2024-08-12
«Alla vera arte non serve provocare»
Arnoldo Mosca Mondadori (Imagoeconomica)
L’editore e poeta Arnoldo Mosca Mondadori: «La cerimonia delle Olimpiadi mi ha ferito. I grandi della cultura sono umili, come Morricone che ogni giorno si inginocchiava in chiesa. Ma oggi l’ideologia prevale sulla scienza, basti pensare all’aborto».Pronipote dell’omonimo Arnoldo che fondò l’impero editoriale, nipote di Alberto che mise in piedi il Saggiatore, Arnoldo Mosca Mondadori è editore, saggista e poeta. Ha diretto il Conservatorio di Milano così come collane di libri. È stato amico intimo della poetessa Alda Merini. E ha fondato la Casa dello Spirito e delle Arti, una Fondazione che mette in rete tra loro artisti e personalità di alto profilo culturale e religioso per realizzare progetti per i più deboli. Il perché di questo suo impegno sociale, lo chiarisce dopo poche battute al telefono e non ne ha mai fatto mistero, anzi: Mosca Mondadori ha un curriculum importante ma è soprattutto un uomo di fede. Si definisce «innamorato dell’Eucaristia». Marito di Caterina Roggero, docente di cultura araba alla Statale e alla Bicocca di Milano, è padre di tre figli. Lo raggiungo per questa intervista a pochi giorni dall’inaugurazione delle Olimpiadi e dalle polemiche sulla cerimonia che ha messo in scena una controversa «Ultima Cena». Non è arrabbiato, ma convinto che questo episodio non vada sminuito. «Mi sono sentito ferito da quell’attacco al cuore della bellezza assoluta del mondo. Perché quella non è una cena qualsiasi, bensì “la Cena”, a cui partecipiamo durante ogni messa».Gli organizzatori delle Olimpiadi francesi hanno voluto dissacrarla?«Non ci sono riusciti, perché di tutti quei fuochi d’artificio non resterà in fondo nulla se non un vago ricordo. Penso però che ogni cattolico potrebbe forse prenderla come un’occasione per andare ben oltre l’ideologia. Per chiedersi cioè se quanto rappresentato da Leonardo Da Vinci sia solo un bell’affresco di un tempo passato o l’esempio di come l’arte possa avvicinarsi al sublime, rappresentando qualcosa della Bellezza con la “b” maiuscola. In questo caso, proprio del dono che Cristo fa di sé stesso all’uomo».Farne una sorta di parodia è un attacco? Se lo è, perché? Fa paura a qualcuno?«Sono belle domande ma semplicemente penso che la luce faccia sempre paura. La Francia dovrebbe aggiungere dopo “uguaglianza, libertà, fraternità”, la parola “umiltà”. Oggi la vera rivoluzione è cercare l’umiltà. Tutti gli artisti che ho conosciuto, quelli veri, i più grandi, sono sempre i più umili. Interessati alla sincronia della loro arte con la bellezza e mai a futili provocazioni».Qualche esempio?«Ennio Morricone: ho pregato con lui che viveva la fede inginocchiandosi da solo nella Chiesa del Gesù a Roma, pronunciando in silenzio un testo antico, la sequenza dello Spirito Santo, che era la sua preghiera preferita, la diceva ogni giorno. Mi ha raccontato che per lui la musica esiste già tutta e il musicista deve solo “intercettarla”».Il maestro è stato l’autore di colonne sonore conosciute in tutto il mondo. «La mia preferita è The mission, dove tre temi musicali, nel finale, si intrecciano e si uniscono misteriosamente. Morricone non lo aveva previsto e quando vide che i tre temi diversi che aveva composto si univano in un’unica armonia, pensò alla Trinità. Mi ha testimoniato che la musica è l’arte più vicina al cielo. Per questo ho fondato l’Orchestra del Mare. Nella quale i musicisti si esibiscono con gli strumenti costruiti nel carcere di Opera di Milano con il legno delle barche dei migranti».La ha diretta anche Riccardo Muti, in luglio, a Lampedusa.«Mi ha commosso come abbia abbracciato il progetto. Cogliendo a pieno il fatto che il lavoro delle persone detenute per trasformare quei legni in violini, viole, violoncelli, contrabbassi, sono testimonianza della possibilità di trasformare simboli di morte in suoni, armonia e speranza».Ci racconta di Alda Merini? Ha curato le sue poesie tra il ’98 e il 2009, pubblicate da Frassinelli.«I ricordi sono molti, più passa il tempo più mi sono care le uscite insieme per recarci nella chiesa di Santa Rita a Milano. Si inginocchiava, e poi mi dettava i suoi versi, un canto mistico».Mistica è una parola che le è cara, Arnoldo: l’ha affrontata in molti dei suoi libri. Una parola difficile. Per pochi?«Anzi. Lo dimostra il fatto che solo quando l’arte diventa mistica riesce ad arrivare a tutti. Anche a chi non crede. Perché sono convinto che quando gli artisti sono in rapporto con il Mistero, riescono ad arrivare al cuore di tutti. Penso a Bach, Mozart, Michelangelo, Caravaggio».Vale anche per l’artista ateo?