2025-07-28
Albertini: «Sala schiacciato dalle lobby. Io lo avvisai: studia le carte»
Gabriele Albertini (Ansa)
Il predecessore del primo cittadino di Milano: «Ha forzato la mano temendo che i suoi piani non venissero votati. La città non può fermarsi, ma neanche la giustizia».Se Milano s’insospettisce per faccende di edilizia, per inchieste che puntano al sindaco Beppe Sala, se la «capitale economica» dove però trovare casa se non sei milionario è impossibile a causa del mito delle archistar, chi interpellare se non l’amministratore di condominio? È il soprannome che si autoattribuì Gabriele Albertini - per oltre 9 anni sindaco di Milano - che è stato il vero «progettista» della Milano europea. Com’è nello stile di questo gentiluomo che ha rigore giuridico alla Pietro Calamandrei, visione malagodiana della società e comportamento da allievo dei gesuiti, si tiene lontano dalle polemiche, ma non dalla conoscenza. La politica l’ha fatta: eurodeputato due volte con Forza Italia, senatore con Scelta Civica; provò la scalata al Pirellone, ma gli preferirono Roberto Maroni, salvo che ora nel centrodestra guardano a lui per la seconda rinascita di Milano. Sussurra: «Ho già dato, ma osservo».Cosa hanno disatteso della Milano albertiniana?«Silvio Berlusconi mi convinse a cambiare lavoro, da presidente di Federmeccanica a sindaco, dicendomi: lei ha l’opportunità di governare la città dell’imprenditoria e della borghesia produttiva portando avanti gli stessi valori con cui ha interpretato il ruolo di vicepresidente di Assolombarda e presidente di Federmeccanica. Accettai perché avevo in mente di sviluppare la città interpretando da sindaco, e dunque nell’interesse generale, i valori dell’impresa. Tra ciò che abbiamo fatto noi e la dimensione attuale dei fatti che vengono sottoposti a indagine non c’è confronto. Noi abbiamo portato a Milano 30 miliardi di investimenti, abbiamo riqualificato 11 milioni di metri quadrati - quattro volte la dimensione dell’intervento di ricostruzione che era stato fatto dopo la guerra - l’area della vecchia Fiera e poi i depuratori, il passante ferroviario e il collegamento con la nuova Fiera di Rho Pero, 8 stazioni di metropolitana. Abbiamo anche all’attivo la progettazione e cantierizzazione delle linee 4 e 5. Da commissario ai depuratori e da commissario ai trasporti ho investito circa 3 miliardi e altri 3 come giunta. E senza Pnrr! Tutto senza un avviso di garanzia. E, cosa di cui sono ancora più orgoglioso, senza un morto sul lavoro».Il dottor Frankenstein junior direbbe che allora «si può fare!».«Sì, si può fare, ma bisogna salvaguardarsi dalla politica politicante. Racconto un episodio. Appena insediato come sindaco, mi sono trovato di fronte a una causa a moltissimi zero intentata dalle ditte che dovevano costruire il depuratore di Nosedo, il più capiente d’Italia. Il mio predecessore Marco Formentini, in autotutela, mentre c’era la campagna elettorale, aveva revocato le delibere per la costruzione. Mi trovai col procuratore capo Francesco Saverio Borrelli a cui confidai la mia antica vocazione di voler fare il magistrato. E gli chiesi aiuto su come si poteva fare una transazione senza infrangere la legge usufruendo del parere di un suo ex collega. Da quella idea di collaborazione con la magistratura nacque un’iniziativa di cui sono sempre andato fiero: il gruppo Alibabà! Il riferimento a evitare i ladroni era implicito. Quel gruppo era composto da tre dirigenti apicali del Comune e da tre pm in servizio: Gherardo Colombo, la dottoressa Ciaravolo e il dottor Gittardi».E il depuratore?