoi” distretti industriali. Purtroppo l’Action plan della Von der Leyen che sarà presentato e discusso a luglio al momento è privo di contenuti reali. Però sappiamo che il governo italiano si sta muovendo a livello di Consiglio europeo. Se qui la posizione di Germania, Italia, e magari Francia, dovessero convergere, si cambierà sul serio. Le Regioni hanno fatto tutto quello che potevano fare, e siamo anche disposti a lavorare in complementarietà».Cosa vuol dire?«Si fa ricerca in Baviera? La Baviera lavora per tutti. La fa una università a Milano? Lavora per tutti. La disponibilità è massima: la Commissione ha la soluzione ed è condivisa da tutti. Se non attua questi correttivi, a parità di risultati ambientali, è solo per motivi politici».Beh, in queste ore gli equilibri a Bruxelles sembrano complicati.«Guardi, capisco la diversità di vedute all’interno della Commissione. Non troppo tempo fa, del resto, in conferenza stampa per annunciare l’Action Plan che citavo la presidente di Commissione parlò esplicitamente di neutralità tecnologica. Il giorno dopo dagli atti sparì quella espressione. Però questa frizione va risolta dal Consiglio europeo ma soprattutto al Ppe, visto che ha espresso la presidenza». E se non viene risolta? «L’extrema ratio è seguire il comparto agricolo: andiamo a Bruxelles a manifestare».Quando e cosa deve succedere, insomma? «Il precedente è quello dell’azione normativa che ha parzialmente lenito il problema delle sanzioni per i produttori. Il tempo è poco, decisamente poco. Si parte come detto dal biofuel, poi ci sarà da affrontare il tema della competitività. Un conto è poter continuare legalmente a produrre auto in Europa, un altro è mettere in condizione i silenti costruttori di poterlo fare: parlo di costi energia, fisco, eccetera». Ha detto «silenti»?«Sì. Abbiamo trovato alleanze con le Regioni, i componentisti, i governi, gli europarlamentari. È mancata una componente: i costruttori». Perché? «Va chiesto a loro. Io mi limito a registrare i dati del comparto, credo sarei stato meno taciturno».Perché?«Secondo uno studio del Clepa, la sigla che raduna i componentisti dell’auto in Europa, a traiettoria invariata si perderebbero 500.000 posti di lavoro entro il 2040. Le nostre previsioni sono che, a condizioni invariate, resterebbero vive circa il 30% delle attuali imprese. Un altro terzo sarebbe riconvertito, l’ultimo muore. La capacità produttiva di autovetture attualmente è a un quarto del potenziale. Un disastro senza precedenti, senza contare i costi indiretti: sussidi di disoccupazione, cassa integrazione, eccetera».Un conto da decine di miliardi.«Credo centinaia di miliardi. Solo chi conosce il settore vede l’enormità dell’impatto. Che costringe a riconoscere almeno tre paradossi. Il primo: con le scelte fatte non si raggiungono gli obiettivi ambientali, si è solo dato un vantaggio ai cinesi. Secondo: queste scelte hanno classificato i cittadini in serie A e serie B che non possono permettersi l’auto elettrica. Terzo: l’ecatombe di posti di lavoro persi. Sento parlare di sacrifici dovuti: ma dovuti a chi? E chi l’ha deciso?».Guidesi, del governo italiano ha parlato. Le tre rappresentanze in Ue dei partiti italiani oggi in maggioranza a Roma, cioè Ecr, Ppe e Patrioti sono compatte? E il Pd?«Per quanto riguarda i partiti di centrodestra, direi proprio di sì. A sinistra, dipende dai singoli rappresentanti: gli ex amministratori locali hanno capito, chi fa ideologia meno. Direi che approssimativamente l’80% dei nostri rappresentanti è conscio della situazione».