2021-06-24
L’Ilva può ripartire ma adesso iniziano i guai per il governo
Produzione dimezzata, Terni in vendita, Cig in Liguria e a 4.000 di Taranto. Il rischio è l'asservimento ai piani del socio indiano.Sentenza attesa per metà giugno, alla fine il Consiglio di Stato si è pronunciato sull'ex Ilva ieri. I giudici hanno accolto il ricorso di Arcelor Mittal, e quindi dei commissari e del Ministero della Transizione ecologica, bocciando di conseguenza la presa di posizione del Tar che aveva imposto lo stop alla produzione o comunque lo spegnimento dell'area a caldo dello stabilimento di Taranto. Una ottima notizia, dal momento che lo stesso titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti, aveva commentato la delicatezza del momento e l'impotenza del mercato di fronte ai giudici. Al tempo stesso la sentenza di ieri ora impone tutte le parti di uscire dal torpore e prendere decisioni importanti e pure con urgenza. «Arriverà presto un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone», ha ribadito ieri Giorgetti. Anche perché Acciaierie d'Italia ha subito detto che è pronta ad una «proposta di piano per la transizione ecologica dell'intera area a caldo» con l'obiettivo di produrre «acciaio verde italiano». La decisione era attesa anche per far decollare la nuova società, come già detto, con l'approvazione del bilancio 2020 da parte di Acciaierie d'Italia, previsto entro il 30 giugno, e l'insediamento del nuovo cda, dopo l'ingresso dello Stato con Invitalia, con Franco Bernabé presidente. Più in generale secondo il Consiglio di Stato, pur senza negare la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto, non c'è un imminente pericolo per la salute. «Accogliamo con favore il conseguente prosieguo dell'attività produttiva dello stabilimento», ha sottolineato Confindustria Taranto. Per i sindacati «è l'ultima chance, sarebbe inaccettabile se la politica continuasse a non decidere sul futuro di oltre 15.000 lavoratori, intere comunità e un settore che deve essere ritenuto strategico per il nostro Paese. Sono finiti ogni tipo di alibi per la politica e l'azienda», ha dichiarato Rocco Palombella, segretario generale Uilm. Forse la voce più lucida perché epurata dall'eccessivo ottimismo. Perché il rilancio è già inficiato da un dato di fatto drammatico. Mentre il mondo brama materie prime e soffre per l'inflazione, il principale stabilimento d'Italia produce poco meno di 3 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. Due anni fa era il doppio e per tornare a pareggio dovrebbe recuperare tutta la produzione lasciata sul terreno. Il tempo e i costi della conversione non sembrano compatibili con il contesto geopolitico. Per questo la presenza dello Stato tramite Invitalia è da un lato imprescindibile ma dall'altro porta l'acciaio tricolore verso una situazione bollente. Piombino è in profonda crisi. L'acciaieria speciale di Terni è in vendita. E a in Liguria - notizia di ieri - Arcelor ha messo in cassa integrazione i dipendenti. E ha intenzione di estendere a 4.000 il numero dei soggetti in Cig anche a Taranto. Tutto ciò nel momento in cui bisognerebbe usare tutti gli operai a disposizione, visto il trend di mercato. Eppure nel tentativo di rilanciare il comparto tricolore il governo potrebbe farsi polo aggregante di tutti gli stabilimenti dalla Magona passando per Taranto. Il problema è il partner: Arcelor Mittal. L'ad Lucia Morselli conosce bene Terni, avendola diretta, e tutte le pieghe del mercato. Ma la domanda vera è: quali sono gli obiettivi di Arcelor rispetto al resto del mondo. Se gli anglo indiani restassero i soli partner industriali dello Stato correremmo il rischio di farci dettare la linea e quindi di calibrare la produzione italiana non in base alle esigenze nazionali o alle necessità occupazionali, ma in base ai piani di sviluppo del colosso. Va infatti tenuto in considerazione anche un altro elemento trasversale. La decisione europea di estendere l'utilizzo delle quote nell'import dell'acciaio penalizzerà soprattutto il nostro Paese che oltre a essere un player nella trasformazione possiede una filiera (soprattutto nella rilaminazione) molto più spezzettata rispetto alla Germania. Insomma, il redde rationem prima o poi arriverà. Anche il governo al di là della patina verde che ormai è un ottimo biglietto da visita dovrà dimostrare che sotto gli annunci c'è anche vera ciccia industriale. Altrimenti non basterà il Pnrr per rilanciare il nostro acciaio. Senza industria pesante, non c'è manifattura. E senza questa non c'è lavoro né spazio per sedersi al G7 o al G 20.