«Governo D’Alema, ministro dell’Ambiente Edo Ronchi: si addiviene all’idea di nominare un commissario straordinario perché nel frattempo proprio per la mancanza di questi impianti a Milano si rischiava la procedura d’infrazione. Andavano fatti per evitare guai ai contribuenti italiani, ma con i soldi dei milanesi. Dissi: se i milanesi, con le bollette, mi danno i soldi per i depuratori, sono io che devo rispondere a loro. Ma Ronchi nominò il prefetto. Andai a Roma e protestai. E il ministro mi rispose: pensavo di averle fatto un favore, lei sa quanti “no” dovrà dire? Ecco, la politica politicante è questa e non era la mia».I ladroni sono arrivati da Alibabà?«I tentativi ci sono stati. Ma godevo di una doppia protezione: c’erano Alibabà, che è una sorta di Anac anticipata di vent’anni, e anche un servizio di audit interno, come si fa nelle aziende, composto da una ventina di funzionari. Tutti gli atti avevano un bollo preventivo di trasparenza. Da Alibabà sono nati i patti d’integrità che ci hanno consentito negli anni di allontanare oltre 600 aziende dagli appalti e dai rapporti con il Comune. Il patto d’integrità è una sorta d’impegno delle imprese a non fare cartello e ad autoescludersi da successivi appalti se scoperti nell’inadempienza. Quando ristrutturammo la Scala e ci trasferimmo per tre anni agli Arcimboldi, la Pirelli voleva dettare le sue condizioni e i miei tecnici fecero tantissime obiezioni. Si arrivò a una stretta finale in cui un dirigente Pirelli sbottò contro il mio ingegnere capo: chi è lei per impormi queste condizioni? Presi il faldone e lo firmai. Dissi: queste sono le obiezioni del sindaco, della città di Milano. Lo racconto nel mio libro Rivoglio la mia Milano: si può scaricare anche dal sito www.gabrielealbertini.com».Insomma, lei aveva imposto, se non lo statuto, il codice Albertini?«C’è la legge Severino, ecco noi avevamo la “legge severissimo” attraverso il vaglio del gruppo dei tecnici, dei giuristi, degli esperti di Alibabà. Serve a far sì che Gerry Hines - che aveva fatto una joint venture col padre di Catella - venga a Milano e ti dica: investo due miliardi e mezzo qui perché so che si gioca a carte scoperte. Ha detto benissimo Riccardo De Corato, mio vicesindaco, in una recente intervista (alla «Verità», ndr). Era talmente ampio il nostro intervento che non si poteva non confrontarsi preventivamente con le istanze democratiche dalla città. E dovevamo anche attuare delle semplificazioni. Lo abbiamo fatto a Porta Nuova. C’erano 60 proprietari e ognuno voleva la sua lottizzazione. Io ho detto loro: il Comune ha la maggioranza, ma se ci state facciamo un piano tutti insieme e lo dividiamo in quote, come nei condomini. Da qui forse il mio soprannome».Perché non ha dato a Beppe Sala questi consigli?«Quando era commissario dell’Expo e c’erano già le inchieste lui andò da Lucia Annunziata in tv e gli chiesi: ma voi avete un audit interno? E lui mi rispose: ne abbiamo 15. E i patti d’integrità? E lui mi rispose: che sono? Ecco, non basta il controllo formale, serve la capacità di leggere dove va il business. Il mio consiglio a Sala fu quello: guarda le carte. Credo che oggi Sala sconti proprio la mancanza di controlli preventivi e del controllo democratico. Se hai una legge urbanistica del 1942, ma poi puoi o vuoi fare grattacieli di oltre 25 metri sorpassando la legge, allora hai un problema d’interpretazione. E devi risolvere tutto prima. La lungimiranza è questa: dotarsi degli strumenti che portano a buon fine e a fine buono per tutti le opere. Se finisci in mamo a minoranze talebane o a gruppi di pressione, che quando ci sono di mezzo tanti soldi sono enormi, questi sono i risultati».In che senso?