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2020-02-15
Il Coronavirus è in Africa: chiudete i porti
Ansa
Il mal d'Africa da oggi non sarà più lo stesso. Covid-19 è arrivato in Egitto. La pandemia cinese ha colpito il primo paziente del Continente nero. A darne notizia è stato il ministero della Salute del Paese. Poche stringate righe per avvisare il mondo intero che l'epidemia ha trovato un nuovo, formidabile incubatore che rischia di rappresentare il detonatore di una esplosione virale molto più potente di quella - già fortissima - che è arrivata da Wuhan e che si è propagata in tutto il pianeta. E questo perché il coronavirus sarà libero di circolare e di attecchire in un continente di circa 1,2 miliardi di persone (di poco inferiore alla Cina) con un sistema sanitario del tutto impreparato ad affrontare i rigori dei protocolli di sicurezza e con strutture socio-economiche carenti e facili al contagio.
Covid-19 in Africa è anche un tema di politica sanitaria internazionale perché investe il tema dei flussi migratori verso l'Europa e, soprattutto, verso l'Italia. Come si comporteranno, adesso, le Ong che sfrecciano nel mar Mediterraneo per portare frotte di disperati da una costa all'altra? Cambieranno modo di operare per la minaccia di traghettare possibili migranti infetti?
Dal 5 febbraio ad oggi, secondo i dati del dipartimento della Protezione civile, in Italia sono stati controllati con i termoscanner e i termometri a pistola 1.037.225 passeggeri sbarcati in Italia con 9.046 voli internazionali. Nella sola giornata di ieri sono stati controllati 144.816 viaggiatori e 1.262 voli. Nel monitoraggio sono impegnati oltre 800 tra medici e volontari: il sistema di profilassi prevede l'impiego di squadre miste, composte da personale medico dell'Ufficio di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) e da volontari delle organizzazioni nazionali e regionali di protezione civile e della Croce rossa italiana, con il supporto dei presidi medici aeroportuali. Le organizzazioni non governative che tipo di garanzia possono offrire, anzitutto a quanti collaborano con loro, e poi a chi accoglierà i profughi? Adotteranno misure di prevenzione o si affideranno alla buona sorte? E soprattutto: quanto è compatibile con questo scenario il sistema delle Ong?
Le autorità statali africane sono del tutto impreparate a gestire la complessa macchina degli aiuti e dei soccorsi. Basterebbe pensare che il governo ugandese ha affermato, proprio ieri, che è troppo costoso noleggiare un aereo per riportare a casa i circa 105 studenti bloccati a Wuhan. Secondo quanto riferiscono i media locali, ai ragazzi è stato già inviato del denaro. Una soluzione che in realtà non risolve nulla. Ieri il ministro della Sanità, Jane Ruth Aceng, ha dichiarato ai parlamentari che l'Uganda non ha conoscenze né una struttura specializzata per gestire l'epidemia, ma sarebbero stati stanziati 61.000 dollari per supportare gli studenti bloccati a Wuhan, anche se non è chiaro quanto riceverà ciascuno. Alcuni ragazzi si sono infatti lamentati perché stanno finendo soldi, cibo e mascherine, lanciando una campagna sui social media con l'hashtag #EvacuateUgandansInWuhan. Il governo di Kampala ha confermato inoltre che a più di 260 viaggiatori in arrivo dalla Cina, sia cinesi sia ugandesi, è stato chiesto di autoisolarsi per due settimane. La scorsa settimana, per di più, sono state messe in quarantena circa 100 persone arrivate dalla Cina all'aeroporto internazionale della città ugandese di Entebbe. Troppo poco per poter parlare di una seria politica di prevenzione. E questo senza considerare che il coronavirus avrebbe addirittura una capacità di diffusione superiore a quella stimata finora dall'Organizzazione mondiale della sanità: il numero di persone che possono essere contagiate da un soggetto infetto sarebbe pari a 3,28 (e non compreso tra 1,4 e 2,5 come ipotizzato finora). A sostenerlo è una revisione di 12 studi, pubblicata sul Journal of Travel Medicine dall'università di Umea in Svezia, l'Heidelberg Institute of Public Health in Germania e lo Xiamen University Tan Kah Kee College in Cina. «La nostra revisione dimostra che il coronavirus è trasmissibile almeno quanto il virus della Sars, e questo dice molto della serietà della situazione», ha dichiarato Joacim Rocklov dell'Università di Umea. Gli studi presi in esame stimano la crescita dell'epidemia sulla base dei casi di Covid-19 osservati in Cina e sulla base di modelli statistici e matematici. Se le prime ricerche indicavano una trasmissibilità del coronavirus relativamente bassa, in seguito questo valore è cresciuto rapidamente per stabilizzarsi intorno a 2-3 negli studi più recenti. «Guardando allo sviluppo dell'epidemia», ha aggiunto Rocklov, «la realtà sembra andare di pari passo o addirittura superare il valore massimo di crescita dell'epidemia dei nostri calcoli. Nonostante tutti gli interventi e le attività di controllo, il coronavirus si è già diffuso più di quanto non abbia fatto la Sars».
