2018-06-12
Nelle critiche ad Asia non c’è solo odio. Così elaborano il lutto gli orfani di Bourdain
Sul Web insulti feroci contro la Argento, ma pure l'amarezza dei fan. Che nell'era digitale diventa per forza materia social.Leggendo alcuni tweet sulla morte di Anthony Bourdain scagliati come pietre contro Asia Argento, in molti hanno gridato all'odio. Nelle ore successive al tweet di cordoglio dell'attrice per il suicidio dello chef e scrittore suo compagno, tanti hanno stabilito una relazione di causa-effetto tra le foto del settimanale Chi, che la mostravano in atteggiamenti molto complici con il giornalista francese Hugo Clement, e il gesto di Bourdain. Alcuni italiani hanno scritto tweet, certamente condannabili, in cui la descrivevano addirittura come «ammazza uomini». Questo è odio, è eccesso? Sì. Sono apparsi però anche tweet - spesso scritti da americani o da francesi - che, in modo non aggressivo, ponevano in dubbio il suo amore per Bourdain. In parecchi hanno sostenuto che esistesse una relazione tra le ultime azioni pubbliche di Asia e la tragica azione del suo compagno. Fino a tre ore prima che la notizia della morte dello chef fosse divulgata, sul profilo Instagram dell'attrice era visibile uno scatto, poi rimosso, nel quale Asia indossava una maglietta col volto di Sid Vicious e la scritta «Fuck everyone», sotto la didascalia «You know who you are», cosa che è stata interpretata come un messaggio di chiusura con Bourdain (Sid Vicious era uno dei suoi soprannomi). Sabato, un giorno dopo la morte di Anthony, la Argento è comparsa a Pesaro alle audizioni di X Factor, dove è giudice per la nuova stagione, il che è stato interpretato come un modo irrituale di vivere un dolore. La trasmissione ha diffuso un comunicato nel quale dice che l'attrice ha deciso così in un momento per lei difficilissimo e loro le sono vicini. Insomma, gran parte del Web ha trovato tutti questi elementi strani e lo ha detto. Ed ecco che un coro di voci, anche Vip, si è alzato per difendere l'attrice dagli «odiatori». Pierluigi Battista ha scritto sul Corriere della Sera che «nelle latrine dei social network, con una istantaneità corale che lascia sgomenti, si decide piuttosto di devastare lei, di massacrarla con cose assurde, come se lei (complici fotografie lette come se fossero l'arma del delitto) incarnasse diabolicamente la causa del dolore insopportabile di Bourdain». Non si sono lette opinioni simili sulla vicenda di Kate Spade, la designer suicida che ha lasciato un biglietto di commiato alla figlia nel quale incolpava esplicitamente il marito, «reo» di averle chiesto il divorzio, con le parole: «Chiedi a tuo padre». In quel caso non hanno attribuito - né Battista né altri - all'animo della Spade la miserabile qualità di latrina. Un fatto è certo: seppure il gesto di Bourdain fosse stato una reazione a un tradimento o a una chiusura della storia da parte di Asia Argento, la responsabilità di ciò che egli stesso ha fatto alla sua vita resta in mano a lui. Tuttavia sbaglia chi attribuisca le reazioni emotive di fan sconvolti al solo «odio». È sbagliato immaginare il Web esclusivamente come un luogo popolato da persone che passano la giornata a scegliere Vip contro cui indirizzare il proprio astio.L'odio esiste, certo, e va aspramente condannato. Ma nei commenti che popolano il Web quando una star muore c'è anche qualcosa di più. È una sorta di elaborazione mediatica del lutto, rumorosa ma sicuramente umana. Internet è il medium più accessibile a tutti: secondo il report Global digital 2018, su una popolazione mondiale di 7.593 miliardi di persone, 3.196 miliardi sono sui social network. È la metà del mondo. Internet è l'unico mezzo di comunicazione che permetta a tutti di non essere meri destinatari della comunicazione