2025-08-09
Zang, Tumb, insalata. Marinetti «inventò» la caprese tricolore
Insalata caprese (iStcok)
La crociata antipasta del Futurismo ispirò le nozze tra basilico, mozzarella e pomodoro. E l’americana Caesar’s salad è italiana.Nell’immaginario collettivo, molto spesso l’insalata è vista come un piatto penitenziale. Quello che segue pacciate pantagrueliche del giorno prima, ma anche piatto solista in quella sorta di salutismo a prova di bilancia per i devoti delle taglie aereodinamiche.Eppure le insalate possono essere molto altro (e di più). Preparazioni intriganti e pure golose come le storie che le accompagnano. Tutte da scoprire. In una lettura estiva, è inevitabile partire dalla caprese. L’origine è intuitiva: nell’isola dei Faraglioni, protagonista della Dolce vita degli anni Sessanta. Un intrigante mix tricolore a base di pomodoro, mozzarella (rigorosamente di bufala) e basilico. La caprese è nata negli anni Venti come sorta di sfida nel menù futurista proposto da Filippo Tommaso Marinetti che considerava oramai la tradizionale pasta «pesante, figlia di una futile tradizione». Un piatto che unisce leggerezza (calorica e quindi digestiva) oltre che sapiente velocità di realizzazione in un piacevole gioco di squadra tra ingredienti freschi e legati al territorio. Eclettica lungo la scaletta di svariati riti conviviali, «è come un tubino nero, che riesce bene in ogni occasione».Poche regole, ma chiare. Il pomodoro ideale è quello sorrentino, tagliato a dischetti dalle rotondità simili a quelle della mozzarella. Entrambi preparati separatamente e lasciati asciugare quel tanto che basta per non annacquare il piatto. Preparata al momento, senza soste in frigorifero. Decorare con basilico fresco e papparsela ai quattro palmenti. Divenuta un instant classic, trovò negli anni Cinquanta come ambasciatore il re Farouk d’Egitto, in vacanza nell’isola, che la propose poi entusiasta ai suoi ospiti. La caprese è, poi, divenuta eclettica anche in altre versioni, come gli spiedini o la stessa pasta fredda.Se alla caprese vengono attribuite origini aristocratiche torniamo a terra con la toscana panzanella. Un modo molto pratico, nelle campagne, per riutilizzare il pane raffermo e proprio l’etimo ci aiuta dove per zanella si intendeva la cesta di vimini su cui si poneva ad asciugare il pane rivitalizzato dopo un bagno in acqua e aceto. Ma zanella era chiamata pure la scodella su cui poi si assemblava il tutto, arricchito da quanto offrivano le coltivazioni in stagione: pomodori, cipolla rossa, basilico, cetrioli. Panzanella rustica, ma con solide radici storiche tanto che le prime citazioni, come «pan lavato», risalgono al quindicesimo secolo per opera del Boccaccio cui si aggiunse, poco dopo, Agnolo Bronzino, pittore alla corte dei Medici, che gli dedicò una poesia, grazie anche all’arrivo del cetriolo che, all’epoca, era prodotto esclusivo e ricercato, appena sbarcato dalle Indie. Altra piccola principessa tutta da scoprire è la siciliana insalata di arance. Qui si incrociano le morbide dolcezze del frutto (dagli spicchi rigorosamente spellati per togliere la nota amara e fibrosa) con la croccantezza del finocchio tagliato a fettine sottili. Insalata che può essere solista e protagonista, ma anche compagna di tavola per esempio di intriganti involtini di pesce spada (con pinoli, capperi e formaggio).Si viaggia un po’ a tutto Stivale, invece, con l’insalata di riso. Una semplicità accompagnata da intrigante sostanza, con i dovuti accorgimenti. A partire dal riso che, una volta cotto, va posto in un bagno di acqua fredda e ghiaccio giusto per fargli perdere quell’amido che, altrimenti, lo renderebbe colloso con gli ingredienti messi a fargli contorno. Non solo verdure, ma anche dadini di prosciutto, formaggio, chicchi di mais. Anche l’insalata di riso non è figlia delle pubblicità di Carosello. Un prototipo è stato individuato nel ricettario seicentesco in uso per l’arcivescovo di Padova. Un originale alternarsi di riso e