La nemesi di Burioni: da bullo web a bullizzato
Il coronavairus (come lo chiama Luigi Di Maio, che ha studiato a Cambridge) non deve preoccupare. L'importante è riempire i ristoranti cinesi e considerare analfabeti senza speranza coloro che preferiscono gli spaghetti al sugo cucinati in casa. E chi la pensa in modo diverso? Ovviamente è un minus habens, un bieco sovranista da sciogliere nell'acido del disprezzo.
Per una sorta di nemesi purificatrice, a questa regola non è sfuggito neppure Roberto Burioni, il re social dei divulgatori scientifici, il pontefice massimo dei vaccini anche per i calli, che in questi giorni è al centro di una congiura di palazzo a colpi di provetta. L'infallibile medico con il ciuffo da Elvis Presley ha fatto una scoperta sconvolgente: c'è qualcuno più integralista di lui. Tutto è cominciato da un suo tweet di puro buonsenso: «Capisco benissimo che è una banalità, ma in mancanza di farmaci e vaccino in grado di rallentare l'infezione, l'unica arma per bloccare l'epidemia e sperare di vincere questo virus è l'isolamento». Come dire alla Max Catalano che «il fumo fa male e se ti tuffi in mare ti bagni». Acqua fresca a tal punto che Marco Travaglio gli ha risposto: «Per fortuna ci sono scienziati come lei sennò non ci arrivava nessuno».
Sbagliato, vergogna, cavernicoli, fascisti. Subito si è scatenata l'indignazione degli ayatollah del conformismo progressista, indignati per la conseguenza di un simile consiglio: l'isolamento delle comunità cinesi, lo spreco di involtini primavera, lo strappo al concetto di fratellanza benedetto da papa Francesco e sancito in salsa democristiana da Sergio Mattarella circondato dai bambini. Contro la massima allerta si è scagliata Roberta Villa, medico e giornalista, collaboratrice di lungo corso delle pagine di salute del Corriere della Sera. Mentre il mondo intero (dall'Onu all'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Europa agli scienziati in prima linea) è ancora diffidente rispetto alle opacità cinesi sulle reali conseguenze dell'agente patogeno, lei twitta riferendosi a Burioni: «Quando usava gli stessi metodi dogmatici e antiscientifici sui vaccini lo sostenevano tutti perché era per una buona causa. Ora però tocca agli altri, istituzioni in primis, raccogliere i cocci dei danni che sta facendo con il suo disinformation storm».
Scaricato come un terrapiattista dunque, via la patente. Per la verità questa è una shitstorm, demolisce un'icona pop, e il Napoleone dei batteri se la merita. Chi la fa l'aspetti. Ma ad apparire singolare e ambiguo è il ragionamento che sta dietro la critica. Finché faceva il pasdaran funzionale a «una buona causa» Burioni poteva sbandierare dogmi e insultare chiunque. Al contrario, ora che non sta dentro il recinto della correctness da convegno di Riza Psicosomatica, farebbe solo danni. Sei un mito quando mi fa comodo; il metodo è scientifico, non c'è che dire. Caro professore, benvenuto nel club degli analfabeti funzionali, c'è sempre un luminare incontinente più a Nord di te.
