2020-02-29
Il virologo fissa la priorità: «Bisogna evitare il collasso del nostro sistema sanitario»
Andrea Crisanti, inventore di uno dei test: «Il personale medico è allo stremo e va preservato, così come i letti in terapia intensiva. La politica deve ascoltare la comunità scientifica». Il coronavirus va eliminato adesso, standogli un passo avanti e non applicando politiche di convivenza. Altrimenti la pagheremo carissima. Non ha dubbi Andrea Crisanti, virologo in arrivo dall'Imperial College di Londra e direttore di microbiologia e virologia dell'Università di Padova. Suo è un test diagnostico per il SarsCov2 che - messo a punto i primi di febbraio - è impiegato in cinque ospedali veneti.Il picco dei casi di coronavirus mette a dura prova la tenuta del sistema sanitario.«Si è scatenato un panico ingiustificato. Al primo colpo di tosse non bisogna venire al pronto soccorso: si danneggia l'operatività dell'intero ospedale, perché dietro di noi non c'è nessuno. Facciamo turni di 24 ore ormai, stiamo impiegando a livello umano tutte le risorse possibili». Il sistema sta reggendo?«È al limite. La Regione Veneto ha sbloccato fondi per nuove assunzioni di tecnici e medici, ma ci vorrà tempo».Vi aspettate altri picchi epidemici?«I casi sono destinati ad aumentare nei prossimi giorni, non perché il virus sia fuori controllo ma perché stiamo “vedendo" quel che è successo 7-10 giorni fa, ed è chiaro che i contatti fra persone sono continuati, quindi gli effetti delle misure messe in campo li vedremo tra 7-10 giorni». Come se ne esce?«Va eliminato. Il coronavirus nell'85% delle persone non dà sintomi e si cura a casa, ma può causare una sorta di influenza importante e una malattia polmonare, Covid-19, non ancora conosciuta alla perfezione. I posti nelle terapie intensive però sono fissi: se anziché quattro devono accedere 30 persone, l'ospedale va in tilt». Lei dice che il virus va eliminato perché?«Conviverci significa accettare che circoli nella popolazione e richiede grossi investimenti in farmaci e vaccini. Il virus occupa in questo momento una nicchia di popolazione senza difese. In questa situazione esiste la possibilità che muti, cambiando il quadro clinico tra sei mesi o un anno». E quindi? «Si deve quindi investire in prevenzione e controllo. Al momento la quarantena e l'isolamento sono i mezzi più efficaci».Per controllo intende anche l'esecuzione dei test?«Dobbiamo farli a persone con sintomi respiratori che si presentano al pronto soccorso, a chi sappiamo con certezza essere entrato in contatto con i positivi e al personale sanitario esposto al rischio. Dobbiamo tutelare chi sta negli ospedali, per evitare il collasso dei presidi sanitari e lo spreco di risorse umane». Proprio sui tamponi c'è stata un po' di confusione. Pare quasi che si sia fatto il contrario di quello che era necessario dal punto di vista scientifico.«Appena è stata scoperta la sequenza del virus, abbiamo messo a punto il test e comunicato all'autorità competente i risultati del lavoro svolto. Tutto questo succedeva mentre veniva diffusa la direttiva ministeriale che prevedeva il test solo alle persone che tornavano da aree infette della Cina o presentavano sintomi. In quei giorni, quindi, non è stato possibile fare i test a tutti coloro che arrivavano dalla Cina: le disposizioni ministeriali non lo prevedevano e contravvenire avrebbe esposto i medici anche a sanzioni amministrative. Gli stessi ospedali, a distanza di una settimana, sono stati accusati di non aver fatto la diagnosi, mi sembra una contraddizione pazzesca». Ci è costato caro?«In questo modo, a mio parere, si è persa l'opportunità per stabilire contatti proficui con la comunità cinese e seguirla, anche in un'eventuale quarantena. Inoltre i portatori sani sono sfuggiti ai controlli e hanno trasmesso il virus. Ci si è così ritrovati nell'assurda situazione di avere pazienti italiani ricoverati negli ospedali per giorni, prima che gli venisse fatto il test, perché non erano cinesi né provenivano da zone con focolai. La diagnosi poi è stata fatta perché abbiamo disubbidito alle direttive ministeriali».La politica dovrebbe ascoltare un po' di più gli esperti? «L'epidemiologia è una scienza molto complessa. È quindi importante che le scelte politiche siano concordate con la comunità scientifica. È giusto che ci siano linee guida a livello nazionale, però è importante che siano flessibili e capaci di modificarsi man mano che emergono nuovi dati scientifici».Crede che potremmo risolvere la situazione?«Bisogna essere un passo avanti al virus. Per questo abbiamo riunito le migliori risorse dell'università per mettere in piedi un modello matematico che, con l'intelligenza artificiale, sia in grado di capire come il coronavirus si sia diffuso e soprattutto se si stia evolvendo, per determinare quali soggetti sono più suscettibili e più a rischio».