2022-06-15
Indagati gli attivisti di Askatasuna, infiltrati tra i fan di Greta
True
Ansa
Quel giorno, passi per i soliti imbrattamenti di muri, mezzi pubblici, banche e in particolare una filiale Sanpaolo con le scritte «assassini» e «killer», gli investigatori della Digos hanno trovato conferma ad alcuni dei loro sospetti: gli attivisti di Askatasuna erano riusciti a infiltrare i fan di Greta Thumberg.
La questione era già emersa nelle centinaia di pagine di intercettazioni, che partono dal 2019, e che hanno svelato più di un tentativo di portare i Fridays for Future sulle loro posizioni di guerriglia. Alla manifestazione gli Aska erano arrivati più agguerriti di prima, visto che solo qualche giorno prima era finito in carcere il loro leader Giorgio Rossetto, tra i volti storici del panorama dell'Autonomia (l'altro giorno ha protestato, perché era stato messo in cella con un uomo accusato di stalking). E anche in quell'occasione avrebbero messo in campo quella che gli investigatori definiscono una «strategia della provocazione violenta, del tirare la corda alzando il tiro». Così, alla fine dell'inchiesta, in 16 (su 28 indagati) si sono beccati l'accusa di associazione sovversiva. «Ci vogliono abbattere a colpi di magistratura e lo stanno facendo», diceva uno dei leader agli altri indagati in una delle conversazioni di gruppo intercettate. La risposta decisa a tavolino era quella di «buttare merda» sulle istituzioni. Nel frattempo, proprio per l'associazione sovversiva, i pubblici ministeri della Procura di Torino avevano chiesto sette arresti, che però non sono stati concessi dal gip. Pende un ricorso al Tribunale del riesame, la cui decisione non è ancora stata depositata. Dall'indagine sul centro sociale, che è uno di più influenti d'Italia negli ambienti dell'antagonismo, è saltato fuori di tutto. Dal tentativo di condizionare il movimento No Tav, ispirando azioni violente, all'ipotesi di entrare in contatto con le baby gang protagoniste dei saccheggi di via Roma dell'ottobre 2020: «Bisogna capire se si possono aprire degli spazi politici. Ne bastano due o tre di loro», diceva uno degli intercettati parlando della banda dei pischelli. Ma nella strategia degli Askatasuna c'era anche il tentativo di accogliere tra le loro fila gli immigrati, purché avessero aderito alla loro ideologia e alle iniziative del gruppo. E per farlo avrebbero tentato di far filtrare messaggi perfino all'interno del Cpr (il Centro di permanenza per il rimpatrio). Azioni considerate preoccupanti. Ma non le uniche. Nei documenti dell'inchiesta sono stati ricostruiti anche contatti con ex brigatisti, ai quali gli attivisti chiedevano informazioni sui tempi della lotta armata. E, con loro, alcuni avrebbero anche pronunciato frasi considerate «di tenore antisemita».E tra i vari capi d'imputazione per resistenza aggravata a pubblico ufficiale e violenza privata aggravata, c'è anche una ipotesi di estorsione.
Riguarda il Neruda, un edificio occupato nel 2015 e gestito dallo sportello Prendo Casa, nel quale uno straniero che non pagava l'affitto della sua era stato aggredito e allontanato insieme alla famiglia. «Un'azione premeditata e organizzata», secondo l'accusa. «Dobbiamo affidarci a gente che poi partecipa, se non hanno un minimo di preparazione, non sanno chi è Malcom X, niente, noi non siamo la Caritas», commentarono gli attivisti dopo l'azione. E, infine, ha destato allarme negli investigatori il tentativo di controllare il territorio. Un raid contro un gruppo di pusher che agiva nel quartiere ne sarebbe la prova.
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Allo sciopero globale per il clima del 25 marzo scorso indetto per protestare contro la crisi climatica, la dipendenza dal fossile, le guerre per le risorse e le disuguaglianze, a Torino, insieme ai Fridays for Future c'erano gli autonomi di Askatasuna, ritenuti dai pm «un'associazione sovversiva».Quel giorno, passi per i soliti imbrattamenti di muri, mezzi pubblici, banche e in particolare una filiale Sanpaolo con le scritte «assassini» e «killer», gli investigatori della Digos hanno trovato conferma ad alcuni dei loro sospetti: gli attivisti di Askatasuna erano riusciti a infiltrare i fan di Greta Thumberg.La questione era già emersa nelle centinaia di pagine di intercettazioni, che partono dal 2019, e che hanno svelato più di un tentativo di portare i Fridays for Future sulle loro posizioni di guerriglia. Alla manifestazione gli Aska erano arrivati più agguerriti di prima, visto che solo qualche giorno prima era finito in carcere il loro leader Giorgio Rossetto, tra i volti storici del panorama dell'Autonomia (l'altro giorno ha protestato, perché era stato messo in cella con un uomo accusato di stalking). E anche in quell'occasione avrebbero messo in campo quella che gli investigatori definiscono una «strategia della provocazione violenta, del tirare la corda alzando il tiro». Così, alla fine dell'inchiesta, in 16 (su 28 indagati) si sono beccati l'accusa di associazione sovversiva. «Ci vogliono abbattere a colpi di magistratura e lo stanno facendo», diceva uno dei leader agli altri indagati in una delle conversazioni di gruppo intercettate. La risposta decisa a tavolino era quella di «buttare merda» sulle istituzioni. Nel frattempo, proprio per l'associazione sovversiva, i pubblici ministeri della Procura di Torino avevano chiesto sette arresti, che però non sono stati concessi dal gip. Pende un ricorso al Tribunale del riesame, la cui decisione non è ancora stata depositata. Dall'indagine sul centro sociale, che è uno di più influenti d'Italia negli ambienti dell'antagonismo, è saltato fuori di tutto. Dal tentativo di condizionare il movimento No Tav, ispirando azioni violente, all'ipotesi di entrare in contatto con le baby gang protagoniste dei saccheggi di via Roma dell'ottobre 2020: «Bisogna capire se si possono aprire degli spazi politici. Ne bastano due o tre di loro», diceva uno degli intercettati parlando della banda dei pischelli. Ma nella strategia degli Askatasuna c'era anche il tentativo di accogliere tra le loro fila gli immigrati, purché avessero aderito alla loro ideologia e alle iniziative del gruppo. E per farlo avrebbero tentato di far filtrare messaggi perfino all'interno del Cpr (il Centro di permanenza per il rimpatrio). Azioni considerate preoccupanti. Ma non le uniche. Nei documenti dell'inchiesta sono stati ricostruiti anche contatti con ex brigatisti, ai quali gli attivisti chiedevano informazioni sui tempi della lotta armata. E, con loro, alcuni avrebbero anche pronunciato frasi considerate «di tenore antisemita».E tra i vari capi d'imputazione per resistenza aggravata a pubblico ufficiale e violenza privata aggravata, c'è anche una ipotesi di estorsione.Riguarda il Neruda, un edificio occupato nel 2015 e gestito dallo sportello Prendo Casa, nel quale uno straniero che non pagava l'affitto della sua era stato aggredito e allontanato insieme alla famiglia. «Un'azione premeditata e organizzata», secondo l'accusa. «Dobbiamo affidarci a gente che poi partecipa, se non hanno un minimo di preparazione, non sanno chi è Malcom X, niente, noi non siamo la Caritas», commentarono gli attivisti dopo l'azione. E, infine, ha destato allarme negli investigatori il tentativo di controllare il territorio. Un raid contro un gruppo di pusher che agiva nel quartiere ne sarebbe la prova.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)