I commenti a supporto della tesi si trasformano presto in tempesta sul Web. «Il morbo pressapochista ha infettato Burioni», scrive il sito TheSubmarine; «lo scetticismo alimenta razzismo e panico» vanno giù piatti gli adepti che la sanno lunga, vale a dire economisti renziani, finanzieri col pallottoliere, stuntmen della vita incattiviti dai social. Roberta Villa è costretta a cancellare il tweet come se fosse una voce dal sen fuggita e a spiegare in un altro intervento: «Una cosa, una, era importante anche per superare le paure nei confronti dei vaccini. Riconquistare la fiducia nelle evidenze scientifiche e nelle autorità sanitarie. E invece no: “Non ce la raccontano giusta, nascondono i dati, c'è un singolo studio che dice...". Ma perché?». L'effetto però è raggiunto e ha perfino qualcosa di biblico: il bullizzatore Burioni è stato bullizzato dai suoi seguaci.
La lite da ballatoio conferma che il tifo non è solo una malattia infettiva ma una perversione tollerabile soltanto in uno stadio. E Burioni, che sperava di rimanere dentro il perimetro del politicamente corretto interpretando le parole davvero rassicuranti del ministro della Salute, Roberto Speranza («Stiamo affrontando l'emergenza come se si trattasse di peste o colera»), si è ritrovato improvvisamente come Re Lear, solo e al freddo. Abbandonato dai follower e accusato di tradimento dalla setta degli adoratori dello Stato etico, che durante un'epidemia ti impone quando devi essere preoccupato e dove andare a cena per non sentirti un reprobo. «Bisogna affidarsi all'oggettività della Scienza», ti dicono i giusti. Dove pare che, anche se Nature non ne fa menzione, il loro parametro più oggettivo sia la buona causa.
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Un caso diagnosticato in Egitto. Si è concretizzata la paura degli scienziati: nel Continente nero i contagi sono difficili da contenere e l'escalation è probabile. Le navi delle Ong aumentano i rischi per il nostro Paese.Roberto Burioni, faro del medicalmente corretto, a epidemia scoppiata, ha detto chiaramente che l'unica è isolarsi. Apriti cielo, la sua stessa setta gli si è rivoltata contro accusandolo di oscurantismo. Ora che la crociata sui vaccini è vinta, il bastonatore non serve più.Lo speciale contiene due articoli. Il mal d'Africa da oggi non sarà più lo stesso. Covid-19 è arrivato in Egitto. La pandemia cinese ha colpito il primo paziente del Continente nero. A darne notizia è stato il ministero della Salute del Paese. Poche stringate righe per avvisare il mondo intero che l'epidemia ha trovato un nuovo, formidabile incubatore che rischia di rappresentare il detonatore di una esplosione virale molto più potente di quella - già fortissima - che è arrivata da Wuhan e che si è propagata in tutto il pianeta. E questo perché il coronavirus sarà libero di circolare e di attecchire in un continente di circa 1,2 miliardi di persone (di poco inferiore alla Cina) con un sistema sanitario del tutto impreparato ad affrontare i rigori dei protocolli di sicurezza e con strutture socio-economiche carenti e facili al contagio.Covid-19 in Africa è anche un tema di politica sanitaria internazionale perché investe il tema dei flussi migratori verso l'Europa e, soprattutto, verso l'Italia. Come si comporteranno, adesso, le Ong che sfrecciano nel mar Mediterraneo per portare frotte di disperati da una costa all'altra? Cambieranno modo di operare per la minaccia di traghettare possibili migranti infetti? Dal 5 febbraio ad oggi, secondo i dati del dipartimento della Protezione civile, in Italia sono stati controllati con i termoscanner e i termometri a pistola 1.037.225 passeggeri sbarcati in Italia con 9.046 voli internazionali. Nella sola giornata di ieri sono stati controllati 144.816 viaggiatori e 1.262 voli. Nel monitoraggio sono impegnati oltre 800 tra medici e volontari: il sistema di profilassi prevede l'impiego di squadre miste, composte da personale medico dell'Ufficio di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) e da volontari delle organizzazioni nazionali e regionali di protezione civile e della Croce rossa