2022-05-24
Immobili, Iva e balneari. L’Europa ci detta le regole della «nuova» austerity
Valdis Dombrovskis (Ansa)
Le raccomandazioni Paese sono la solita lista della spesa di cosa fare. Tra cui la riforma del catasto: alla faccia di chi diceva che non avrebbe portato balzelli.Sono finiti gli alibi per chi, fino a ieri, cercava di nascondere la volontà della Commissione, nota sin dal 2019, di tassare gli immobili.Ove mai non fosse stato già tutto molto chiaro, le raccomandazioni Paese pubblicate ieri sono cristalline.Nella solita letterina primaverile e nell’accluso report dedicato all’Italia, i toni sono molto simili a quelli del 2019, solo attenuati dall’emergenza per la guerra in Ucraina. Con la differenza che oggi, in presenza del ricatto del Recovery fund, non è più possibile ignorare il solito stantio ritornello fatto di tagli di spesa corrente, risanamento dei conti pubblici ed efficienza del sistema tributario. Quest’ultimo, solo un eufemismo per puntare agli immobili. Infatti si rileva che «nel contesto di un elevato tasso di proprietà delle abitazioni, le prime abitazioni sono esentate dalle imposte patrimoniali ricorrenti per quasi tutti gli immobili e la base imponibile corrispondente è obsoleta. I dati pertinenti sui beni immobili sono stati raccolti in un’unica piattaforma digitale, ma non sono ancora stati effettuati aggiornamenti dei valori catastali». I servizi della Commissione guidata dal presidente Ursula Von der Leyen usano sempre lo stesso metodo: lanciano la pietra ma salvano almeno la forma, evitando di dettare umilianti disposizioni. Cioè evidenziano l’elevato cuneo fiscale sul costo del lavoro (tra i più alti nella Ue) e poi aggiungono che «fonti di gettito di altra natura, meno dannose per la crescita, sono sottoutilizzate, il che lascia margini per ulteriori riduzioni degli oneri fiscali sul lavoro senza aggravi di bilancio. I valori catastali, che fungono da base per il calcolo dell’imposta sui beni immobili, sono in gran parte obsoleti». Per non farsi mancare nulla, puntano anche l’attenzione sulle numerose agevolazioni fiscali (tax expenditures) e sui casi di aliquote Iva ridotte. Incidentalmente, arriva pure un esplicito appoggio alla linea del governo Draghi sulle concessioni balneari. Infatti, la Commissione ritiene che «l’utilizzo di concessioni pubbliche per beni pubblici, quali le spiagge, non è stato ottimale. Ciò comporta una notevole perdita di entrate in quanto tali concessioni sono state automaticamente rinnovate per lunghi periodi e a valori di gran lunga inferiori a quelli di mercato. Nel febbraio del 2022 il governo ha introdotto importanti modifiche al progetto di legge annuale sulla concorrenza che prevede concorsi aperti per le concessioni balneari a partire dal 2024». Si dà così ormai per scontata la proposta del governo, nonostante sia formalmente ancora in corso l’esame in Parlamento del ddl Concorrenza e proprio oggi dovrebbe esserci il tentativo di mediazione finale.La raccomandazione finale è quindi quella di «aumentare l’efficienza del sistema, in particolare mediante […] l’allineamento dei valori catastali ai valori di mercato correnti». A Bruxelles ritengono che un sistema tributario sbilanciato a favore della tassazione del lavoro sia poco efficiente e, poiché la pressione fiscale non può scendere, tale incidenza vada ridotta utilizzando altre entrate, tra cui quelle sugli immobili. Non si può più equivocare sul punto.Per il resto, a parte lo zuccherino iniziale della disattivazione del Patto di Stabilità anche per il 2023, le raccomandazioni sono una sequenza di reprimende.In premessa, la Commissione ci ricorda che la corretta implementazione del Pnrr è essenziale per il conseguimento degli obiettivi del semestre europeo. Il piano è proprio l’esecuzione di quelle raccomandazioni, anche in caso di successivo aggiornamento. Insomma, le raccomandazioni sono per il Pnrr ciò che il programma di aggiustamento macroeconomico è per il Mes. La lista della spesa delle cose da fare, altrimenti ci tagliano i finanziamenti.La disattivazione del Patto è però solo un tassello della politica economica Ue e vale solo a farci evitare la procedura d’infrazione che, tuttavia, la von der Leyen si riserva di rivalutare nel prossimo autunno. Per il resto, l’armamentario di regole concepito nel 2012 è tuttora operante. Non si rinuncia nemmeno al vecchio pallino della moderazione salariale, messa in discussione dall’elevata inflazione, perché ci penseranno i milioni di profughi ucraini a calmierare il mercato del lavoro, aumentando l’offerta.L’Italia, con Cipro e Grecia, manifesta squilibri macroeconomici eccessivi legati all’alto debito pubblico, alla bassa produttività, ad un mercato del lavoro fragile ed un sistema finanziario che evidenzia debolezze. Violiamo, in numerosa compagnia, sia il criterio del 3% di deficit/Pil che quello del 60% di debito/Pil.Spicca l’accusa di non aver sufficientemente limitato la crescita della spesa corrente. Continuano ad enfatizzare l’importanza degli investimenti ma affidano tutte le prospettive di sviluppo alla completa attuazione degli investimenti e delle riforme del Recovery fund. Una spinta che, se tutto andasse bene, dovrebbe produrre 2,5 punti di Pil in più entro il 2026. Uno stimolo modesto. Se si volesse fare di più, l’unico spazio è quello che passa per tagli di spesa corrente o, forse ancora peggio, di aumenti di imposte. È lo stesso dilemma di fronte al quale siamo stati posti dal 2012 al 2019: dato un vincolo di saldo di bilancio, gli investimenti pubblici sono stati sacrificati a favore della spesa corrente.La Commissione tiene alta la tensione anche sul rischio di sostenibilità del nostro debito pubblico che, nel medio termine, reputa elevato. Sa che la Bce non può continuare a violare i Trattati per sostenere l’insostenibile.Da ultimo, prendiamo bacchettate pure sulla transizione ecologica, poiché siamo indietro sul conseguimento degli obiettivi del programma «Fit for 55» (riduzione di gas serra) e quindi ci chiedono di ridurre le fonti energetiche fossili, di accelerare sulle rinnovabili e diversificare l’import di energia.Siamo in castigo dietro la lavagna.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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