2025-01-01
«Io psicanalizzato da Bowie, ai giovani dico: ascoltate il Dalla meno noto»
Carlo Massarini (Getty Images). Nel riquadro la copertina del suo libro «Dear Mister Fantasy»
Carlo Massarini, conduttore del programma «Mister Fantasy»: «C’è molta futilità nella musica di oggi, si trovano però delle perle. Rispetto ai Settanta gira meno droga nella musica».Carlo Massarini continua a essere Mister Fantasy, dal titolo della trasmissione da lui ideata e condotta, per 150 puntate su Rai 1, dal 1981 al 1984, che attraverso i videoclip lanciò una gran verità di artisti italiani ed esteri. Mr. Fantasy è anche un album del 1967 dei Traffic, gruppo che ha sempre amato, quello della ballata John Barleycorn must die, capolavoro di armonia e ricerca. E Dear Mr Fantasy è il titolo del foto-racconto di 14 anni di incontri e musica, dal 1969 al 1982, pubblicato per Rizzoli Lizard dal giornalista, nato a La Spezia nell’ottobre 1952, di cui memorabile è anche Mediamente, programma profetico sulla diffusione del Web. Nel conversare con lui, enciclopedia del pop-rock e delle sue tendenze, nasce la tentazione di fare una sorta di brainstorming o di rimandi infiniti, per ricordare interpreti e testi, comprenderne evoluzioni e influenze generazionali, decifrarne i totem. Nello stesso giorno può nascere il desiderio di ascoltare i Sex Pistols e poi Julio Iglesias? E chi lo può negare? La musica è regno di libertà. La genesi della sua passione?«Ho iniziato, a 10-11 anni, a farmi comprare i primi dischi dalla mamma. Il primo fu quello di Morandi, Fatti mandare dalla mamma. In quel periodo si ascoltava il pop italiano, quindi Morandi, Pavone, Mina, Celentano. Poi è partito il beat, quindi Equipe 84, Patty Pravo, Rokes. Nell’inverno tra il 1964 e il 1965 ho scoperto i Beatles e iniziai a comprare anche i dischi stranieri. Ogni settimana era una festa, Stones, Spencer Davis Group, da cui i Traffic con il mio idolo Steve Winwood, ancora oggi il mio gruppo preferito nonostante si siano sciolti, e poi gli Who, Kinks, Hendrix. Nel 1966 da La Spezia mi sono trasferito a Roma e frequentavo i negozi di dischi d’importazione. Poi ho conosciuto Paolo Giaccio, Roberto D’Agostino e vari altri coetanei».Iniziò dunque il periodo a Radio Rai con Per voi giovani.«Paolo e Mario Luzzatto Fegiz sono andati al microfono di Per voi giovani, perché Arbore passò ad Alto gradimento. Il primo anno collaborai con loro traducendo canzoni. Allora quasi nessuno sapeva l’inglese. Ero, quindi, favorito. Ho iniziato a tradurre Leonard Kohen, Jony Mitchell…». Fino al 1976 ha fatto parte della trasmissione. C’era spazio anche per i cantautori italiani classici?«Certo, siamo stati noi a lanciarli. De André s’era già fatto conoscere, ma De Gregori, Venditti, il Dalla del secondo periodo, cioè quello di Roberto Roversi, Pfm, il Lucio Battisti un po’ più ricercato… Fino all’arrivo delle radio private c’eravamo solo noi». Qual era l’orientamento musicale dei giovani italiani degli anni Settanta?«Era molto vario. Da una parte andava la musica abbastanza difficile o radicalizzata, come il jazz, che influenzò anche gli Area. Dall’altra, c’era molta attenzione ai cantautori che in quel periodo avevano quasi il dovere di essere molto politicizzati - ricordi «la musica è gratis e non si paga»? - nel quale anche i musicisti hanno pagato un dazio, quasi costretti, se volevano seguire una certa linea, di sinistra o anche estrema sinistra, a suonare per poco o anche per niente. Dall’estero facevamo ascoltare David Bowie, i Genesis, Van der Graaf, Led Zeppelin, Pink Floyd, insomma il classic rock».All’epoca c’era anche rock italiano?«L’Italia è stata, all’inizio dei Settanta, un po’ la culla del prog internazionale. I gruppi prog nascevano come funghi ma anche morivano come funghi». Impossibile pensare che chi amava il prog seguisse anche Sanremo, con l’ultraconservatore Claudio Villa? «È stato un processo di trasformazione lenta. La musica italiana fu rifondata da Modugno negli anni Cinquanta e da Battisti negli anni Settanta. Fino agli anni Ottanta, i due generi procedevano parallelamente. Se tu compravi i Led Zeppelin, difficile che comprassi Baglioni. Adesso i Led Zeppelin - per dire, perché si sono sciolti da tanto - potrebbero andare a Sanremo e incrociarsi per strada con Al Bano. A Sanremo abbiamo visto Peter Gabriel, Springsteen, Bowie…». Chi ascoltava Bob Dylan, Joan Baez o i Pink Floyd, ne leggeva i testi?«Nei Settanta si veniva giudicati più in base al testo che alla musica. Oggi molto meno. Allora il testo era la finestra nell’anima dell’artista. Dai Novanta, parlando a grandi linee, la musica e il suono sono diventati più importanti». I giovani di oggi che musica ascoltano?