«Tra le cose meravigliose che mi sono accadute nella vita c’è stato l’incontro - e l’amicizia - con il pittore e scultore greco Jannis Kounellis. Non credente. Eppure passavamo ore, serate intere a parlare di Gesù. Gli interessava, la proposta cristiana. Veniva con me in carcere, e lì concepì la sua ultima opera d’arte, utilizzando proprio uno dei violini costruiti dalle persone detenute. Il suo fu un gesto semplice eppure vertiginoso: sostituì le corde del violino creato dalle persone detenute, con quattro corde di filo spinato. Cos’è questo se non un gesto mistico, ovvero il riconoscere la forza dell’umanità ostinata che aveva conosciuto tra le celle. Si immedesimò con gli scartati e con i poveri. Era in ascolto, capisce? Non ideologico».È la seconda volta che mi parla di ideologia.«Sì, perché c’è tanta ideologia ma mancano le idee. Mi scusi, per esempio, il tema dell’aborto. Perché non la si smette di discuterne in termini ideologici e non se ne parla invece basandoci su quello che ci dice la scienza? La scienza dice che la cellula che nasce dall’incontro tra la cellula del padre e della madre è fin dal primo attimo vita umana, con un proprio patrimonio genetico unico e irripetibile. Perché non ci basiamo su questo dato per porre al centro i diritti del nascituro? E nello stesso tempo perché anziché promuovere in tanti Paesi l’aborto - la Francia lo ha messo come diritto nella sua Costituzione - non cerchiamo invece strumenti per aiutare e sostenere le donne in difficoltà, perché possano essere aiutate a tenere i loro bambini? È uno dei temi a cui mi dedico con la mia Fondazione. Così come a quello della guerra».In che senso?«La guerra è un tema cruciale, le fabbriche di armi un dramma per l’umanità. Dovremmo andare su Internet a guardare in faccia tutti i membri dei cda di quelle società. Per saper vedere e avere coscienza di cosa sono le strutture di peccato - così le definiva il cardinal Martini - il “peccato sociale”, e studiare le reti dei fabbricanti d’armi con la finanza, e poi con la politica che le agevola. È un tema che mi angoscia e non mi fa dormire. E mi disgusta».Cosa teme? Che il male sovrasti il bene?«No, di questo non ho paura. “Avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate coraggio, io ho vinto il mondo”. Queste parole di Gesù mi danno la speranza e la certezza».Parla di concetti non semplici. Le è capitato di essere guardato… storto?«Come un pazzo, intende?».Non volevo mancare di rispetto.«Anzi. Innanzitutto le dico che sì, mi è capitato e mi capita spesso. E le dico anche che bisogna parlarsi chiaro: il cristianesimo è uno scandalo. È da pazzi credere che in un pezzo di pane ci sia Dio, non le pare?».Quindi così si definisce?«Sulla follia, le rispondo così: c’è quella di chi fa la guerra a tavolino per arricchirsi sul sangue degli innocenti e poi c’è pure quella di chi prova a inginocchiarsi davanti a Dio, in contemplazione, e a mettersi in dialogo con lui».Lei prega spesso?«Per me la preghiera è come un secondo respiro e dell’adorazione eucaristica sento una vera e propria necessità. Perché tutti noi abbiamo nel nostro intimo una sete di infinito. La nostra Europa, per rinascere, dovrebbe tornare ad inginocchiarsi davanti al Mistero. Eppure il sacramento della Comunione è il grande ignorato. Come diceva Padre Pio, se si sapesse cos’è davvero, dovremmo chiamare le forze dell’ordine davanti alle chiese perché ci sarebbe troppa gente in coda per entrare. Proprio davanti al Santissimo, chiedendo a Gesù come poter comunicare a tutti la sua reale presenza nell’Eucaristia, ho sentito di dover far nascere il progetto “Il senso del Pane”, che ha convinto Ennio Doris».Ovvero?«Abbiamo iniziato nel 2015, nel carcere di Opera, con il primo laboratorio di produzione artigianale di ostie affidato alle mani di tre persone detenute con passato criminoso, convertiti e pentiti. Ennio Doris ci ha consentito con la sua fede e il suo sostegno di estendere il progetto in 20 Paesi e a tante persone in situazioni di povertà assoluta. Dal Brasile alla Turchia, dall’Argentina al Mozambico, ma pure a Gaza, e a Betlemme. Doniamo alle chiese ogni settimana le ostie prodotte da 250 persone a cui viene data dignità attraverso il lavoro. Chiediamo solo ai sacerdoti di dire che in quel pane c’è il più grande mistero della terra».Si può dire che lei sia nato in salotti non buoni ma ottimi. Ha quindi deciso di abbandonarli?«Per mia esperienza, Dio lo si incontra nelle persone povere, in chi vive nella sofferenza. Ma pure i ricchi possono essere poveri, sa? A volte poveri di speranza. E però trovo che Gesù sia davvero simpatico. Ogni volta che partecipo a qualche cena in quelli che lei definisce salotti, entrando dico una preghiera: per favore, fa’ che io incontri almeno una persona speciale. Con la quale far nascere un progetto, o un’amicizia. Le assicuro che sono sempre stato esaudito».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)