
Alla sola pronuncia della parola bail in, in una accezione negativa, da parte del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, è ripartito il tormentone sull'efficacia o meno di questa soluzione nella gestione delle crisi bancarie italiane. Non hanno certo fatto mancare il loro apporto al dibattito i soliti opinionisti che vivono costantemente in una torre d'avorio collocata ad una distanza siderale dalla realtà.
C'è chi infatti ha ricordato che il bail in, la soluzione che azzera il capitale dei soci, è una soluzione buona e giusta quale redde rationem nei confronti di sciagurati e irresponsabili capitalisti che hanno scelto amministratori incompetenti e malvagi. D'altronde, come sempre, questi sedicenti esperti dimenticano il contesto e ignorano che molti di questi «capitalisti» erano persone comuni, ingannate da qualche fidato impiegato di banca. Queste povere persone nulla sapevano sui rischi del loro investimento, tantomeno erano in grado di comprendere i fini meccanismi gestionali di una banca e di certo non avevano né la forza né la capacità di intervenire sui vertici aziendali. Non possiamo mica considerare questi piccoli risparmiatori alla stregua di grandi fondi d'investimento internazionali, dotati di ingenti capitali e con una pletora di avvocati a difenderne gli interessi! Purtroppo però la metafisica astratta di certe interpretazioni ortodosse dell'economia e del sistema finanziario trascende la realtà. Ora tornando alle banche di casa nostra sarebbe più opportuno orientare il dibattito in veste più pratica e concreta. Rispondendo a domande del tipo: come possiamo rendere il sistema bancario più forte? Come possiamo salvaguardare i piccoli risparmiatori?
Dare risposta a queste domande è urgente, soprattutto in una fase storica in cui la trasformazione digitale sta investendo proprio un settore nevralgico per l'economia come quello bancario. L'Italia è ancora molto indietro nello sviluppo di campioni del Fintech. Molte banche tradizionali sono ancora alle prese con i crediti deteriorati da smaltire e la loro evoluzione verso modelli Fintech è pachidermica. Le start up italiche della finanza digitale, pur presenti e battagliere, sono ancora di dimensioni troppo piccole per incidere sulle dinamiche del settore. All'estero però nuovi operatori del Fintech stanno affermandosi, in modo così eclatante, da far ipotizzare a breve un grande scossone. Alcuni di questi nuovi attori, come la svedese Klarna, l'olandese Adyen, l'inglese Revolut, la teutonica N26, hanno ormai acquisito dimensioni significative nonché capitalizzazioni da capogiro. Da qualche parte noi dovremo pur partire e qualche soluzione pragmatica ed efficace va trovata e in fretta. Una soluzione potrebbe esserci, in linea con la situazione odierna italiana.
La vituperata banca Mps, da tempo sotto protezione dello Stato e in via di risanamento, potrebbe essere la risposta. La storica banca senese, finita agonizzante e ad un passo dall'estrema unzione dopo le scorribande di una certa politica «progressista», può diventare la nuova araba fenice digitale. Mai occasione era stata tanto propizia. Sotto il controllo dello Stato e in una fase di completa riorganizzazione può essere orientata a quegli investimenti e ad un cambio di modello gestionale per renderla il campione nazionale Fintech. In questo momento Mps è più elastica al cambiamento e potrebbe approfittare di questa fase per accelerare nella trasformazione digitale. Inoltre, per ergersi a campione nazionale con mire anche sovranazionali, potrebbe fare da attrattore e acquirente di molti pezzi validi del Fintech italiano che potrebbero cambiarne il modello operativo. Investendo in una Mps digitale lo Stato Italiano potrebbe così incentivare e valorizzare una nuova imprenditoria digitale allettata dalla possibilità di finire nel perimetro di un grande gruppo Fintech di stampo nazionale. Mps può contare su buone basi, grazie alla banca online Widiba, avviata proprio alcuni fa nel pieno della crisi. Il ruolo dello Stato può essere doppiamente efficace e benefico: da un lato agevolare il salvataggio e dall'altro dare una direzione strategica alla banca. Poi ad un certo punto lo Stato dovrebbe fermarsi e agevolare un passaggio di mercato. Il trasferimento del testimone al mercato potrebbe avvenire attraverso una quotazione in Borsa che coinvolga anche i piccoli risparmiatori. Agendo così verrebbe sanata e modernizzata una banca, garantita l'occupazione, e creata ricchezza da restituire ai contribuenti che con le proprie tasse hanno sostenuto la nazionalizzazione.
Stato e mercato sono in assoluta antitesi? Chi lo dice non ha contezza dell'economia reale. Stato e Mercato posso andare a braccetto in molteplici occasioni. Come nel grande progetto di una Fintech di Stato, poi quotata e con una pletora di piccolissimi azionisti italiani. Anche a Genova sono alle prese con una delicata operazione di ristrutturazione e rilancio di banca Carige. Sarebbe meglio evitare di far pronunciare la parola bail in ai genovesi. Ne verrebbe fuori qualcosa di altamente imbarazzante.
*Direttore del master in Corporate Finance, Università Bocconi