«Da una parte lo costringono a fare le scelte green irrealizzabili, ad andare dietro al politicamente corretto, e dall’altra cambiano il connotato sociale della città. Quelle minoranze rissose e diciamo anche demagogiche non avrebbero consentito a Sala di rispettare il progetto di sviluppo della città. In qualche modo il sindaco è stato costretto a prendere delle scorciatoie passando per la Scia o per i pareri della commissione paesaggio, dribblando dunque il confronto in Consiglio comunale. Secondo me Sala non ha forzato la mano per dolo o per tutelare interessi particolari, ma direi che ha agito in stato di necessità. È giusto che i capitali vadano là dove c’è la ricchezza: se le case si vendono a 10.000 euro al metro è perché qualcuno le compra. Sala ha dovuto bypassare le scelte in sede politica per evitare che la sua maggioranza non le votasse. E qui s’è generato l’equivoco. Mentre la legge lombarda e quindi il Pgt di Milano consentono di trasformare a parità di volumetria un edificio fatiscente in un grattacelo, la legge nazionale, ancorché del ‘42, dice che non si può costruire con la sola Scia un edificio più alto di 25 metri».Ma il disegno a sentire le archistar c’era, a sentire i magistrati era però criminoso…«Mettiamola così: le archistar fanno il loro mestiere, ma devi controllarle. I magistrati fanno il loro altissimo compito, ma hanno vinto un concorso. Tu che sei sindaco hai un milione di elettori a cui rendere conto. La forza delle scelte sta in questi numeri. Come nel caso delle case popolari: noi l’avevamo ben presente, ma non lo risolvi scrivendo una cifra nelle delibere per accontentare le minoranze».Come finiranno le inchieste?«Non lo so e io ho un sacro rispetto del lavoro dei magistrati. So che la situazione di Milano è pesante e che la città non può fermarsi, ma anche la giustizia non può fermarsi. Però a quelli che ora se la prendono con i pm vorrei ricordare che avevo proposto una legge per indennizzare le spese processuali di chi viene assolto con formula piena. Sono 90.000 persone all’anno. Inutile che si parli di giustizia se il cittadino non è tutelato nel suo diritto alla difesa».Lei torna in politica?«Ma non ne sono mai uscito. Faccio conferenze, scrivo, mi intervistate. Ho però una proposta: si ciancia di premierato, ma la riforma vera è eleggere il Sindaco d’Italia. Eletto direttamente dal popolo che ha la potestà di sciogliere le Camere ed è presidente del Consiglio e della Repubblica. E risponde al popolo. Quanto a me avrei sognato di fare il ministro della Difesa. Sia chiaro: Guido Crosetto lo fa ottimamente e non c’è pericolo. Per cinque volte mi hanno offerto di fare il ministro. Per tre volte ho rifiutato, le altre due ci hanno ripensato. Uno che interpreta gli incarichi a tempo e vuole fare politica così come si conduce un’azienda con rigore, efficienza e trasparenza, non è proprio il massimo per loro».
Matteo Salvini (Ansa)
«È un peccato perché noi veniamo a portare 12 miliardi di investimento sul territorio toscano che riguardano anche Pisa e Livorno, poi in un giorno particolare come il 7 ottobre, dove la politica dovrebbe solo ricordare e pregare per 1.200 innocenti uccisi da terroristi islamici. Invece, c’erano questi qua con la bandiera della Palestina, una volta uno aveva la bandiera della squadra di calcio. Ci gridavano fascisti a noi, mentre ci impedivano di parlare. Lancio di fumogeni e bomba carta contro la polizia, un poliziotto ferito, due arrestati, passanti colpiti, uno andato al pronto soccorso: non sono scene di città libere e belle come quelle toscane nel 2025. Spero che ci sia domenica una reazione dei tanti toscani che non sono così.»
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