Kherson, regione meridionale del Paese: siamo entrati nel quartier generale di un manipolo di combattenti ucraini mentre dal cielo piovono i missili sparati dai russi. I volontari dormono con ordigni e mitragliatrici accanto ai materassi. L’ordine di Volodymyr Zelensky: mantenere le posizioni a costo della vita.
Kherson, regione meridionale del Paese: siamo entrati nel quartier generale di un manipolo di combattenti ucraini mentre dal cielo piovono i missili sparati dai russi. I volontari dormono con ordigni e mitragliatrici accanto ai materassi. L’ordine di Volodymyr Zelensky: mantenere le posizioni a costo della vita.Ci troviamo sulla linea del fronte di Kherson, nella zona meridionale del Paese, con una unità di volontari ucraini che combattono nelle trincee davanti ai russi, a loro volta asserragliati in canale artificiale per le acque di irrigazione. Poco lontano da questo avamposto, gli ucraini hanno creato una base logistica in una delle case che si trovano all’interno di un insediamento rurale, case abbandonate dalla popolazione in fuga. Appena arrivati nel loro quartier generale, non abbiamo avuto nemmeno il tempo di sedere all’ombra di un albero che l’artiglieria russa ha cominciato la «discoteca»; termine con il quale gli uomini di Kiev chiamano i continui bombardamenti dell’artiglieria moscovita. Scendiamo dunque negli alloggi che sono ricavati all’interno delle cantine di questa abitazione, il cui tetto è stato colpito da una bomba poche settimane fa. Accanto ai giacigli ci sono armi e munizioni pronte all’uso. Nei vari angoli di altre stanze sono sparpagliati razzi anticarro, bombe a mano e mitragliatori. Sotto le fitte fronde di un albero in giardino c’è invece uno dei quad usati per le missioni. I combattenti ci riservano un posto letto in un ambiente dove è custodita una vecchia mitragliatrice su ruote del 1940. Anche questa usano, i volontari, così come usano qualsiasi altra arma a loro disposizione. Il loro comandante, Vladimir, è un soldato che già conoscevamo dalla guerra di liberazione di Kiev, ed è grazie al rapporto creatosi nel tempo che oggi abbiamo il privilegio di condividere e raccontare al loro fianco la vita al fronte. Ci spiegano che, in questo momento, hanno l’obbligo di tenere a tutti i costi le posizioni. L’ordine è venuto direttamente dal comando generale. Gli ucraini hanno occupato delle trincee russe guadagnando terreno metro dopo metro, circa un mese fa, e non devono indietreggiare di un singolo centimetro. Il comandante ci confida: «Siamo qui e teniamo duro ma i russi, con i loro droni, ci lanciano addosso piccoli ordigni, e subito dopo l’artiglieria spara sulle nostre postazioni. Ci rintaniamo sotto terra e un po’ per fortuna un po’ per la loro imprecisione siamo ancora vivi». E aggiunge: «Questo accade tutti i giorni e quando non ci sparano i russi dobbiamo fare i conti con il caldo, la polvere, i serpenti che scendono nelle nostre buche». Il racconto termina presto. È ora di muoverci.Montiamo sulla jeep che porterà il cambio alle trincee. Costeggiamo i campi di grano e con noi ci sono i tre soldati che passeranno i prossimi giorni faccia a faccia con i russi. Saranno a un tiro di mitragliatore, di fucile, di bomba a mano. Nelle trincee della linea Zero si può sentire il rumore dei carri russi a poche centinaia di metri. Le condizioni igieniche e di combattimento sono le stesse già viste nella guerra in Vietnam. Gli occhi di questi tre ragazzi cambiano a mano a mano che ci avviciniamo alla meta. Li lasciamo a circa un chilometro dalla linea Zero. Da qui proseguiranno a piedi. Le macchine vengono intercettate dai droni e sarebbe un suicido andarci con un mezzo. Quelle sono anche le postazioni dove, in caso di attacco o di difesa, si procede a piedi, con la baionetta innestata come in Vietnam e, ancor prima, nella seconda guerra mondiale. Poco dopo, tornando alla base, ci fermiamo in una trincea di primo soccorso. Qui una donna ci offre un caffè, mentre cucina per alcuni militari. È un medico: è lei che al fronte si occupa dei vari feriti prima dell’evacuazione con i mezzi militari.
Chiara Ferragni (Ansa)
L’influencer a processo con rito abbreviato: «Fatto tutto in buona fede, nessun lucro».
I pm Eugenio Fusco e Cristian Barilli hanno chiesto una condanna a un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo con rito abbreviato sulla presunta truffa aggravata legata al «Pandoro Pink Christmas» e alle «Uova di Pasqua-Sosteniamo i Bambini delle Fate». Per l’accusa, l’influencer avrebbe tratto un ingiusto profitto complessivo di circa 2,2 milioni di euro, tra il 2021 e il 2022, presentando come benefiche due operazioni commerciali che, secondo gli inquirenti, non prevedevano alcun collegamento tra vendite e donazioni.
Patrizia De Luise (Ansa)
La presidente della Fondazione Patrizia De Luise: «Non solo previdenza integrativa per gli agenti. Stabiliamo le priorità consultando gli interessati».
«Il mio obiettivo è farne qualcosa di più di una cassa di previdenza integrativa, che risponda davvero alle esigenze degli iscritti, che ne tuteli gli interessi. Un ente moderno, al passo con le sfide delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, vicino alle nuove generazioni, alle donne poco presenti nella professione. Insomma un ente che diventi la casa di tutti i suoi iscritti». È entrata con passo felpato, Patrizia De Luise, presidente della Fondazione Enasarco (ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) dallo scorso 30 giugno, ma ha già messo a terra una serie di progetti in grado di cambiare il volto dell’ente «tagliato su misura dei suoi iscritti», implementando quanto fatto dalla precedente presidenza, dice con orgoglio.
Il ministro Nordio riferisce in Parlamento sulla famiglia Trevallion. L'attacco di Rossano Sasso (Lega): ignorate le situazioni di vero degrado. Scontro sulla violenza di genere.
Ansa
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.
È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.







