2020-12-23
Inchiesta sulle mascherine. È caccia ai contatti con l’uomo vicino a Delrio
Mauro Bonaretti e Graziano Delrio (Ansa)
Mauro Bonaretti, che oggi opera nella struttura commissariale, è stato al Mit come Mario Benotti. Nel frattempo, il giornalista Rai smentisce Domenico Arcuri: «È falso che non mi conosca»Visto il suo ruolo, la presenza di Arcuri (che come gli altri manager di Stato oggetto di approfondimento non risulta indagato) nei filtri di ricerca è scontata. Più curiosa è la ricerca anche attraverso un diminutivo confidenziale: «Mimmo». Un altro nome di peso è quello di Mauro Bonaretti, ex capo di gabinetto di Graziano Delrio al ministero dei Trasporti e a quello degli Affari regionali e dello sport, nonché segretario generale di Palazzo Chigi dal 2014 al 2018. Due anni fa Bonaretti, fedelissimo di Delrio fin dai tempi in cui questi era sindaco di Reggio Emilia, è stato nominato consigliere della Corte dei conti della Lombardia e fa parte anche della struttura del commissario Arcuri per l'emergenza Covid. Il gabinetto del Mit è la struttura di cui il giornalista Rai Mario Benotti, intermediario dell'affare e indagato dalla Procura di Roma per traffico illecito di influenze, afferma di aver fatto parte come «consigliere giuridico». «Da quando sono arrivato nello staff del commissario straordinario, Domenico Arcuri, lo sto supportando su diverse questioni» ha spiegato a maggio Bonaretti alla Gazzetta di Reggio. «Ad esempio, sto lavorando per l'implementazione della app Immuni in collaborazione con il ministero della Salute e il ministero per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione; alla gara per la scelta del test sierologico per l'analisi epidemiologica del ministero della Salute sul grado di diffusione della infezione Covid; alla ricerca sul mercato di reagenti per l'esame dei tamponi e per l'approvvigionamento di altri beni per il sistema sanitario regionale». Bonaretti potrebbe aver fatto da raccordo con la struttura commissariale, ma va precisato che la sua nomina è successiva all'inizio della trattativa tra Benotti e lo staff di Arcuri.Oltre alle parole «Leonardo» e «Lorenzo Mariani» (quest'ultimo è stato sino a settembre a capo dell'ufficio vendite di Leonardo), anche i nomi di altri top manager di aziende pubbliche rientrano nella lista su cui gli investigatori stanno svolgendo approfondimenti. C'è quello di Daniele Romiti (dal 2013 al 2018 ad di Agusta Westland, la controllata di Leonardo che produce elicotteri) e quello di Agostino Scornajenchi, attuale responsabile finanza di Terna, società quotata alla Borsa di Milano che gestisce le reti per l'energia elettrica in Italia. Il maggiore azionista è una controllata di Cassa depositi e prestiti, Cdp reti, che detiene il 29% delle quote. Tra le parole chiave c'è anche la stessa Terna.Nella lista dei target compare pure il nome del dirigente di Invitalia Antonio Fabbrocini, cooptato nell'ufficio acquisti della struttura commissariale e interlocutore degli indagati nella trattativa per le forniture oggetto dell'inchiesta. Tra le persone ricercate nelle memorie di computer e cellulari anche Michele Lepore. Su Internet ci sono diversi omonimi e tra questi compare un medico che in tv ha denunciato il mancato arrivo delle mascherine per i medici di famiglia, ma potrebbe essere una coincidenza. Altro personaggio ricercato è Heber Rafael Verri, direttore scientifico di Partecipazioni Spa, società riconducibile all'indagato Mario Benotti. Verri è anche ad della Phdtt, inserita come chiave di ricerca tra le personalità giuridiche.Gli inquirenti stanno quindi cercando di ricostruire gli eventuali rapporti delle persone sottoposte a indagine all'interno delle più importanti e strategiche aziende pubbliche, forse per comprendere come siano arrivati a godere di una fiducia che ha permesso loro di fare da mediatori in una commessa da 1,25 miliardi euro di mascherine.Oltre che su questi nomi, gli approfondimenti investigativi si stanno concentrando anche sulla Ecovenanzi, che fa capo a Nicolas Venanzi (che non risulta indagato), sulla S3K e sulla francese Safran. La prima è una società di consulenza con sede a Milano che, secondo la presentazione sul Web, opera nei settori della protezione ambientale, dell'energia e delle rinnovabili, della difesa e della tecnologia. La seconda si trova a Roma e ha come core business la protezione di infrastrutture critiche, la cyber security e l'intelligence. Anche la Safran, che ha il suo quartier generale a Parigi, opera in settori strategici, come difesa, aerospazio e telecomunicazioni. Citata nell'elenco stilato dagli inquirenti pure una non meglio identificata 4.zero e anche la compagnia aerea israeliana che avrebbe trasportato quasi tutti i dispositivi. Tra le parole chiave usate dai tecnici informatici della Procura ce n'è una che merita di essere evidenziata: «anticipo». Gli indagati hanno sempre affermato di aver effettuato la mega fornitura da 1,25 miliardi di euro senza richiedere anticipi, anche se alla struttura commissariale i fornitori cinesi hanno presentato fatture pro forma, che spesso vengono utilizzate per autorizzare i pagamenti. Vedremo se gli inquirenti, che stanno cercando anche i riferimenti «bonifico», «causale», «assegno», «contanti», «certificazione», «bando», «dividendi», «dogana» ed «emolumenti», riusciranno a fare luce su un punto chiave di questa vicenda. Ricercati anche i vocaboli «fee» (commissioni) e «dignità» (viene in mente solo l'omonimo decreto). C'è, infine, un'altra parola importante: «corruzione». Chissà chi avrebbe dovuto usarla nelle conversazioni degli indagati.Intanto, lunedì, durante la trasmissione Quarta Repubblica, il conduttore, Nicola Porro, ha ricordato a Benotti che Arcuri ha fatto causa al programma che aveva definito lo stesso Benotti e il socio Andrea Tommasi come «conoscenze personali» del commissario. Durante la diretta Benotti sorride sornione: «Arcuri dice che non mi conosce? […] Questo mi dispiace». E in un secondo momento fa un invito a Porro: «Quando ci sarà da andare in tribunale mi chiami come testimone». C'è poi un capitolo più inquietante, e riguarda la segnalazione all'Antiriciclaggio della Banca d'Italia da cui è partita l'inchiesta della Procura di Roma. Un documento che è stato svelato in esclusiva dalla Verità e poi ripreso da Quarta Repubblica. Il conduttore, citando la carta, chiede a Benotti: «Che le viene in mente con questo gergo?». Risposta: «Io nella mia vita facevo il giornalista, un gergo un po' poliziesco. A lei cosa viene in mente?». Porro: «Quello che ha detto lei…». I due giocano, ammiccano. Fanno ipotizzare che la segnalazione presa per buona dalla Procura sia invece una velina di chissà chi. Porro alla fine della trasmissione torna sui «dubbi» di Benotti sulla segnalazione. Dubbi che l'indagato sostiene di condividere con il conduttore. Porro non si lascia sfuggire l'occasione: «Lei sta parlando di servizi? […] In questo momento politico lei sa che c'è una grande battaglia tra i servizi in Italia». Benotti: «Eh lo so, che ci sia qualche momento di confusione, c'è, sì, certo». Ma in Procura non ci stanno a passare per incompetenti: «La segnalazione è arrivata attraverso i canali consueti», ci conferma il procuratore Michele Prestipino. Che sembra escludere che la Sos possa essere una velina dei servizi segreti.