2023-01-20
L’Ilva si allea con «l’americana» Falck. Più lavoro e una diga contro la Cina
Lucia Morselli (Imagoeconomica)
L’annuncio: acciaio in cambio di energia rinnovabile. La bolletta è aumentata di sei volte. Il nuovo piano rilancerà la produzione e ridurrà l’influenza di Pechino sul porto di Taranto. Aperto il tavolo al ministero.Ieri, durante l’incontro al ministero delle Imprese sul futuro dell’ex Ilva, l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, ha fatto un elenco degli investimenti concordati con i soci: «Un rigassificatore, per il quale siamo già a un terzo dei lavori in collaborazione con operatori internazionali e con il porto di Taranto. Per il prossimo anno termico contiamo di avere accesso diretto ai produttori di gas. Il secondo investimento è nell’economia circolare, con la loppa che è un sottoprodotto di altoforno, pregiatissimo però per i cementifici. Quindi ci impegneremo per far ripartire il cementificio che abbiamo, collegato allo stabilimento. Terza operazione un accordo con Falck renewables: noi diamo loro l’acciaio e loro daranno a noi energia rinnovabile. Quarto: acqua. Ci attrezzeremo per dissalare, risparmiando quella dei fiumi della zona. Non sarà sulla terraferma ma offshore. Poi stiamo già usando plastica negli altoforni e quindi siamo una sorta di termovalorizzatore per la Regione Puglia», ha aggiunto la Morselli. Dei quattro investimenti, l’operazione con Falck è forse quella più strategica. Per una serie di ragioni. La prima è che segue un altro accordo, quello annunciato all’inizio di novembre tra la stessa Falck renewables e Bluefloat energy con il gruppo turco Yilport, concessionario del terminal container di Taranto. L’obiettivo era raggiungere un’intesa sulle modalità di utilizzazione a titolo esclusivo di un’area del terminal del porto per portare avanti le attività legate alle fasi di costruzione e di operatività dei progetti di eolico marino galleggiante che le due società energetiche stanno sviluppando in partnership paritetica. C’è poi una questione di carattere geopolitico, e di relazioni, da non sottovalutare. A ottobre 2021 Falck è passata di mano: la famiglia ha ceduto il controllo al fondo Infrastructure investments fund (Iif), gestito dal colosso americano JP Morgan. Un dettaglio? Non proprio, vediamo perché. Dopo l’ok del governo tedesco all’acquisto del 24,9% della società che gestisce uno dei terminal del porto di Amburgo da parte della cinese Cosco, arrivato sempre a novembre alla vigilia della controversa visita del cancelliere Olaf Scholz a Pechino, i riflettori si sono accesi sulle prossime mosse del Dragone nei porti europei. Compresi quelli italiani. Ecco perché la notizia giunta a novembre da Taranto era stata letta positivamente: più investono i turchi e meno spazio di manovra resta ai cinesi che nel porto pugliese hanno già messo un piede nel 2020 ai tempi del governo Conte con l’accordo per l’insediamento nell’area «ex yard Belleli» di Ferretti group, il costruttore di barche di lusso controllato dalla società statale cinese Weichai. Non solo. Come ha scritto La Verità il 27 novembre, a farsi avanti per la gestione delle piattaforme logistiche che operano sulla cosiddetta Zes, Zona economica speciale (comprende le aree di Puglia e Basilicata più vicine al porto tarantino) è stata la srl Progetto internazionale 39. Tra gli azionisti di questa società c’è anche Gao Shuai con il 33% mentre un 1% è posseduto dall’Associazione per lo sviluppo economico e culturale internazionale. Gao Shuai è presidente della Aseci, fondatore del Dragon business forum, responsabile di progetti per favorire rapporti tra imprese italiane e cinesi ma soprattutto è un delegato del governo di Pechino. La regione guidata da Michele Emiliano (che ieri, come il sindaco di Taranto, non ha partecipato in presenza al tavolo su Ilva ma si è collegato online) sembra voler continuare a gestire autonomamente il «traffico» lungo la sua Via della seta costruita in questi anni. Come dimostra l’interesse - non respinto - del Dragone per il porto e anche per il business dell’eolico (dove ha messo gli occhi pure un po’ di Francia con investitori già pronti a realizzare altri progetti nella regione). Ricordiamo che Taranto ospita la base Nato che controlla una parte rilevante del Mar mediterraneo. Ecco perché sono sempre accesi i fari accesi sia del Copasir sia della diplomazia e dell’intelligence Usa. Che difficilmente può essere contraria alla nuova operazione sulla ex Ilva annunciata ieri da Adi con l’«americana» Falck. Intanto, il ministro Adolfo Urso ha dichiarato che la finalità del tavolo «permanente» aperto ieri su Ilva «è anche quella di stilare un accordo di programma per la reindustrializzazione dell’area di Taranto, la portualità, la logistica». Se si riescono a mettere a frutto le concessioni, aggiungiamo noi, anche le manovre cinesi su infrastrutture strategiche diventano più complicate. Senza dimenticare che l’interazione porto-acciaierie-Falck può garantire un booster all’occupazione, diretta e sull’indotto. Certo, la situazione del polo siderurgico resta difficile e la strada è lunga. «Acciaierie d’Italia ha risolto i problemi di patrimonializzazione» con 750 milioni (680 da Invitalia e 70 da Mittal), «ora c’è la possibilità di aumentare la produzione. L’obiettivo per il 2023 è di 4 milioni di tonnellate e di 5 milioni nel 2024», ha assicurato ieri la Morselli annunciando anche «il rifacimento dell’altoforno 5, spento dal 2015». Il problema è che il costo dell’energia per lo stabilimento di Taranto è passato da 200 milioni a 1,2 miliardi (e la sola Snam ha un credito con la ex Ilva di 208 milioni). Nel frattempo, alla vigilia del tavolo al Mimit, non ha fatto il pieno di partecipazione lo sciopero organizzato dai sindacati che hanno anche organizzato una manifestazione a alla fine dell’incontro sotto al ministero. A Taranto non si sono verificate fermate degli impianti produttivi. Nel turno della notte, iniziato alle ore 23 di mercoledì, l’adesione è stata del 2%. Nel turno della mattinata di ieri, iniziato alle ore 7, era del 9%.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.