italiana, con il supporto dei presidi medici aeroportuali. Le organizzazioni non governative che tipo di garanzia possono offrire, anzitutto a quanti collaborano con loro, e poi a chi accoglierà i profughi? Adotteranno misure di prevenzione o si affideranno alla buona sorte? E soprattutto: quanto è compatibile con questo scenario il sistema delle Ong?Le autorità statali africane sono del tutto impreparate a gestire la complessa macchina degli aiuti e dei soccorsi. Basterebbe pensare che il governo ugandese ha affermato, proprio ieri, che è troppo costoso noleggiare un aereo per riportare a casa i circa 105 studenti bloccati a Wuhan. Secondo quanto riferiscono i media locali, ai ragazzi è stato già inviato del denaro. Una soluzione che in realtà non risolve nulla. Ieri il ministro della Sanità, Jane Ruth Aceng, ha dichiarato ai parlamentari che l'Uganda non ha conoscenze né una struttura specializzata per gestire l'epidemia, ma sarebbero stati stanziati 61.000 dollari per supportare gli studenti bloccati a Wuhan, anche se non è chiaro quanto riceverà ciascuno. Alcuni ragazzi si sono infatti lamentati perché stanno finendo soldi, cibo e mascherine, lanciando una campagna sui social media con l'hashtag #EvacuateUgandansInWuhan. Il governo di Kampala ha confermato inoltre che a più di 260 viaggiatori in arrivo dalla Cina, sia cinesi sia ugandesi, è stato chiesto di autoisolarsi per due settimane. La scorsa settimana, per di più, sono state messe in quarantena circa 100 persone arrivate dalla Cina all'aeroporto internazionale della città ugandese di Entebbe. Troppo poco per poter parlare di una seria politica di prevenzione. E questo senza considerare che il coronavirus avrebbe addirittura una capacità di diffusione superiore a quella stimata finora dall'Organizzazione mondiale della sanità: il numero di persone che possono essere contagiate da un soggetto infetto sarebbe pari a 3,28 (e non compreso tra 1,4 e 2,5 come ipotizzato finora). A sostenerlo è una revisione di 12 studi, pubblicata sul Journal of Travel Medicine dall'università di Umea in Svezia, l'Heidelberg Institute of Public Health in Germania e lo Xiamen University Tan Kah Kee College in Cina. «La nostra revisione dimostra che il coronavirus è trasmissibile almeno quanto il virus della Sars, e questo dice molto della serietà della situazione», ha dichiarato Joacim Rocklov dell'Università di Umea. Gli studi presi in esame stimano la crescita dell'epidemia sulla base dei casi di Covid-19 osservati in Cina e sulla base di modelli statistici e matematici. Se le prime ricerche indicavano una trasmissibilità del coronavirus relativamente bassa, in seguito questo valore è cresciuto rapidamente per stabilizzarsi intorno a 2-3 negli studi più recenti. «Guardando allo sviluppo dell'epidemia», ha aggiunto Rocklov, «la realtà sembra andare di pari passo o addirittura superare il valore massimo di crescita dell'epidemia dei nostri calcoli. Nonostante tutti gli interventi e le attività di controllo, il coronavirus si è già diffuso più di quanto non abbia fatto la Sars».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-virus-si-diffonde-anche-in-africa-da-adesso-litalia-corre-piu-pericoli-2645154024.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-nemesi-di-burioni-da-bullo-web-a-bullizzato" data-post-id="2645154024" data-published-at="1766369982" data-use-pagination="False"> La nemesi di Burioni: da bullo web a bullizzato Il coronavairus (come lo chiama Luigi Di Maio, che ha studiato a Cambridge) non deve preoccupare. L'importante è riempire i ristoranti cinesi e considerare analfabeti senza speranza coloro che preferiscono gli spaghetti al sugo cucinati in casa. E chi la pensa in modo diverso? Ovviamente è un minus habens, un bieco sovranista da sciogliere nell'acido del disprezzo. Per una sorta di nemesi purificatrice, a questa regola non è sfuggito neppure Roberto Burioni, il re social dei divulgatori scientifici, il pontefice massimo dei vaccini anche per i calli, che in questi giorni è al centro di una congiura di palazzo a colpi di provetta. L'infallibile medico con il ciuffo da