barbabietole nella versione laica opera di Amedeo Pettini, cuoco di casa Savoia, che la propose nel Ricettario Carli, pubblicato nel 1936. Si diffuse, poi, con il benessere economico degli anni Sessanta, con riletture originali come ad esempio quella «alla novarese» con tartufi o quella «dell’ammiraglio», proposta a Villa Medici da Italo Campiglia, arricchita con filetti di acciughe, pomodori, olive nere, carciofini e tonno, come ben illustrato ne La cucina italiana nel 1964. Cromaticamente intrigante quella con riso Venere, verdure e code di gambero.Una storia a sé quella dell’insalata russa «piatto che ha un’origine confusa quanto la sua ricetta». In Francia viene chiamata insalata piemontese. In Germania e Danimarca insalata italiana. Nella (presunta) madre Russia olivierova, omaggio a uno dei suoi inventori, il belga di origine russa Lucien Olivier. A fine Ottocento è il regista della cucina del prestigioso Hermitage a Mosca. In origine vi era una piramide di sottaceti, patate lesse e uova a far scenografico accompagnamento a prestigiosa preparazione di cacciagione e maionese. Leggenda racconta che una sera qualche commensale, forse reso creativo da qualche sorso in più di vodka, mescolò il tutto in una sorta di … «insalata mista». Spunto utile per Olivier che così risparmiò un po’ di nobile cacciagione rendendo il tutto più salutistico con buona pace dei seriali peccatori di gola anche perché, dopo la caduta dello zar, le dispense di famiglie e ristoranti erano risultate molto più «alleggerite» tanto che, in un ricettario voluto dallo stesso Stalin, pubblicato nel 1939, la ricetta appare semplificata e il nome di Olivier rimosso a divinis. Vi sono poi altre attribuzioni di paternità, come ad esempio quelle che vedono la cucina dei Savoia rendere degno omaggio per la visita dello zar Nicola II. Riso, ortaggi tagliati a quadretti e una cremosa panna che voleva ricordare la neve dei lunghi inverni delle steppe russe. Un’anteprima già con Giovanni Nelli, nel suo Il re dei cuochi, pubblicato nel 1868. Un grande classico descritto pochi anni dopo da Pellegrino Artusi e da Ada Boni, nel suo Talismano della felicità, uscito nel 1929.Insalata russa compagna ideale nei riti conviviali legati alle feste natalizie. Il tocco di classe è lasciarla consolidare per due ore in frigo all’interno di uno stampo foderato di pellicola per poi servirla capovolgendo il tutto e decorandolo con estro e fantasia. Poi c’è la zampata fuori spartito di Carlo Cracco che la serve, come dessert, in versione caramellata. Una pallina rafforzata con capperi salati ed essiccati e avvolto il tutto con due dischetti di zucchero caramellato. Infine, la nota international.Se è vero che la cucina italiana è tra le più ricercate (e copiate) nel mondo, è anche vero che tanti sono i nostri connazionali che hanno trovato le meritate soddisfazioni all’estero. A molti il nome di Cesare Cardini dirà poco o nulla, eppure ha lasciato un segno tale che la sua «creatura», la cesar salad, è l’insalata più conosciuta, e consumata, nelle terre dello Zio Sam. Nato nel 1896 a Baveno, sulle rive del Lago Maggiore, lascia la famiglia e va a cercar fortuna a San Diego, in California. Ma i malatempora resero difficile la sua attività di ristoratore per cui si trasferì a Tijuana, in Messico, dove tappi e calici viaggiavano in libertà. Leggenda vuole che un giorno, trovandosi il frigorifero a corto di ingredienti per comporre la sua normale insalata tricolore, fece di necessità virtù e assemblò, tra loro, la classica lattuga romana e l’italianissimo parmigiano, oltre a limoni, pane e olio, uova e salsa Worcestershire. Fu un successo immediato, favorito poi dal fatto che, con l’abolizione del proibizionismo nel 1935, il nostro Cesare tornò a Los Angeles e registrò il marchio «Caesar’s» per la commercializzazione di quel condimento per l’insalata che si diffuse poi in tutto il Ppaese.
Il valico di Rafah (Getty Images)
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