altrui, ma anche attori, tramite i social network. Non ci si può meravigliare che oggi pure l'elaborazione del lutto si svolga sui social, giacché tutto, ormai, dal privato al collettivo, si elabora anche così. I social network sono poi l'unico punto di contatto tra i Vip e i Nip (Not important person) che compongono il grande pubblico. Perciò i Vip stanno sui social network: per permettere ai Nip (o per illuderli) di intrattenere un «rapporto» diretto con loro. Un rapporto che li tiene fidelizzati e che è troppo facile accettare solo quando porta consenso. Era il gennaio del 2015 quando morì Pino Daniele. L'ex moglie Fabiola Sciabbarrasi si scagliò contro la nuova compagna del cantante che lo aveva condotto a Roma, nonostante stesse arrivando un'ambulanza in Toscana, dove Pino si trovava. «Amanda, che era l'unica in macchina con Pino nell'ultimo viaggio, dica tutto quello che sa. Voglio la verità sulla morte di mio marito per i miei figli e per gli altri suoi figli», dichiarò la donna all'Ansa. La Procura di Roma aprì anche un'inchiesta contro ignoti per omicidio colposo. Nelle parole della Sciabbarrasi non c'era odio. Era chiaramente visibile l'umano moto emotivo, il cuore spezzato di chi apprende che una persona per lei importante è morta e cerca ragioni ed eventuali colpe in chi gli stava vicino. La caratteristica della morte è quella di essere inappellabile, di non prevedere rimedio. L'unica cosa che si può fare è comprendere come e perché sia successa, sfogare il proprio dolore e intanto farsene una ragione. Più si ama qualcuno, più si è addolorati nel perderlo. È una legge persino ovvia. Nell'uomo comune che soffre per la morte di Bourdain e cerca una ragione che spieghi il gesto insano (magari facendo congetture sugli episodi di vite in realtà lontanissime dalla sua), non c'è odio per Asia Argento, ma amore per Anthony Bourdain. Le persone che scrivono sul Web sono perfetti estranei che però amavano il loro mito ed esperivano questa amorevolezza anche seguendone la felicità con la Argento. Allo stesso modo, hanno espresso la loro disapprovazione. Più la morte avviene in condizioni tragiche, più l'essere umano ne è toccato ed esprime il suo shock. Rose Mc Gowan, altra attrice protagonista del Me too, venerdì ha postato un video su Twitter nel quale si riprendeva in preda ai singhiozzi per la morte dell'amico Anthony: nessuno l'ha criticata dandole dell'esibizionista. Si è compresa la sua reazione. No, non è solo questione di odio. Stiamo assistendo a un cambiamento del nostro modo di rapportaci al lutto. Sui social network, la morte viene elaborata pubblicamente tramite nuovi e differenti rituali. Non vale solo per le celebrità, ma pure per le persone normali. Facebook, per esempio, ha stabilito che si possa lasciare in eredità il proprio profilo a un «contatto erede» (naturalmente stabilito in vita) che potrà parzialmente agire al posto del defunto (sì all'aggiornamento dell'immagine del profilo, no a nuovi post o lettura dei messaggi privati). In caso di mancata nomina, dopo aver dimostrato la morte dell'intestatario del profilo, si può chiedere la trasformazione dell'account in commemorativo oppure la sua chiusura. Twitter invece prevede la cancellazione del profilo dopo sei mesi di inattività, così più o meno Google che consente all'intestatario del profilo di decidere cosa debba essere del proprio account una volta inattivo. C'è un aspetto perfino lirico nel verificare come Internet sia diventato la trasposizione pubblica e condivisa della nostra coscienza, perché vuol dire che l'essere umano ha vinto sui bit umanizzandoli. Ma se si gira per la contemporaneità cercando solo odio, non si hanno gli occhi abbastanza neutri per accorgersene.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.