Inchiesta Eni, un’altra assoluzione. De Pasquale fa collezione di flop

A distanza di 12 anni dall’avvio dell’inchiesta sulla licenza petrolifera Opl 245 in Nigeria, si chiude anche l’ultimo filone del più controverso e, alla fine, clamorosamente sgonfiato processo per corruzione internazionale della storia giudiziaria italiana: la tangente da un miliardo e 92 milioni di dollari non è mai esistita. Aliyu Abubakar, imprenditore nigeriano e figura chiave (secondo l’accusa) nella triangolazione di denaro fra Eni, Shell e il governo nigeriano, è stato ieri assolto con formula piena «perché il fatto non sussiste». È un verdetto che appare come il sigillo finale su un’inchiesta che, col tempo, si è rivelata un boomerang per chi l’aveva condotta più che per gli imputati. L’assoluzione di Abubakar arriva dopo quelle, definitive, ottenute nel procedimento principale da Eni, Shell e i loro vertici, Claudio Descalzi e Paolo Scaroni, e dopo l’archiviazione o proscioglimento di tutti i coimputati nei vari filoni paralleli (Emeka Obi e Gianluca Di Nardo). Al momento, gli unici condannati in questa storia, paradossalmente, sono stati i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, ritenuti colpevoli in primo grado di non aver depositato agli atti elementi utili alla difesa (condannati a 8 mesi, l’appello sarà in autunno).
Anche ieri, nonostante le accuse che vedevano Abubakar protagonista di movimentazioni in contanti per centinaia di milioni di dollari, i giudici hanno riconosciuto che non esiste alcuna prova del fatto che quel denaro sia stato usato per corrompere pubblici ufficiali: le motivazioni arriveranno tra 90 giorni. Più che una sentenza, sembra ormai essere una presa d’atto: questo processo, come quello principale, non avrebbe mai dovuto nemmeno arrivare in aula. A mancare non sono i sospetti, ma i fatti. L’impianto accusatorio aveva mostrato le sue fragilità sin dall’inizio: i fondi transitati per la società Malabu, formalmente riconducibile all’ex ministro nigeriano del Petrolio, Dan Etete, sono stati considerati dai pm il cuore di un presunto schema corruttivo. Ma, senza prove dirette del coinvolgimento di Eni e Shell nella destinazione illecita di quei soldi, e con testimoni come Vincenzo Armanna (ex manager Eni) poi rivelatisi totalmente inadeguati e inattendibili, l’intera costruzione si è sbriciolata in aula. Aliyu Abubakar era rimasto ai margini del processo per anni a causa di un vizio di notifica, riemergendo solo nell’ultimo anno come ultimo imputato. E, anche nel suo caso, le movimentazioni sospette non sono bastate a dimostrare alcuna condotta penalmente rilevante.
Mentre in Italia l’inchiesta si dissolve nelle aule dei tribunali, in Nigeria riemergono polemiche politiche. Come riportato dal nostro giornale nei nostri giorni, l’ex ministro della Giustizia nigeriano, Adoke Bello, ha recentemente pubblicato un libro in cui accusa il pm De Pasquale di aver «istruito il processo contro il colosso petrolifero italiano sulla base di motivazioni politiche», in presunta sintonia con l’ex presidente Mohamed Buhari, eletto nel 2015. Le accuse vengono respinte con decisione dal legale di De Pasquale, l’avvocato Massimo Dinoia, che, in una lettera indirizzata al nostro quotidiano, chiede formale rettifica di quanto sostenuto da Adoke Bello: «L’inchiesta relativa al caso Opl 245 è stata avviata nel novembre 2013, quindi due anni prima dell’insediamento di Buhari alla presidenza. La circostanza, riportata nell’articolo, che il dottor De Pasquale, definito ingiuriosamente “bullo da quattro soldi”, avrebbe incontrato Yemi Osinbajo e Abba Kyari è falsa. Inoltre, il giudizio complessivo contenuto nel libro dell’ex ministro è distorto e in contrasto con apprezzamenti internazionali, come il rapporto Fase 4 dell’Ocse, che definisce l’impegno dei pm italiani encomiabile».
L’avvocato Dinoia conclude definendo «inverosimili sino al limite del ridicolo» le insinuazioni secondo cui De Pasquale avrebbe agito per colpire indirettamente figure politiche italiane, ricordando come fosse stato proprio lui, con Spadaro, a portare alla condanna definitiva per frode fiscale di Silvio Berlusconi nel 2013, ben prima che l’indagine Opl 245 vedesse la luce.