Elvis Presley ha fatto una scoperta sconvolgente: c'è qualcuno più integralista di lui. Tutto è cominciato da un suo tweet di puro buonsenso: «Capisco benissimo che è una banalità, ma in mancanza di farmaci e vaccino in grado di rallentare l'infezione, l'unica arma per bloccare l'epidemia e sperare di vincere questo virus è l'isolamento». Come dire alla Max Catalano che «il fumo fa male e se ti tuffi in mare ti bagni». Acqua fresca a tal punto che Marco Travaglio gli ha risposto: «Per fortuna ci sono scienziati come lei sennò non ci arrivava nessuno». Sbagliato, vergogna, cavernicoli, fascisti. Subito si è scatenata l'indignazione degli ayatollah del conformismo progressista, indignati per la conseguenza di un simile consiglio: l'isolamento delle comunità cinesi, lo spreco di involtini primavera, lo strappo al concetto di fratellanza benedetto da papa Francesco e sancito in salsa democristiana da Sergio Mattarella circondato dai bambini. Contro la massima allerta si è scagliata Roberta Villa, medico e giornalista, collaboratrice di lungo corso delle pagine di salute del Corriere della Sera. Mentre il mondo intero (dall'Onu all'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Europa agli scienziati in prima linea) è ancora diffidente rispetto alle opacità cinesi sulle reali conseguenze dell'agente patogeno, lei twitta riferendosi a Burioni: «Quando usava gli stessi metodi dogmatici e antiscientifici sui vaccini lo sostenevano tutti perché era per una buona causa. Ora però tocca agli altri, istituzioni in primis, raccogliere i cocci dei danni che sta facendo con il suo disinformation storm». Scaricato come un terrapiattista dunque, via la patente. Per la verità questa è una shitstorm, demolisce un'icona pop, e il Napoleone dei batteri se la merita. Chi la fa l'aspetti. Ma ad apparire singolare e ambiguo è il ragionamento che sta dietro la critica. Finché faceva il pasdaran funzionale a «una buona causa» Burioni poteva sbandierare dogmi e insultare chiunque. Al contrario, ora che non sta dentro il recinto della correctness da convegno di Riza Psicosomatica, farebbe solo danni. Sei un mito quando mi fa comodo; il metodo è scientifico, non c'è che dire. Caro professore, benvenuto nel club degli analfabeti funzionali, c'è sempre un luminare incontinente più a Nord di te. I commenti a supporto della tesi si trasformano presto in tempesta sul Web. «Il morbo pressapochista ha infettato Burioni», scrive il sito TheSubmarine; «lo scetticismo alimenta razzismo e panico» vanno giù piatti gli adepti che la sanno lunga, vale a dire economisti renziani, finanzieri col pallottoliere, stuntmen della vita incattiviti dai social. Roberta Villa è costretta a cancellare il tweet come se fosse una voce dal sen fuggita e a spiegare in un altro intervento: «Una cosa, una, era importante anche per superare le paure nei confronti dei vaccini. Riconquistare la fiducia nelle evidenze scientifiche e nelle autorità sanitarie. E invece no: “Non ce la raccontano giusta, nascondono i dati, c'è un singolo studio che dice...". Ma perché?». L'effetto però è raggiunto e ha perfino qualcosa di biblico: il bullizzatore Burioni è stato bullizzato dai suoi seguaci. La lite da ballatoio conferma che il tifo non è solo una malattia infettiva ma una perversione tollerabile soltanto in uno stadio. E Burioni, che sperava di rimanere dentro il perimetro del politicamente corretto interpretando le parole davvero rassicuranti del ministro della Salute, Roberto Speranza («Stiamo affrontando l'emergenza come se si trattasse di peste o colera»), si è ritrovato improvvisamente come Re Lear, solo e al freddo. Abbandonato dai follower e accusato di tradimento dalla setta degli adoratori dello Stato etico, che durante un'epidemia ti impone quando devi essere preoccupato e dove andare a cena per non sentirti un reprobo. «Bisogna affidarsi all'oggettività della Scienza», ti dicono i giusti. Dove pare che, anche se Nature non ne fa menzione, il loro parametro più oggettivo sia la buona causa.
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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