«Penso che ogni epoca abbia i suoi eroi. Quelli di adesso sono molto difficilmente confrontabili con quelli della mia generazione. Io ho 4 figli, il più grande 30 anni e il più giovane 19. Musicalmente, sono molto diversi tra loro. Il più grande ama circa le stesse cose che amo io: De André, i Beatles, però anche la musica elettronica. Anch’io, del resto, la musica l’ho amata tutta, da Gianni Morandi ai Talking Heads. Scendendo d’età, trovi maggior inclinazione a soddisfarsi con quello che c’è nell’aria. A uno dei miei figli piacciono, ad esempio, Kid Yugi, Calcutta, Tha Supreme, che magari compro e sento, ma non ne vado pazzo». Tuttavia, nelle proposte musicali di oggi c’è qualcosa di qualitativamente valido?«Certo che c’è. Gli ultimi dischi che ho sentito sono scarsamente conosciuti, di nicchia, stranieri. A me piace scoprire la nicchia e sono esterofilo».Ne diciamo i titoli?«Nick Cave, che è già un grande autore, Lady Blackbird, il più bel disco di soul del 2023, Mdou Moktar, King Hannah, St. Vincent, il sudafricano Bongewize Mabandla, Tracy Ford, Lera Lynn, The Smile - lo spin-off dei Radiohead, grandiosi - Lana Del Rey, Loreena McKennith, Billie Eilish, Mabe Fratti. Poi, ogni tanto, spunta Cohen: l’altra sera mi sono sentito il suo Thanks for the dance, postumo, testi musicati dal figlio: mi è sembrato un antidoto. Quando hai ascoltato una mezz’ora di pezzi di Sanremo e poi ascolti Cohen capisci dove stanno poesia, profondità, voce, anima. E che molto di adesso è così futile… dopo un mese, non se lo ricorda più nessuno. Magari per un tredicenne è musica importante, ma i ragazzi potrebbero approfondire, ascoltando, ad esempio, cose meno conosciute di Dalla o di De André». Morrison, Hendrix, Joplin e vari altri. Morti giovani, per droghe ed eccessi. Poi mitizzati, come i poeti maledetti. Esiste ancora la componente autodistruttiva del rock? «Secondo me, nel mondo musicale di oggi, si fa molto meno ricorso a droghe. Oggi le droghe sono chimiche, molto pericolose. Soprattutto nei tardi Sessanta, con la psichedelìa, si drogavano quasi tutti. Poi si è capito che ispirazione e genialità non sono necessariamente da associarsi a un’alterazione dei sensi. Ad esempio, credo che Talking Heads, Brian Eno, Radiohead non si droghino, ma hanno portato la musica molto avanti. Il talento non basta e richiede un lavoro duro e disciplinato. Ma un artista non è una persona normale perché, se così fosse, avrebbe fatto l’avvocato o il commercialista. È una persona molto sensibile, con un mondo interiore importante che, inevitabilmente, non lo porta a stare nel mainstream, ma nella periferia, anche emotiva. E va rispettato». Poi c’è Mick Jagger, 80 anni. Ne ha fatte di tutti i colori. E ancora corre e salta nei concerti.«Lui e Paul McCartney sono due fenomeni naturali, anche se credo che McCartney ne abbia fatte meno. Forse Keith Richards è stato il più fenomeno di tutti. Ma questi sono esseri molto particolari con, alla base, un metabolismo o una struttura psichica che gli ha permesso di attraversare qualsiasi cosa. Vale però sempre lo slogan: “Non farlo anche tu, se non vuoi farti male”». De André se ne stava lontano dalla tivù…«Era una persona molto timida ma, all’epoca, si diffidava della popolarità. Adesso, di persone che rifuggono dalla fama, io non ne conosco. Una volta i dischi erano per fare arte. Ora si fanno per vendere».Perché, in Italia, non è mai esistito un gruppo della portata di Pink Floyd o Rolling Stones? «(sorride) Ma neanche in Austria, in Francia, in Spagna. Intanto, per un motivo economico. In un gruppo di quattro, cinque, sei, devi dividere gli ingaggi. E, poi, antropologico. Siamo, tendenzialmente, più un Paese di solisti che di gruppi».Ha intervistato big del rock. Quale personaggio l’ha più colpita per spessore delle risposte?«Beh, direi che David Bowie e Frank Zappa avevano un’intelligenza superiore. Bowie ti psicanalizzava. Bob Marley parlava un giamaicano quasi incomprensibile e ci capii molto poco. Ma alcune bellissime cose me le disse».Ha condotto 150 puntate di Mister Fantasy. I giovani italiani scoprirono i videoclip musicali… «In quegli anni, sicuramente, la Rai è stata la più importante fabbrica italiana di videoclip. Avevamo una duplice linea, pezzi su singoli artisti di 15-20 minuti, uno a puntata, e poi le nostre creazioni, quindi Ivan Cattaneo, Gruppo Italiano, Sergio Caputo… Abbiamo letteralmente aperto una scuola, anche di registi, poi passati alla cinematografia vera e propria». A Sanremo 1987 e 1988 condusse la parte rock. Smiths, Duran Duran… Sanremo 2025? «Sanremo è una finestra sulla musica italiana, a volte un po’ più orientata e, altre, un po’ più larga. Credo che quella di Amadeus fosse molto orientata verso la musica delle radio, quella di Carlo Conti sembra più una vetrina onnicomprensiva». Lo guarderà?«L’anno scorso, per qualche motivo che neanch’io ho capito, l’ho visto tutto. In altri anni non lo vedo per niente. È raro che ci sia qualcosa d’imperdibile. Poi, le cose più eclatanti le trovi sulle piattaforme». In questo preciso momento, immagini di essere in radio. Quali pezzi del 2024 metterebbe?«Del 2024 Long Dark Night di Nick Cave, Topless Mother di Nadine Shah, Wall of Eyes degli Smile. E poi qualche vecchio blues di Albert King».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.